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Enrico Letta

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L’uomo del Monte ha detto sì, per riprendere un vecchio sketch pubblicitario. Ci riferiamo naturalmente ad Enrico Letta che accetta la candidatura alla guida del PD, ormai sicuro di una elezione quasi plebiscitaria. Personalmente ha scelto di sottolineare che non cerca unanimismo , ma “verità” (parola forse un po’ troppo impegnativa per il contesto politico di oggi).

Quasi in parallelo si è avuto il primo intervento pubblico di Draghi che è andato al centro vaccinale di Fiumicino per “metterci la faccia” sul nuovo intervento per le misure di contrasto all’epidemia come gli veniva richiesto (e non sempre con intenti amichevoli).

Sono due eventi diversi, ma entrambi segnano, uno in maniera prospettica, l’altro in maniera più diretta il cambiamento che si sta verificando nello scenario politico italiano. Iniziamo da Draghi. Prima di tutto ha varato non un DPCM, ma, come si era impegnato a fare, un decreto legge, cioè un provvedimento che dà modo di intervenire in maniera diversa tanto al Quirinale quanto al parlamento (che era intervenuto di recente sollecitando il cambio di strumentazione giuridica).

Anche alle Regioni è stato dato spazio per dire la loro, ma questo era già avvenuto quasi sempre anche coi DPCM. Non è un passaggio banale e va ricordata la superficialità con cui i fan del governo Conte a fronte del primo intervento di Draghi con DPCM avevano voluto dire che si continuava sulla vecchia strada (sbeffeggiando Sabino Cassese che aveva sostenuto la necessità di cambiare registro).

Il premier ha anche marcato una differenza di comunicazione nel contesto: niente conferenze stampa ad ora di TG serali con giornalisti che fanno domande dopo lunghi interventi. Una visita “sul campo”, un sobrio discorso asciutto fatto di dati e di impegni circostanziati, il tutto nel primo pomeriggio. Chi lo ha seguito ha anche potuto notare che Draghi sa essere disinvolto, capace di asciutta empatia, pur rimanendo nella sua natura di uomo lontano dalla politica-spettacolo.

Tutto questo fa parte del ruolo di un premier impegnato in un momento emergenziale che non tollera sbavature. Altra cosa è quel che aspetta Enrico Letta, che troppo affrettatamente viene messo in parallelo a Draghi. Accedere alla segreteria di una forza politica, sia pure importante come è il PD, significa qualcosa di diverso dall’essere al vertice di un apparato “esecutivo”.

Un partito non ha capacità di governo del paese e in questo specifico momento non è neppure nelle condizioni di influenzarle più di tanto. Detto con termini da vecchia politica: Letta non può certo lavorare per “dare la linea” a Draghi. Per di più la novità è che al venir meno di quella prospettiva hanno dovuto arrendersi anche i Cinque Stelle che ci si erano abituati tanto nel Conte 1 che nel Conte 2. E’ quello che prova a fare con qualche sceneggiata Salvini, ma apparendo subito patetico e naturalmente senza riuscirci.

Questo significa che Letta deve inventarsi un ruolo che sia qualcosa di nuovo rispetto alla liturgia per cui il segretario si occupava della politica delle “alleanze” in vista della distribuzione delle spoglie politiche che si possono raccogliere nelle varie competizioni e teneva i fili del confronto nel condominio di cui era amministratore. Non è solo perché per coprire quel ruolo non avrebbe lasciato una posizione interessante e appagante come quella che deteneva a Parigi, ma perché quel tipo di lavoro oggi non è più possibile.

Le “alleanze” avevano un senso quando la geografia italiana era connotata da appartenenze abbastanza stabili, mentre ora che tutto è mobile non ci sono più “somme” da realizzare con addendi fissi, perché ogni operazione del genere comporta spostamenti e movimenti da una componente all’altra e non di rado una fuga da tutte quelle che cercano di sommarsi.

Quanto alla spartizione delle spoglie la questione diventerà molto spinosa sia considerando che nella mobilità dei consensi le “quote” di cui si pensa di disporre sono tutte precarie, sia ricordando che dopo il taglio del numero dei parlamentari i posti disponibili diminuiscono sensibilmente senza che si sappia dove riciclare i molti che rimarranno fuori (e con una legge elettorale che probabilmente rimarrà quella attuale gestire le “quote” sarà un’impresa).

E’ una transizione di sistema ciò che Letta sarà chiamato a gestire e per farlo dovrà partire dalla ricostruzione di un nuovo “modo di essere” del PD in quel diverso paesaggio che lo aspetta, specie dopo il terremoto dell’esperienza pandemica. Che egli sia intellettualmente ben attrezzato per comprendere questo tornante lo si può dare per scontato.

Altrettanto di può dire per la sua capacità di interlocuzione con molti centri, italiani ed internazionali, che sono coinvolti nella transizione. Ciò che si dovrà verificare è la sua capacità di tradurre tutto questo in una “proposta politica” capace di costruire e motivare una aggregazione intorno ad essa.

Non deve porsi lo stantio problema se questo significhi posizionarsi al centro o a sinistra (anzi eviti di dare spazio a quelli che gli parlano in quei termini). Deve costruire un progetto, dargli degli obiettivi, mettere a punto le procedure e gli strumenti per arrivarci. Questa dovrà essere la sua proposta al Paese, non per determinare cosa farà Draghi domani, ma per indicare il ruolo che il PD potrà avere nei prossimi cinque-sei anni.

Lasci a quelli che amano le etichette, perché non sanno cosa dire d’altro, dibattere se saranno prospettive di destra o di sinistra : l’importante è che facciano fare dei progressi al Paese.


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