Giuseppe Conte e Matteo Renzi
3 minuti per la letturaPiù che una tregua vera e propria, la sua durata è legata al periodo di Natale. Niente di più, niente di meno. Chiuso il capitolo sulla task force, ora la partita sul Recovery plan è destinata a trasferirsi al Mef. All’inizio della prossima settimana arriveranno sul tavolo del premier, Giuseppe Conte, le osservazioni dei partiti di maggioranza. E prima della fine dell’anno avrà luogo un Consiglio dei ministri che dovrebbe dare il “via libera” politico al piano.
E come seconda tappa si dovrà approfondire il capitolo sui criteri di spesa. Che cosa possa accadere da qui alla prossima settimana non si sa.
Il premier Conte ha chiuso lo scontro sul Recovery nel salotto di Porta a porta ma ha aperto altri due fronti, uno sul Mes, il secondo, sulla gestione dei Servizi segreti. Non chiude al rimpasto ma si tira fuori dalle polemiche, scaricando la responsabilità ai partiti. “La crisi non è nelle mie mani. Si va avanti solo se c’è la fiducia , ma reale”. Poi scarica ancora: “Ma nessuno mi ha chiesto “un rimpasto.
Per adesso, l’instabilità regna sovrana e malgrado le promesse, di entrare in un periodo felice, le schermaglie continuano senza sosta. Matteo Renzi si sarebbe mostrato soddisfatto, nelle riunioni con i suoi, perché finalmente si sarebbe entrati nel nocciolo della questione, ovvero si parlerebbe di merito. E continua a insistere sul Mes, che è l’oggetto del contendere con i 5Stelle, convinti, a loro volta che non c’è alcun bisogno di quei denari.
Ma tra i renziani ed alcuni settori del Pd si comincia a valutare positivamente il dialogo con Palazzo Chigi. Ovvero, del passo indietro compiuto sulla task force ma anche del coinvolgimento, dei maggiori esponenti della maggioranza. Cosa vera fino a un certo punto, perché ieri si sono alzate altre fiammate polemiche tra Renzi e Conte. E non sono mancati momenti di aspro confronto – come riportato dall’agenzia Italia – anche al vertice con Teresa Bellanova.
Quando il premier avrebbe negato che la cabina di regia sia stata inserita in un emendamento alla legge di Bilancio. Tensioni si sono avute anche quando Italia Viva ha portato sul tavolo il dossier sui riti alternativi legati alla riforma della prescrizione.
Ma l’attacco più forte, è stato quando Renzi ha messo nel mirino il ministro Dario Franceschini, capo delegazione Dem al governo, ben sapendo che la pax si regge su alcuni capisaldi, su alcuni dei quali ha messo la faccia la Bellanova.
Di Franceschini Renzi ha detto che non è “il Ribery della politica”, dicendosi convinto che “non andremo al voto, perché penso che ci sia una maggioranza in Parlamento ed io credo che il buonsenso preveda che si smetta di litigare e si comincino a spendere i soldi del Recovery”. Se qualcuno (Franceschini, ndr) pensa di minacciare il voto,” è sbagliato. In democrazia il voto non è una minaccia”. Franceschini “ministro del Turismo si occupasse degli alberghi. Il presidente della Repubblica non è Franceschini ma Sergio Mattarella. Franceschini sta bleffando come si fa nelle partite di poker in politica, ma qui non c’è da giocare”.
Poi si è rivolto al premier Conte il quale, secondo Renzi, “deve decidere cosa fare per il futuro, per i prossimi 2 anni e mezzo ci arrivano più soldi e non possiamo buttarli via. Buonsenso vuole che si smetta di litigare e si inizino a spendere i soldi. Non ho trattative o inciucetti”. Quanto al Mes ha insistito nel dire che “i 36 miliardi andrebbero utilizzati per rimettere in sesto la sanità e per liberare 9 miliardi” previsti nel piano Recovery.
Ma un consiglio ciclistico, a Renzi, lo ha riservato Romano Prodi, sempre attento alle virgole e assai caustico: “Adagio nelle discese e attento alle curve”. Perché penso che trovare un’alternativa sarebbe complicato. “Dipende dal Quirinale, ma è facile scivolare verso le elezioni. Credo però che solo un incidente possa far cadere questo governo, incidente che può sempre capitare”.
Ma ieri le cose per il governo sono andate bene. Ha ottenuto dalla Camera la fiducia sulla manovra con 314 voti a favore e 230 contrari. Il ministro D’Incà aveva posto la questione di fiducia sul maxi-emendamento che tocca numeri record. In tutto si contano 1.150 commi che racchiudono i 254 emendamenti approvati nel week end in commissione Bilancio.
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