Beppe Grillo con un casco da astronauta a Roma
6 minuti per la letturaÈ incredibile e anzi perfettamente logica la ridicola e surreale caparbietà con cui le televisioni e gli show più o meno politici cercano di imporre un falso globale. Il falso globale è quello di un caro e stimato malato, forse moribondo, cui tutta l’Italia onesta è devota e comunque in palpitante apprensione. Ce la farà? Non ce la farà? Qual è il suo male più profondo? Quali farmaci prende? Avete fatto una Tac di recente?
Il malato in questione è quel grumo, bolo o malloppo indigesto formato dall’innesco o poltiglia di quel che resta del PD e quel che resta del Movimento Cinque Stelle. La finzione consiste nel far credere che il tema di cui parlano gli italiani a tavola sia: chi succederà a Zingaretti? Ma davvero Beppe Grillo con lo scafandro vuole diventare segretario del PD? Ma che cosa succede fra i cinque stelle? Ma che cosa ne sarà di Di Battista, e che ne sarà di Di Maio e come faranno questi due acquitrini a formare di nuovo un mare lucente su cui far navigare l’Italia?
Intanto, ieri Draghi ha dato un’ennesima prova di sobrietà mediatica. Ha parlato dell’Otto marzo in modo sobrio e i telegiornali hanno potuto pubblicare una sua foto fissa con un riassunto delle cose dette, peraltro in un linguaggio di circostanza.
Rispetto al passato presenzialismo di tutti i membri dei precedenti governi, un bel salto di qualità, ma ci permettiamo in tutta sincerità di dare un suggerimento al professor Draghi. Questo: signor presidente del Consiglio, nelle circostanze gravi e anzi eccezionali che l’hanno portata a guidare un governo che sta a metà fra l’emergenza e l’unità nazionale, lei ha accettato un ruolo di leader. Lei pensa in inglese, oltre a parlarlo in modo eccellente e sa bene che cosa sia la leadership. La modestia e la compostezza sono virtù lodevoli come anche il ritrovato senso della misura.
Tuttavia, è la nostra impressione, poiché questo Paese allo stremo l’ha accolta quasi universalmente con grande gioia e altrettanta speranza, pensiamo sia arrivata l’ora in cui lei accetti la croce che si è caricato sulle spalle e faccia il leader. Non soltanto essere, ma anche apparire, ci sembra importante.
È importante farlo con gusto e sobrietà, soltanto quando è indispensabile, ma ci sembra che oggi sia davvero indispensabile che una persona del suo rango e nella sua posizione eccezionale – ed anche anomala perché risponde ad una grave anomalia democratica – debba uscire dal camerino, entrare in scena sotto in riflettori e dire qualcosa.
Sul che cosa, non ha bisogno di consigli. Ma dica di essere il leader perché è questo il contratto che lei ha firmato e perché l’Italia ha bisogno di un pilota che faccia quel lavoro delicatissimo che fanno i piloti delle navi che attraversano lo stretto di Suez: ci vuole qualcuno che sappia portare la nave da un mare all’altro lungo un budello stretto e difficile. Fine della metafora.
Nel frattempo, come dicevamo all’inizio, il chiacchiericcio televisivo e anche radiofonico per non dire di quello sui social, finge di che la questione sia davvero sapere se Zingaretti facesse sul serio o faceva finta, se Conte ha accettato di guidare i Cinque Stelle su richiesta del Grillo scafandrato per evitare che si faccia un partito da solo in grado di scippare una bella fetta del movimento e anche del PD, mentre in realtà agli italiani di tutto ciò non importa nulla. E si assiste a un vero accanimento su temi assurdi e bislacchi, come l’attacco forsennato dei pentastellati, seguiti passivamente anche dalla Meloni contro la McKinsey & Company ingaggiata come consulente tecnico dal governo per una ridicola parcella di meno di trentamila euro.
È ridicolo, ovviamente, come tutto ciò che fanno i Cinque Stelle che non hanno tempo per studiare, capire, elaborare e che infatti spediscono regolarmente davanti alle telecamere dei telegiornali qualcuno dei loro, maschi o femmine, con gli occhi strabuzzati a pronunciare frasi ansiogene e insignificanti. Ma McKinsey significa “multinazionale” e multinazionale è una evocazione con l’idea cretina della cupola mondiale che governa le borse, le banche e ogni potere, rinnovando i fasti fascio-nazi-comunisti delle demoplutocrazie giudaico-massoniche capitaliste unite in un’unica congiura, con tutto il loro codazzo di malfattori.
Si può essere più cretini? Difficile. Ma non si tratta soltanto di scarso quoziente d’intelligenza: si tratta prima di tutto del primato della scorciatoia. La scorciatoia come ideologia, dell’idea secondo cui non solo uno vale uno scivolando verso gli abissi della decrescita felice, ma lo deve fare seguendo poche e intuitive indicazioni stradali. Tutte sbagliate. Tutte le indicazioni stradali offerte dal M5S e purtroppo anche dal gruppo dirigente del PD, portano a sbattere.
Un Paese democratico deve avere sempre di riserva uno schieramento alternativo a quello di governo, che ambisce ad andare al governo e che è rispettato per questo. Non da noi. Da noi la rispettabilità è decisa da un gruppo di televisionisti che senza rendersene conto – massì, che se ne rendono conto – si comportano come esorcisti. Non vogliamo fare la spunta dei nomi, è un esercizio che potete fare comodamente da casa vostra col televisore acceso e spostandovi lungo le fasce delle News.
Quando qualcosa di particolarmente psichiatrico o irrilevante accade in quell’area – come le improvvise e stupefacenti dimissioni di un segretario che dà dei malfattori ai suoi colleghi di partito affamati di potere e di poltrone – il circo mediatico si raduna sotto le sue tende per fingere di dibattere il seguente tema: che cosa avrà “realmente” in mente quel segretario, furbo come un campione di scacchi?
E vanno avanti così per giorni, con esercitazioni macabre sui nomi delle femmine del partito, esibite come possibili viceministre o sottosegretarie, mentre dall’altra parte nell’anima torbida del populismo grillino si praticano sacrifici umani, scomuniche, espulsioni, purghe staliniane, roghi, esilii oltremare, in un globale incanaglimento delle parole, con un’ondata limacciosa alle spalle di insulti via social, una lunga notte dei morti viventi come in un film horror di Quentin Tarantino.
Così oggi siamo di fronte a due impasti della politica di natura opposita fra loro: da una parte quello del populismo cialtrone e ignorante che scatena muffe crociate sule parcelle di uno studio di tecnici, dall’altra l’estrema e quasi lunare sobrietà del leader Mario Draghi che non vuole cedere nulla allo stile del passato per impartire lezioni di sobrietà.
Ora, è vero che l’Italia ha stanca di ubriachezze parolaie e di decreti ingiuntivi, improvvisazioni e commissari incompetenti, ma è anche vero che l’Italia è depressa, colpita al cuore come nella canzone di De Gregori, irata per le beffe e l’incompetenza, grata e speranzosa per l’arrivo di una squadra di governo che finora non ha avuto lo spazio e il tempo necessari per stupire e illuminare l’arena con qualche accettabile effetto speciale, usando il ritorno alla normalità come propellente.
È un equilibrio difficile, un compito infernale, lo sappiamo, ma non si tratta soltanto di un compito tecnico, ma anche politico nel senso onesto del temine. È ora cioè – lo ripetiamo un’ultima volta – che il nuovo stile si incarni nelle persone oltre che nei fatti e che un nuovo stile nello stare sul proscenio scacci i fantasmi del passato, quella torma di sciacalli, stracci e morti infuriati che fini qui ha mantenuto intatto il suo dominio televisivo, nello sforzo satanico di impedire la comprensione del mondo reale, di valutare e di legittimare le azioni dei governi.
“Vaste programme” come rispose De Gaulle quando gli proposero di fucilare tutti gli imbecilli. Ora, qui si tratta di liberarsi non tanto degli imbecilli quanto dai manipolatori dei piccoli schermi. Qualche segnale già c’è stato, perché comincia a scarseggiare l’acqua in cui nuota il pesce della manipolazione, e perché gli usurpatori della notizia comprendano che forse è tempo di migrare.
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