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Mario Draghi a Montecitorio

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Un garbuglio. Ecco come si presenta la situazione politica con Draghi che deve provare a trovare un capo del filo per sbrogliare la matassa. Rispetto ai giorni passati secondo alcuni si vedono spiragli, rese alla realtà, ma siamo ancora alle strumentalità tattiche senza alcuna strategia degna di questo nome.

Partiamo pure dall’ultima sceneggiata dell’ex premier Conte: non una conferenza stampa in un quadro istituzionale, ma una dichiarazione allestita in mezzo alla strada, dove però ha mandato messaggi anche abbastanza espliciti. Al momento non è rilevante più di tanto l’annuncio che lui resta in campo e si candida ad essere il capo di un blocco fra M5S, Pd e LeU, non è chiaro se in quanto autoproclamato capo dei pentastellati o in quanto federatore con una propria squadra di pretoriani. Su questo si vedrà a tempo debito, perché se le elezioni non saranno a brevissimo, non è detto che il peso di Conte sia quello che oggi si immagina. Più importante la dichiarazione che lui non boicotta il tentativo di Draghi (e vorremmo vedere, visto che è una iniziativa di Mattarella!), ma si pronuncia per un governo politico e non tecnico.

Lì c’è del veleno, perché è su quell’aggettivo che si tenterà di far saltare tutto. Il riferimento che si fa al governo Ciampi del 1993 è curioso, perché temiamo che pochi si siano presi la briga di guardare chi erano i suoi ministri “politici”. Facciamo qualche nome: Beniamino Andreatta, Sabino Cassese, Livio Paladin, Paolo Barile, Leopoldo Elia, Alberto Ronchey, Luigi Spaventa, Gino Giugni (e, sia pure per un giorno, Augusto Barbera, che il PCI fece poi dimettere per il voto della maggioranza a sostegno di Craxi). Personaggi certo in vario modo legati, anche molto legati alcuni, ai partiti, ma tutti personalità di alto profilo, che avevano curricula di grande prestigio e che erano molto stimati. I partiti attuali hanno personalità comparabili da proporre a Draghi che deve ottemperare all’invito di Mattarella a formare un esecutivo “di alto profilo”? Qualsiasi lettore che abbia seguito un po’ la politica si risponde da solo, sia guardando in generale a chi hanno i disposizione alcuni dei partiti coinvolti, sia avendo in mente in specifico una serie di personaggi che i partiti vogliono a tutti i costi (fino al punto di aver fatto saltare l’accordo su un Conte ter pur di non rinunciarvi …).

Peraltro il problema di Draghi non è neppure tutto qui. Se così fosse, magari qualche sotterfugio per accontentare parzialmente alcuni appetiti pur di varare l’impresa si potrebbero anche fare, ovviamente ricordandosi che ci sono gangli delicati su cui non sono ammessi scivoloni. Tanto per dire, gli Interni, dopo aver visto cosa voleva dire averci un ministro che ne sfruttava più che altro le felpe e le opportunità per girare l’Italia, oppure quei ministeri che saranno per forza di cose coinvolti in qualche modo nella gestione del Recovery fund. Il fatto è che c’è un problema ben più complicato e riguarda il perimetro della maggioranza.

Il presidente Mattarella ha espressamente chiesto un governo di ampia solidarietà che non avesse colore di parte. Ma il blocco “contiano” non ne tiene conto e vuole invece mettere insieme un governo politico racchiuso nell’ambito della vecchia maggioranza. Così però si avrebbe un esecutivo debole e soprattutto privo di quell’elemento decisivo per fare con successo qualsiasi riforma: impedire che i contrari alle riforme (e ce ne saranno tanti) possano contare sul boicottaggio continuo al lavoro del governo che viene da opposizioni determinate a scardinarlo.

È qui che si presenta un altro nodo intricato dell’attuale garbuglio. Una maggioranza un minimo ampia deve includere i partiti del “centro” a cominciare da Forza Italia e se possibile arrivare ad una qualche coinvolgimento anche della Lega. Quelli che vogliono affossare Draghi (e ci sono) puntano esattamente su questo: i pentastellati e un po’ di pasdaran di PD e LeU non hanno intenzione di sostenere ministri di FI, figuriamoci della Lega; le forze del centrodestra disponibili al governo di tregua nazionale non possono digerire la presenza di pasdaran grillini o della sinistra dura e pura. Per evitare questo impasse al Quirinale si era pensato al governo di tregua che si collocasse al di sopra del tribalismo che domina i partiti attuali, ma i Cinque Stelle dicono no alla prospettiva, il PD timoroso li asseconda, per converso il centrodestra moderato non accetta comprensibilmente di apparire come chi porta acqua al mulino degli avversari dovendo accettare di star fuori dall’esecutivo.

Come se ne esce? Bisogna guardarsi dal subdolo suggerimento che vediamo circolare: se poi il governo fosse “a termine”, con elezioni assicurate a breve (possibilmente a giugno), allora andrebbe bene anche un governo tecnico. Tanto mentre l’esecutivo Draghi proverebbe a fare qualcosa i partiti si butterebbero nella più sfrenata e scalcagnata campagna elettorale della storia repubblicana. Ora, a prescindere che come ha ricordato opportunamente il costituzionalista on. Ceccanti i governi a termine non sono previsti (ma di eccezioni ne sono state tentate: si pensi alla famosa “staffetta” fra PSI e DC), in tre/quattro mesi non si raddrizza una situazione, ma soprattutto non si possono prendere impegni vincolanti e vincere resistenze radicate quando si sa che si ha di fronte un esecutivo con la data di scadenza come un qualsiasi alimentare nel banco di un supermarket.

Chi è convinto davvero che Mattarella sia una persona seria e responsabile non può pensare che abbia parlato di una situazione drammatica e decisiva solo perché quella sera si sentiva un po’ stanco. Dunque ne tragga le conseguenze dovute.


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