Nicola Zingaretti
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Ed al termine, Nicola Zingaretti ha gettato la spugna, non sopportando “lo stillicidio che non finisce” per cui “mi dimetto da segretario del Pd dove da 20 giorni si parla solo di poltrone e primarie” quando il mondo deve fare i conti con una pandemia che è “esplosa”. Poi ha fatto scoppiare una bomba, “Mi vergogno di chi parla di poltrone nel Pd”.
I NUOVI RENZIANI
Sono state un fulmine a ciel sereno le dimissioni di “Zingaro”, non annunciate ma dalle 16,20 di ieri pomeriggio hanno colto di sorpresa il mondo politico, non solo dei Dem. Le ragioni di un dissidio con le correnti, mai sparite nel partito, sono alla base del gesto di Zingaretti per il quale si aprono adesso le porte del paradiso: può mettersi a correre per fare il sindaco di Roma?
Oppure tutto potrà rientrare ed il governatore del Lazio si prepara a una mossa strategica con Matteo Salvini per un patto su una riforma della legge elettorale di ispirazione maggioritaria? La domanda ricorrente a Montecitorio è se le dimissioni saranno confermate nelle prossime giornate. Serpeggia un dubbio nel partito: “È un vero addio o una mossa per restare, con più forza di prima? E’ piovuta una pioggia di tweet e post in cui, comuni cittadini, gli chiedono di rimanere in sella.
La contestazione muove una base, sotto choc dall’arrivo di Mario Draghi al governo. La maggioranza è mutata, non comandano tre partiti (Pd-M5S e Italia Viva) ragion per cui gli accordi presi un tempo non sono più da considerarsi validi. Vengono cancellati di punto in bianco. L’altra sera, Zingaretti ha parlato alla direzione del Pd del Lazio delle difficoltà di accordarsi con il centrodestra. “Nel centrodestra – ha detto – sta venendo meno la disponibilità a fare la riforma elettorale e probabilmente stiamo andando verso un diverso sistema maggioritario”.
Ma aldilà dell’accordo con Salvini, ovviamente smentito ma confermato da alcuni giornali, viene a galla una verità, le continue pressioni che arrivano da una minoranza di base per riportare in auge il fondatore di Italia Viva, Matteo Renzi. Il match è stato rimandato alle giornate del 13 e 14 marzo. Il dubbio è relativo al fatto che le dimissioni possono ostacolare piuttosto che fare chiarezza nel quadro politico del centro sinistra dove sta per insediarsi Giuseppe Conte alla guida del Movimento 5Stelle.
C’è scetticismo che la crisi possa agevolare i rapporti interni già debilitati dal cannoneggiamento di Renzi sul governo Conte 2. E gli uomini vicini a Renzi vengono comunque additati per aver provocato questa empasse politica che può soltanto aggravare, non certo migliorare, le condizioni del Pd. Quando si sono diffuse le notizie sulle dimissioni, il partito è apparso completamente sotto choc.
L’ASSEMBLEA DEL 13
Diversi dirigenti hanno spiegato che nessuno era stato informato mentre cresceva l’attesa per l’Assemblea nazionale del 13 e 14 marzo che avrebbe dovuto affrontare le divergenze interne sulle quali spiccava la richiesta di un congresso anticipato.
“Stamattina – ha riferito un dirigente – c’erano anche riunioni al Nazareno, ma nulla è trapelato”. Non c’è dubbio che sia stata una scelta sofferta, la riservatezza mantenuta lo fa intendere piuttosto bene. Non ne ha parlato con nessuno, neppure con i suoi vice. Evidentemente non si fidava più di alcuno. Quasi tutti hanno appreso la notizia attraverso i social e le agenzie di stampa. Ed è stato un terremoto.
Troppo presto, ancora, per delineare come completare il quadro politico. La pioggia di tweet e di post è impressionante e di questo ne dovrà prendere atto il partito. Ma Zingaretti ha caricato di una valenza politica la sua mossa: l’ha fatta a distanza di due anni esatti da quando è stato eletto. Ed è per questo che nella pioggia di tweet che sono caduti, gli iscritti chiedono al segretario di non mollare, di restare in sella. Persino il suo avversario interno, Graziano Delrio, che aveva chiesto un congresso per rimettere in discussione il segretario, ora fa retromarcia. Evidentemente è stato colto, anche lui, di sorpresa.
«NICOLA RIPENSACI»
E chiede che “in un momento così grave e difficile per il Paese, il Pd ha bisogno che Nicola, che ha sempre ascoltato tutti, rimanga al vertice del partito. Il dibattito interno è fisiologico e non dev’essere esasperato”. Pure Dario Franceschini, negli ultimi tempi indicato contro il segretario, ora fa quadrato attorno a lui. La notizia giunta mentre era riunito il consiglio dei ministri non è stata commentata dai rappresentanti dei partiti al governo “non ho visto particolari tensioni” ha rivelato una fonte.
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