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Zingaretti, Conte e Di Maio in un murale

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Si può drammatizzare e si può minimizzare, sono queste le due tendenze (speculari) che animano buona parte degli osservatori politici. Entrambi i giochetti riescono bene se ci si sofferma solo sul tema della tenuta o meno del governo, perché ci sono ragioni per chiedersi come faccia a reggere una coalizione in continuo travaglio e con un premier che punta più a restare al suo posto che a stabilizzarla, ma ce ne sono anche altre (e ottime) per sostenere che non succederà niente, perché non ci sono le condizioni per far cadere Conte (manca un’alternativa pronta e il Quirinale non vuole crisi al buio) e dunque alla fine si tirerà a campare.

Qualcuno pensa che si possa rinviare tutto a gennaio, quando si sarà chiusa la partita della legge di bilancio senza la quale gli italiani in sofferenza non avrebbero i famosi “ristori” e interventi vari assimilati. È quanto ha espressamente detto Renzi, senza peraltro scoprirsi su cosa abbia in mente per il momento in cui, a suo parere, i giochi potranno riaprirsi.

A noi pare che però tutto ruoti attorno ad una decisione che modificherà non poco il quadro politico una volta presa, e cioè su come si deciderà di organizzare la gestione dei fondi europei (sperando naturalmente che dalla UE non ci siano sorprese su quel fronte, il che non è ancora del tutto escludibile). Infatti una volta assunta la decisione sulla fisionomia che prenderà la cabina di regia o struttura di missione che dir si voglia si sarà determinato un blocco di potere con cui si dovrà fare i conti per anni (almeno i sei dell’intervento di Recovery). Il problema è complesso. Non si tratta infatti solo di vedere quale sarà il vertice designato, cioè se alla fine la spunterà il progetto di Conte della triade fra lui, Gualtieri e Patuanelli. È naturalmente un fatto importante, ma è anche l’elemento più facile su cui incidere, perché ovviamente se cadesse il governo avremmo un nuovo premier e due nuovi ministri per l’Economia e lo Sviluppo. Altrettanto muterebbero i termini della relazione fra la triade di vertice ed i ministri del nuovo esecutivo. Certo potrebbe esserci qualche reazione in Europa, come si affrettano a far sapere Conte e i suoi, ma è impossibile che la Commissione possa intervenire in maniera decisa sull’equilibrio politico interno ad un paese membro.

La vera questione riguarda la struttura tecnica che affiancherebbe la triade, i sei manager con la loro struttura di esperti. Qui è evidente che un nuovo governo avrebbe enormi difficoltà a rimuoverli, perché si tratta di nomine varate con procedure giuridiche che necessitano di ragioni molto solide per essere riformate. Se poi questa struttura tecnocratica riuscisse a lavorare un tempo sufficiente per accreditarsi a Bruxelles, diventerebbe ancor più difficile incidere sul suo potere, che non è affatto marginale visto che sovrintende alla realizzazione degli interventi finanziati con un potere di giudizio sulle strutture a cui saranno affidati i vari interventi sino a disporre di un potere sostitutivo in caso di malfunzionamenti (una categoria che non è garantito non si presti a manipolazioni interessate). Ora questa potentissima tecnostruttura dovrebbe la sua nomina e le sue fortune al governo Conte e in particolare allo stesso premier, a meno che il meccanismo di designazione non venga loro se non sottratto almeno molto condizionato. Si può capire che questa sarebbe l’eredità che il Conte 2 lascia agli equilibri politici italiani dopo una sua eventuale caduta quando sarà. Se poi invece riuscisse a mantenersi al potere sino a fine legislatura, affronterebbe quel giro di boa col favore di quanto messo in cassaforte con la gestione del piano di rinascita consentito dai fondi europei.

I partiti e i vari gruppi politici che si sono organizzati attorno a questa contingenza dell’arrivo dei fondi europei sanno benissimo tutto quello che abbiamo cercato di illustrare. Per questo ci sono tensioni forti nel dare via libera al piano di Conte, che è veramente sostenuto solo dai Cinque Stelle che ci vedono la garanzia del loro futuro al cuore della politica italiana Il PD certamente ha riserve su questo modo di procedere che tende a togliergli la primogenitura come partito della rinascita del paese, ma soprattutto Renzi coglie benissimo che il successo di una tecnocrazia all’ombra di una politica debole come quella pentastellata significherebbe ridimensionare del tutto qualsiasi ambizione di partito del centro riformista (qualsiasi cosa possa significare questa espressione).

Vedremo come si uscirà da questo confronto a tutto campo, in cui è strano non cerchi di infilarsi l’opposizione. Non tutto è stato deciso dall’esito del consiglio dei ministri di ieri sera, perché, vista anche la sospensione dei lavori per la scoperta della positività al Covid della ministra Lamorgese, ci saranno passaggi ulteriori per trasformare quelle decisioni in strutture ratificate. Del resto il gioco tende ad allargarsi: vedi la richiesta a Bruxelles di un buon numero di regioni europee (che includono soggetti come la Baviera che definire all’italiana “regione” è piuttosto riduttivo) di avere un ruolo formale e garantito nella gestione del Next Generation UE. Non c’è solo lo scoglietto del 9 dicembre sul cammino del governo Conte, scoglietto che al 98% sarà aggirato. Il futuro, con una pandemia che non demorde, è ancora pieno di incognite.


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