Palazzo Montecitorio, sede della Camera dei deputati
4 minuti per la letturaMentre la pandemia continua a svilupparsi in maniera drammatica, le forze politiche rimangono prigioniere del loro passato. Partiti di lotta e di governo? No, semplicemente partiti elettorali, che stanno con un piede dentro e uno fuori da un governo con cui non riescono ad identificarsi. La ragione è abbastanza semplice: tutti temono, o meglio sanno che quel che di buono realizzerà l’esecutivo Draghi non verrà attribuito a loro merito.
Così assistiamo alla caparbia riproposizione di vecchie bandierine, perché si continua a credere che sono quelle a fare da punto di riferimento per la raccolta del consenso: una partita che si riproporrà in autunno con le comunali (e tutti continuano a guardare lì) e poi ad inizio del prossimo anno sbrigata l’incombenza di eleggere il successore di Mattarella. Sembra che a pensare al tanto d’altro e di più importante che ci troviamo davanti ci sia poca voglia.
Ciascuno guarda agli avversari e ai competitori e si compiace di vedere confermate le coordinate che lo convincono che tutto sia rimasto eguale. Pensavate che la Lega e Salvini si fossero convertiti all’europeismo? Tranquilli il leader vi ripropone la fondazione di un gruppo al parlamento europeo con Lega, polacchi e ungheresi. Non si capisce cosa ci possa guadagnare. Non peserà così a Bruxelles e in Italia indebolirà ulteriormente i frutti della sua partecipazione all’alleanza governativa di responsabilità nazionale. Gli sarebbe bastato mettere in stand-by quella partita, visto che poi dubitiamo che l’elettorato leghista sia nella sua stragrande maggioranza fisso a guardare a cosa si fa nella Ue.
Forza Italia è tornata al governo, piazzando anche alcuni ministri significativi. Ne approfitta per rivedere la sua collocazione nell’ambigua compagnia della demagogia destrorsa? Non sembra proprio. Certo qualche rivendicazione del suo ruolo di componente “moderata” si deve fare, ma badando di ripetere che la collocazione è saldamente nel centrodestra. Del resto se esce da quella non può pensare di piazzarsi bene alle prossime elezioni: in una diversa coalizione non la vogliono, e la legge elettorale sembra destinata a rimanere quella in vigore. Dunque bene sostenere Draghi, ma al tempo stesso anche tutti quelli che di sacrifici non vogliono sentir parlare.
I Cinque Stelle lavorano per il ritorno del modello Conte, che significa la loro egemonia elettorale ceduta al “papa straniero” ormai acquisito nelle proprie fila. Cambiamo tutto, ma sosteniamo che è tutta una naturale evoluzione di quel che si è sempre detto. Come si possa crederlo rimane misterioso, ma in fondo basta fare una fuga in avanti. Raccontiamo che è tutta una marcia verso l’eldorado ecosostenibile che si raggiungerà nel 2050, e prendiamo per buona quella data senza porci il problema di spiegare perché. C’è un impegno internazionale a raggiungere grandi obiettivi per allora, ma che si sia poi in condizione di mantenere le promesse non lo sa nessuno.
Il tema vero è conquistare l’egemonia di quello che una volta si chiamava il campo del centro-sinistra, in altre epoche del “progresso” (ma è un concetto poco grillino), e qui si può contare sulla volonterosa collaborazione di una parte almeno del Pd. Il partito erede di quelli storici della sinistra appare in piena confusione. È stato piantato di punto in bianco dal suo segretario che non ne poteva più delle correnti (non si sa se inclusa o esclusa la sua), ma il risultato inevitabile è che saranno le correnti a deciderne la successione. E chi se no? Le Sardine? Anche qui il tema rimane quello della caccia al voto: cosa legittima e inevitabile se significa lavorare per conquistare il consenso a proprio favore, molto discutibile se significa architettare confederazioni con questi e quelli, perché così si farebbe il famoso “campo largo”.
Insomma sta sparendo la dinamica naturale del confronto democratico: votate noi, perché realizzeremo questi progetti concreti e ben articolati. Al contrario votate noi, perché siamo “più belli” degli altri, perché non potete sostenere quelli che sono brutti e cattivi. E per ottenere quell’obiettivo è tutta una questione di “alleanze” di “somme di voti”, non di maggioranze da costruire attorno a degli obiettivi di contenuti e non di occupazione delle posizioni di potere in palio.
C’è da dire che è la vittoria dell’antipolitica nel momento in cui torna prepotentemente in campo la domanda di politica vera. Quale partito si pone per esempio il tema di come si potrà riorientare quella parte della nostra economia che si basava sullo sviluppo del turismo di massa? Può darsi che chiusa la fase della pandemia (ma quando?) tutto riprenda, ma non è detto e non si sa quanto tempo sarà necessario, mentre chi traeva reddito da quel sistema non può essere né abbandonato a sé stesso, né banalmente mantenuto a base di ristori infiniti.
Come uscirà ristrutturato il sistema industriale italiano, quando si sa che non sarà possibile salvare tutte le aziende decotte e che non è chiarissimo né da cosa né in che tempi saranno sostituite? Sono esempi di domande a cui i partiti devono rispondere, lo facciano, per usare vecchie categorie, da destra o da sinistra. L’illusione della conservazione del passato o del miracolo che ci traghetta in un mondo nuovo è follia. Certo al momento c’è una solidarietà reciproca, diremmo di sistema, fra tutte le forze politiche: lasciamo perdere su queste cose e concentriamoci sulle alleanze, che è un terreno su cui tutti siamo ben attrezzati. Tanto ci saranno le elezioni e al governo pensino quelli che ci stanno.
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