Il segretario del Pd Enrico Letta
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Goccia su goccia, lo stillicidio che ha logorato Nicola Zingaretti ora mette alla prova Enrico Letta. Sindaci, deputati, senatori, potentati regionali. Chiedono posti, visibilità, si fanno avanti, accampano pretese, vogliono dire la loro sulle candidature autunnali. La pandemia anziché azzerarli li ha moltiplicati. Ma in meno di un mese al Nazareno è cambiato tutto, un leader si è dimesso, un altro è arrivato per acclamazione. Sono cambiati i capigruppo di Camera e Senato, c’è una nuova segreteria politica. Si suona un’altra musica. Il partito va rifondato, certo. Sono finiti i tempi in cui l’unico obiettivo da raggiungere è quello personale. Una poltrona, un incarico, la nomina al vertice di una grande azienda. Così che fa un certo effetto vedere il presidente della Pisana perfettamente integro, tirato a lucido, mentre rivendica i buoni risultati della sua campagna vaccinale. Il ritrovato Zinga – che del Campidoglio non vuol proprio sapere – insieme al suo assessore al Welfare Alessio D’Amato, dato in grande ascesa. E Letta, il successore, che allontana i postulanti e si tira su le maniche.
Guerini in Lombardia, Franceschini nel Lazio, Lotti in Toscana, Orlando in Liguria e Piemonte, De Luca in Campania, Bonaccini in Emilia-Romagna. E poi Decaro a Bari e Gori a Bergamo. Ognuno punta a ritagliarsi la sua fetta di potere a piazzare i suoi uomini come tanti carrarmatini del risiko. Per provare a remare verso un’unica direzione il nuovo rettore del Nazareno ha usato il bilancino. Roba da manuale Cencelli, con tutte le varie anime rappresentate nella segreteria, persino la minuscola corrente di Orfini ha ottenuto il suo posticino (Chiara Gribaudo). Un lavoro di cesello. Chi non ha trovato posto e non ha intravisto sbocchi se n’è andato: Padoan (Unicredit) per meriti personali, Martina (Fao) per cambiare aria, e Devincenti atterrato su Aeroporti di Roma come un predatore, per effetto di pressioni e lobby.
PARTITO DA PSICANALIZZARE
Non che l’ex professore di Sciences Po sia meno determinato, chiariamoci. Anzi. Ha sposato con grande coraggio una causa che per i più è già persa. Nono segretario in 14 anni, 6 scissioni che sembrano incisioni sulla pelle, una più sanguinosa dell’altra. E lo ha fatto senza perdere nulla del brio iniziale, al massimo qualche capello. Soltanto ora però si sta rendendo conto di quanto sia ciclopica l’impresa. Rialzare da terra il pachiderma, farne il partito che avrebbe dovuto riaprire la via italiana al riformismo.
Di rogne da sbrigare ne ha molte, Enrico Letta, 53 anni, di cui gli ultimi 7 passati felicemente in Francia in una sorta di auto-esilio rigeneratore. Talmente tante che si rischia di perdere di vista il momento storico, non concentrarsi sui grandi temi. La sanità da riformare ripartendo dalla medicina territoriale, le disuguaglianze che hanno spaccato a metà 2 il Paese; l’economia da far ripartire. Dedicarsi ad altro vuol dire distogliere lo sguardo dai problemi, guardarsi la pancia, rotolare su se stessi. Quando Carlo Calenda dice «il Pd non è un partito ma una grande seduta di psicanalisi collettiva» non ha torto ma il leader di Azione non dice tutta la verità. C’è un tanto di masochismo, un meccanismo di auto-distruzione che ormai è parte della sua identità. Il Pd è follia pura. «Quelli che ora acclamano Enrico, dicendogli “ti vogliamo bene” sono gli stessi che lo hanno mandato a casa», lo avverte Calenda. Minaccia o consiglio?
TORNATA LA DC, SCOMPARSA LA SINISTRA
Il nuovo segretario sa benissimo che c’è anche molto di buono. Un’ambizione democratica e sociale, la vocazione riformista, un radicamento identitario, che la partita si giocherà sullo scacchiere europeo ed internazionale, Che ci rialzeremo solo se riusciremo a rimettere in moto l’industria, investendo nel Mezzogiorno, spendendo bene le risorse del Recovery plan. È costretto però ad occuparsi d’altro. Chi sostenere nella corsa al Campidoglio, se appoggiare Gualtieri, cosa dire a Calenda, come fare con la Raggi che vuole il bis senza creare frizioni con il M5S che sarà gioco forza parte della coalizione elettorale insieme a Sinistra italiana, Art.1 e Verdi. E cosi mentre Goffredo Bettini prova a tornare in campo con un nuovo manifesto elettorale coinvolgendo Letta e l’ex presidente del Consiglio foggiano, Letta deve occuparsi di Marcucci che lo prende di mira per il suo tweet pesce d’aprile. Capire fino a che punto saranno leali gli ex renziani in sonno nel Pd, se potrà fidarsi della Malpezzi. «Sono arrivato di corsa – si è scusato Letta incontrando per la prima vola i senatori pd – e forse avrò preso decisioni affrettata. La mia foto quella di 7 anni fa».
Ed è forse proprio questo il punto. «Nel mettere mano al corpaccione del partito il nuovo segretario dem ha usato i criteri che sarebbero forse stati validi nel 2013. Promosso Anna Rossamando alla Giustizia, il suo amico Misiani all’Economia e così, come se in questi ultimi 7 anni non fosse successo niente, è ripartito dalla sua segreteria», spiega una voce molto influente rimasta fuori dalle correnti. Un dato di fatto però è sotto gli occhi di tutti. I posti apicali sono occupati da ex Margherita, a partire dal Colle più alto. La sinistra storica è afona, non c’è e non riesce a farsi sentire.
IL CASO ALITALIA
Prendiamo il caso Alitalia: 11 mila dipendenti che hanno preso solo due giorni fa parte dello stipendio, con l’indotto 20 mila posti di lavoro che non si sa che fine faranno. Letta ha schierato il suo vice Beppe Provenzano per scegliere tra 3 soluzioni. Quella auspicata dal commissario Ue Gentiloni e da Calenda, che, se dipendesse da lui, avrebbe già messo i sigilli alle ali qualche tempo fa; quella della De Micheli, ex ministra ai Trasporti, che insieme a Gualtieri e a Franceschini puntano su Ita. Che vuol dire ridimensionamento, compagnia regionale, voli a corto raggio. E infine la terza soluzione: continuare il braccio di ferro con la Ue per ricevere lo stesso trattamento di Air France e Lufthansa. Il nodo è strategico, non più rinviabile, un tormentone che si trascina da decenni e costa lacrime e sangue agli italiani. Urge una decisione. Ma per decidere ci vorrebbe un partito, quello che Enrico Letta proverà a fare.
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