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L'Aula del Senato

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Nel caos attuale è impossibile mettersi a fare pronostici. Siamo sempre alla partita di poker, alla roulette, si è solo ampliato il numero dei giocatori di professione che si affollano attorno al tavolo. Quel che appare certo è che comunque andrà a finire la situazione rimarrà sostanzialmente quella che è stata: un paese che ha una classe politica incapace nel suo complesso di elaborare una visione condivisa della risposta da dare alle emergenze che lo affliggono.

È mortificante vedere che ci si affanna a sottolineare che il governo Conte può reggere anche se non raggiunge al Senato la maggioranza assoluta, ma solo quella relativa. Ha lo stesso senso che affermare la banalità che finché uno respira non lo si può tecnicamente considerare morto. I precedenti fanno testo solo se ci si ferma al dato grezzo, perché alcuni dei governi che hanno operato con maggioranze risicate hanno potuto fare almeno relativamente bene, perché erano comunque maggioranze politicamente coese e ben guidate, altri hanno vivacchiato senza gloria e non erano tempi di emergenza.

Il primo dato che emerge con chiarezza è che una nuova gamba politica per far andare avanti un governo Conte (questo o un altro) in parlamento non esiste. Lo spettacolo a cui assistiamo è quello di un movimentismo sfrenato di faccendieri politici che cercano di inventarsi che sono loro al centro della rinascita di un partito moderato che potrebbe risolvere la situazione. Il sentire che questo sarebbe anche un partito “cristiano” è umiliante per tutti coloro che danno un contenuto a questo termine (e il “frusciar di tonache” intorno, per usare una vecchia invettiva politica, suona male in un tempo in cui la tonaca non la portano più). C’è una ricerca di scambi politici, alcuni un po’ meno indecorosi, altri che pencolano verso il mercato delle vacche, cioè roba che non porta di sicuro lontano.

La situazione è preoccupante da più di un punto di vista, proprio perché siamo davvero in un passaggio cruciale. Ci si chiede come si potrà gestire una problematica gigantesca come la gestione del notevolissimo patrimonio che ci metterà a disposizione la UE con una maggioranza slabbrata, che ha già al suo interno molte tensioni, che ha già dovuto superare tentativi di colpi di mano a favore di questo e di quello, nel momento in cui dovrà accogliere al suo interno una nuova componente la cui affidabilità politica è a dir poco precaria. Come si farà ad evitare che per il Recovery Plan si debba cedere a richieste di nuove spese per bonus, sussidi e quant’altro, che gli investimenti rispondano a logiche di clientela anziché di sviluppo? Non sono domande banali e almeno quelle forze che non sono in politica con la logica del “prendi i voti e scappa” se le dovrebbero seriamente porre, a iniziare dallo stesso Conte che non sappiamo che convenienza possa avere a rimaner in carica per cadere poi sotto la responsabilità di avere gestito alla fine un fallimento storico.

Sarebbe miope non cogliere che, lontani dai riflettori del teatrino mediatico, non mancano politici che questi problemi se li pongono. Certamente sono difficilissimi da risolvere, perché l’aver ceduto alla teatralizzazione della politica lasciando briglia sciolta tanto a Conte quanto a Renzi (due ego di tipologia diversa, ma egualmente incapaci di gestirsi oltre la prospettiva del contingente) ha portato ad una situazione che è difficile ricomporre. Chi riflette sul quadro presente capisce che oltre al tema più che impegnativo della gestione dei fondi del Next Generation EU c’è quello dell’elezione, oramai in vista, del prossimo inquilino del Quirinale. È banale sottolineare che in entrambi i casi si tratta di questioni la cui soluzione peserà per un lungo periodo sulla storia del nostro paese: la gestione dei fondi UE si spalma almeno su sei anni, chi andrà al Quirinale ci starà per sette. Ecco perché di tutto questo dovrebbero farsi carico anche le opposizioni, uscendo dall’ottica di breve periodo che le assilla nell’illusione che ci sia finalmente l’occasione per la spallata che le riporterà al potere.

Come si chiuderà la vicenda di questa crisi mal provocata e mal gestita avrà un peso importante, forse decisivo sul futuro sviluppo dei nostri equilibri istituzionali, ma può darsi anche sociali ed economici. Si tenga conto che non basterà avere un qualsiasi governo in carica per godere di una buona gestione dell’emergenza: si vada ad un Conte 2.1, ad un Conte 3 o ad un esecutivo guidato da una nuova personalità, il tema rimarrà quello della sua autorevolezza e della capacità di chi lo dirige di non essere alla testa di una ciurma rissosa che è divisa al suo interno sul piano di navigazione.

Illudersi che a garantire il quadro ci sia la quasi impossibilità di precipitare nello scioglimento della legislatura con successive elezioni è pericoloso. Una prova elettorale non troppo in là arriva comunque e sono le amministrative che toccano alcune città simbolo: accadrà a fine primavera o ad inizio autunno, comunque accadrà. Arrivarci avendo un esecutivo poco omogeneo, costretto a tenere conto del potere di veto di ogni componente (già si sono visti i guai dell’aver concesso questo potere ai Cinque Stelle), porterà inevitabilmente ad un altro scrollone alla stabilità del nostro sistema. Questo è ciò che proprio non possiamo concederci coi tempi che corrono. Ne tengano conto tutti quelli che predicano a vanvera delle virtù del congelamento dell’attuale quadro.


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