Il presidente del Consiglio Mario Draghi
4 minuti per la letturaPiù o meno larvatamente, c’è una fetta di mondo politico-mediatico che sparge scetticismo sull’azione del governo Draghi. Senza spingersi ad attaccare direttamente il Quirinale che di quella scelta è responsabile, vengono messi in luce aspetti critici su scelte di palazzo Chigi – tipo la consulenza con McKinsey o il ribattezzato condono per sanatorie fiscali di lieve importo – che sono distoniche rispetto alle modalità del predecessore dell’ex presidente Bce. Senza dimenticare l’aspetto più pungente sotto il profilo squisitamente politico consistente nell’aver ridato fiato alla Lega e al suo leader.
Ogni opinione è legittima, naturalmente. Sorprende tuttavia che questa sponda critica non valuti adeguatamente ciò che è accaduto negli ultimi giorni nel rapporto tra Draghi e la Ue a proposito dei vaccini. Com’è noto, il presidente del Consiglio ha bloccato la fornitura di 250mila dosi di siero Astrazeneca prodotte in Italia e destinate all’Australia, spiegando che quelle fiale erano prioritarie per le vaccinazioni di massa volte a frenare la pandemia nel nostro Paese, dove la situazione è peggiore che fuori dall’Europa.
Una mossa di grande impatto che se in un primo momento ha provocato perplessità ed imbarazzi negli Stati Ue che ospitano gli stabilimenti produttivi (Germania, Belgio, Olanda e Spagna) e qualche sospettosità all’Eliseo, pian piano ha acquisito consistenza fino ad essere stata fatta ufficialmente propria da Bruxelles nonché condivisa da Macron. Al punto che la presidente della Commissione, Ursula Von der Lyen, ha manifestato “pieno sostegno e allineamento con l’Italia”, giudicando “consensuale” la decisione di Draghi.
Si possono avere tutte le opinioni possibili ma è impervio non rilevare nelle mosse del premier una capacità di comprensione delle cose e un’altrettanta capacità di intervento che fanno breccia nelle capitali europee grazie al prestigio e all’autorevolezza di chi le esprime. In questo modo Roma torna ad avere (o magari ottiene come quasi mai in passato) un ruolo d’avanguardia in ambito europeo. Non è poco. Ma c’è un di più. Mettendo la sordina all’enfasi che è sempre cattiva consigliera, non è tuttavia esagerato rilevare che su un fronte delicatissimo e fondamentale per la stessa sopravvivenza della Ue (che se perde la battaglia dei vaccini e dei finanziamenti contro la crisi va in tilt), l’Italia e il suo presidente del Consiglio fanno da battistrada orientando le decisioni degli altri partner.
È vero che l’attenzione dentro i confini nazionali è concentrata sul piano di vaccinazioni di massa; come pure è tradizionale il provincialismo politico-mediatico tricolore per cui si preferisce guardare il proprio ombelico trascurando tutto il resto. Però il modo con il quale Draghi si confronta con i pari grado continentali, e l’attenzione, il rispetto e in particolare la condivisione che circondano le sue scelte, dovrebbero essere tenuti in maggiore considerazione: rappresentano un patrimonio di credibilità che risulterebbe autolesionistico trascurare.
In altri termini, se Draghi è SuperMario non solo dalle nostre parti ma anche e soprattutto fuori dai confini nazionali è un bene per tutti e il minimo che si possa fare è riconoscerglielo, forse assegnando più valore a cose del genere che non al conteggio delle frasi che pronuncia in una settimana o in un mese.
Non basta. La capacità di intervento e di persuasione del premier fanno da alone ad una condizione politico-istituzionale anch’essa decisiva, che pure ha a che fare con l’Europa ma ha risvolti importanti in Italia. Anche qui il riferimento è a Salvini. Gli stessi che mugugnano su Draghi, a voce assai più alta criticano la svolta europeista del Capitano a loro giudizio troppo estemporanea per essere affidabile: fuffa propagandistica destinata a essere abbandonata al primo cenno di mutata convenienza.
Può essere, si vedrà. Ma anche qui è complicato non vedere come il fatto che il Carroccio sia in maggioranza ha costretto Salvini – fondatamente o meno – a riporre lo spadone dell’antieuropeismo e del sovranismo spinto. A maggior ragione dovrà perseverare in quell’atteggiamento se si dimostra vero, come sta accadendo, che Draghi – fuori dagli stereotipi del dover fare la voce grossa, sbattere i pugni sul tavolo e altre simili amenità che vanno bene per i gonzi – fa breccia nelle Cancellerie europee e guadagna uno status e un ruolo per l’Italia di grande rilievo.
È facile infatti immaginare Salvini di quale cannoneggiamento verso Bruxelles sarebbe stato capace se avesse avuto, per così dire, le mani libere. Attacchi che peraltro avrebbero colto nel segno visti i ritardi, le lungaggini, le furbizie e i veri e propri errori fatti dalla Ue sull’approvvigionamento dei vaccini e sui contratti stipulati con le aziende produttrici. La realtà è che proprio la presenza di Draghi tranquillizza l’Europa riguardo gli atteggiamenti della Lega.
E se si svuole sconfinare, così quasi per gioco, nella fantapolitica è difficile non percepire che la rassicurazione di SuperMario può diventare fondamentale nel momento in cui si sceglierà il successore di Mattarella e alle elezioni politiche a prevalere dovesse essere un centrodestra appunto a trazione leghista. Traduzione: Salvini a Palazzo Chigi è un incubo per molti in Italia e in Europa. Certo però che se c’è Draghi al Colle…
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