Uno striscione contro il governo Draghi in una manifestazione di Potere al Popolo e altre formazioni di sinistra
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Il governo Draghi incassa come previsto la fiducia anche alla Camera ed è pienamente in carica. Adesso ci sarà il passaggio della nomina dei viceministri e sottosegretari e sarà un altro capitolo che farà capire qualcosa di quel che avviene nei partiti e di come il premier cerca di affrontare le problematiche che questo pone.
Per intanto c’è da trarre qualche bilancio da quel che si è ascoltato nei due dibattiti sulla fiducia che sono stati molto ampi e senza peli sulla lingua. Qualcuno considererà questo come un dato positivo, ma la cosa è discutibile. Non perché la trasparenza sia da disprezzare, ma perché ci sarebbero anche dei modi per esercitarla, visto che stiamo parlando di sedi istituzionali che dovrebbero svolgere anche un qualche ruolo pedagogico.
Pazienza che una giovane deputata di terza fila del M5S si rivolga a Draghi dicendo che “le faremo le pulci” (folklore), meno pazienza che sia il capogruppo pentastellato al Senato che afferma che “romperemo le scatole”, ma insomma si dovrebbe capire che si vota la fiducia ad un governo in cui quel partito è rappresentato, e non proprio marginalmente, sicché se non si ha fiducia in questo le basi su cui si regge il governo sono piuttosto fragili
L’EMERGENZA
Ciò che si è visto in questi dibattiti è stato in sostanza un confronto continuo fra i partiti della maggioranza (monstre) e Draghi, non un dibattito sul ruolo che questi affidano al “loro” governo. Correre a mettere in evidenza che ciascuno si aspetta dal premier che faccia esattamente quel che il suo partito si aspetta e avvertirlo, a volte anche con spudoratezza, che non si sogni di toccare questa o quella propria “conquista” identitaria non testimonia una situazione risanata, ma solo una resa più subita che convinta ad una grande emergenza.
Giustamente l’ex segretario generale della Camera Mauro Zampini non si stanca di ricordare che l’art. 94 della nostra costituzione recita: “ciascuna Camera accorda o revoca la fiducia mediante mozione motivata”. Basta leggere il testo delle motivazioni sottoscritte da un lungo elenco di proponenti per vedere che di motivazioni non c’è nemmeno l’ombra. E’ più che comprensibile: se si scendesse su quel terreno ci si spaccherebbe.
SFIDA NON RACCOLTA
Ma i partiti non sono stati neppure in grado di raccogliere la sfida che veniva da un discorso di Draghi alto e di grande visione, che andava al di là dei problemi importanti, ma pur contingenti di questa legislatura. La crisi di visione della classe politica italiana in questo momento sarà ricordata nei libri di storia. Naturalmente ci si può anche attendere che questa debolezza sia una risorsa che alla fine il nuovo governo potrà sfruttare. A chi non sa andare al di là dello sventolare bandierine non dovrebbe essere difficile sfilargliele di mano. Nelle sue brevi repliche al Senato e alla Camera Draghi ha mostrato quanto possa fare in questa direzione: ha raccolto tutte le indicazioni, omettendo di sottoscrivere le soluzioni abborracciate che ogni partito avrebbe voluto sventolare: bene una riforma fiscale che alleggerisca i pesi, ma non parliamo di flat tax; certamente una riforma della giustizia che contempli la ragionevole durata dei processi su standard europei, ma non occorre dire che per farlo bisogna decantare le trovate di Bonafede; doverosa lotta alla corruzione, ma non si fa con le complicazioni legalistiche.
Adesso il problema sarà come tenere insieme questa maggioranza, perché farlo è una necessità: il premier non ha alcuna intenzione di varare fughe in avanti nel cesarismo che dribbla il parlamento. Perché è un sincero democratico, ma anche perché sa che quelle sono scorciatoie che portano all’inferno.
DOPO LO SHOW
Bisognerà vedere se i partiti dopo la partecipazione allo show che offre il dibattito sulla fiducia si concentrano a collaborare col governo considerando i temi notevoli che sono in campo. Il problema è che quello con Draghi sarà un terreno dove si avrà poco “visibilità”. Ci sono partiti che sono più attrezzati per un approccio meno da talk show. È confortante che il PD abbia rapidamente messo in soffitta la trovata dell’intergruppo con M5S e LeU: non si capisce a chi sia venuta in mente, le critiche sono state molte, ma soprattutto il gruppo alla Camera ha stoppato l’iniziativa. Non è un dato secondario visto che i Cinque Stelle hanno mostrato alla luce del sole la loro crisi interna e la scarsa capacità dell’ala maggioritaria di controbattere alle critiche degli avversari avviando una aperta revisione dei loro approcci demagogico-populistici. Naturalmente poi la questione si ripresenterà con il tema delle alleanze per le elezioni nelle città, ma staremo a vedere.
Sul fronte del centrodestra di governo ci sarà da capire quanto Salvini e la sua corrente siano davvero decisi a scommettere su un cambio di passo in vista di una legittimazione della Lega come partito “di sistema”. Qualche scivolata retorica sulle vecchie note ci sta, se rappresenta un occasionale cedimento alla nostalgia dei tempi passati, ma nella consapevolezza che adesso siamo in altro mondo.
LA VERA LEVA
In fondo la vera leva con cui Draghi può tenere sotto controllo la sua grande maggioranza e portare il parlamento a seguirlo sulla via della ricostruzione è un asse anomalo fra PD e Lega convinti nell’accettarsi come forze che diventeranno portanti, pur restando alternative, se ciascuna abbandonerà i vecchi lidi. La transizione è qui e allora Draghi la piloterà davvero.
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