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Montecitorio

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Nel cortile di Montecitorio, nel giorno del voto di fiducia sui decreti sicurezza, non si parla d’altro.

L’oggetto dei capannelli è la squadra che dovrebbe occuparsi dei fondi europei, previsti dal Next Generation Eu. «Il Recovery Fund? È tutto in alto mare» bofonchia un deputato di rito Pd assai vicino a Nicola Zingaretti che lamenta a bassa voce il ritardo del governo. Ormai trattasi dell’ultima saga del Bisconte.  Anche perché alcuni Paesi – leggi alla voce Francia, Spagna e Portogallo – hanno già presentato le rispettive proposte con tanto di progetti concreti.

E l’Italia? «Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie…» ironizza ma non troppo un parlamentare berlusconiano che è solito fare citazioni alte. Qui, insomma, siamo ancora in alto mare: si è ancora in modalità task force. Succede appunto che il progetto italiano del Recovery Fund – obiettivo accaparrarsi 209 miliardi – è in fase di formazione. Giuseppe Conte sta lavorando a una gestione piramidale che prevede una cabina di regia politica – composta dallo stesso premier e dai ministri Roberto Gualtieri (Mef) e Stefano Patuanelli (Mise) –  cui poi segue una struttura tecnica formata da 6 manager. Emerge poi che la squadra capitanata da Nicola Zingaretti gradirebbe un superdirettore generale a capo della struttura tecnica. Il cui nome resta top secret. Ed è un dilemma, quest’ultimo, che accompagna per ore il chiacchiericcio del palazzo. Qualcuno addirittura sussurra che nel mazzo del totonomi ci sarebbe finito Fabrizio Barca, il Barca figlio di Luciano,  già capo della Divisione ricerca della Banca d’Italia e già capo dipartimento per le politiche di Sviluppo e di Coesione. «Fanfaluche» ribattono in Transatlantico in un pomeriggio di alta tensione, con la riunione fra Conte e capidelegazione che forse slitterà ad oggi.

«Ma quale Barca? Vi ricordate cosa ha combinato con i circoli del Pd?». Risata generale da parte di democrat, azzurri e leghisti. Si scherza ma non troppo. Anche perché il rischio figuraccia è dietro l’angolo. E allora meglio fare piccoli passi. Meglio riflettere: restare in stanby altre 24 ore. Il vertice di maggioranza – Conte e capidelegazioni – è stato annunciato per ore ma quando scriviamo non è stato convocato. D’altro canto, le posizioni restano distanti.  

Basti pensare che solo al Nazareno si registra un Nicola Zingaretti pronto a sottoscrivere la proposta di Conte. A una condizione, però: che il segretario democrat e i suoi scelgano il supermanager della struttura tecnica. E sempre in casa il vice segretario Andrea Orlando sostiene che la pubblica amministrazione, così come è strutturata oggi, non sarebbe in grado di gestire i 209 miliardi messi a disposizione dell’Europa. Insomma, caos al caos. Eppure per le truppe di Matteo Renzi di task force «ne abbiamo avute anche troppe», come sottolinea Ettore Rosato.

I renziani preferirebbero, insomma, che fosse il Consiglio dei Ministri ad occuparsi di come spendere le risorse, avvalendosi della pubblica amministrazione per realizzare i progetti. Non solo. Addirittura c’è LeU che chiede di allargare la cabina di regia ai ministri Provenzano e Speranza. E i Cinque Stelle? La saga continua con la delegazione pentastellata che si mostra dubbiosa sull’andazzo. La richiesta di Luigi Di Maio e company suona più o meno così: «Che non si tratti di un Colao 2 la vendetta». Infine lo schema piramidale si compone di una task force che annovererebbe circa 300 esperti. «Ci mancano gli Stati generali a Villa Pamphilj» è la battuta che circola a Montecitorio. Ironizza sul punto Pierluigi Castagnetti, voce assai ascoltata dal Colle: «Dunque – cinguetta l’ex segretario del Ppi– Giuseppe Conte +3 ministri, + 6 capi area, +300 esperti. Trecento? Sì, trecento. Non so se sia il senso del limite o il senso del ridicolo, ma qualcosa eccede. Forza Italia propone poi di aggiungere anche i 945 parlamentari. Attenti al 118». E poi c’è chi come il leader di Azione Carlo Calenda lamenta: «Quando viene costruita una struttura parallela, piramidale, dove c’è Conte sopra, due ministri sotto, 6 manager e 300 persone sotto, è inevitabile che questa struttura vada in conflitto, perché i ministri devono firmare gli atti che sono decisi da altri».


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Francesco Ridolfi

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