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In questa strana atmosfera di attesa su come evolverà davvero la nuova fiammata epidemica, sul fronte politico non si può fare più che speculare sua una sorta di riedizione della famosa questione se sia prima nato l’uovo o la gallina. Cioè se essendo Conte e il suo governo in conclamata crisi di credibilità sia più probabile che cada vittima di questo stato di cose o che sopravviva nonostante tutto proprio grazie a questo stato di cose.

MATTARELLA

Da un certo punto di vista non si vede come, stante la situazione di grave difficoltà in cui versa il paese, sia immaginabile che si apra una crisi di governo. Escluso che la possa decidere Mattarella che non ha questo potere a norma di Costituzione e non è persona da forzare la Carta con i rischi che ne conseguirebbero, esistono solo due possibilità e mezzo che il governo giunga al capolinea. La prima, che sarebbe la più normale, è che uno o più partiti della maggioranza gli ritirino la fiducia. Al momento la cosa è tanto surreale, che non appena da uno qualsiasi dei pulpiti della maggioranza si alza una voce di critica al governo, subito ci si affanna a proclamare che nessuno però sta pensando di aprire una crisi. Anzi, dato che il troppo non fa mai male, a volte ci si affretta ad aggiungere che c’è fiducia in tutti i membri dell’esecutivo (si sa mai che qualcuno avesse in mente rimpasti). La spiegazione, magari solo fatta filtrare in modo abile, è che al momento un vuoto di potere sarebbe disastroso.

LE DIMISSIONI

La seconda possibilità per un cambio di governo sarebbero le dimissioni del premier. Solo ad enunciarla, l’ipotesi appare incredibile. Perché mai Conte dovrebbe fare una mossa del genere? Ha mai mostrato una vocazione al decisionismo, che pure è una componente necessaria per scegliere di andarsene piuttosto che farsi logorare a fuoco lento? Dunque sonni tranquilli, questo governo va avanti, nonostante malumori, baruffe e quant’altro.
Resta quella che abbiamo definito una mezza possibilità: il governo cade in una imboscata parlamentare che gli toglie la fiducia. Vediamo prima le occasioni per questa evenienza e poi spieghiamo perché la consideriamo solo una mezza possibilità. Il prossimo 4 novembre Conte dovrebbe andare in parlamento per illustrare quel che intende infilare nel prossimo DPCM, la cui necessità è data per scontata. Questa volta dovrebbe illustrarlo prima di firmarlo e dovrebbe sottoporre le sue proposte ad un voto del parlamento.

I COLPI DI MANO

Già qui ci potrebbe essere una possibilità per colpi di mano, ma ci pare arduo vengano fatti mentre il paese rischia di soccombere all’impennata del virus, senza che ci siano ancora dati definitivi sull’efficacia di quanto si è messo in atto (sembra che questo non sia possibile prima del 7-8 novembre). Dovrebbe seguire l’appuntamento la terza settimana di novembre per le decisioni sulla nuova versione dei decreti sicurezza: terreno più che scivoloso, soprattutto se non si spengono le ondate emotive per la risorgenza del terrorismo islamico degli accoltellatori. Ma siamo già un poco in là e tutto sarà condizionato dall’andamento che allora si registrerà sull’emergenza Covid.

LEGGE DI BILANCIO

Infine il 30 novembre inizierà alla Camera l’esame della legge di bilancio. Il passaggio è più che spinoso, perché di nuovo in quella sede ci si dovrà confrontare con una valutazione di come sta andando la lotta per il contenimento del contagio, ma anche con la prospettiva, che per allora dovrebbe essere un po’ più chiara, di come andrà la faccenda dei fondi europei, soprattutto quanto a tempi di erogazione. Anche qui però sarà valido il condizionamento, per non dire il ricatto consueto: facendo cadere il governo, vogliamo andare all’esercizio provvisorio? Vogliamo comunque mettere in gioco le nostre possibilità di ottenere i fondi europei?

FRANCHI TIRATORI

Non sono però queste le ragioni per cui riteniamo che i tre casi ricordati siano solo mezze occasioni per attivare una crisi di governo. Essi funzionerebbero in quel senso solo se ci fosse un vero e proprio ribaltamento di maggioranze: esplicito, conclamato e scientemente programmato. In questo caso ovviamente tutti, a partire dal Quirinale, non potrebbero che prendere atto della cosa, semmai provando a contribuire a risolvere la crisi nel minor tempo e coi minimi danni possibili. Se però così non fosse, la faccenda diventa diversa.

Poiché ci pare al momento improbabile prevedere che accada un evento in quei termini, ci sarebbe da immaginare piuttosto il solito sfrangiamento per cui un pugno di più o meno franchi tiratori fanno venire meno la tenuta della maggioranza. In quel caso però tutto diventa materia di interpretazione: siamo davanti ad un caso di sfiducia al governo o ad un caso di pirateria parlamentare che necessita di una verifica ulteriore? Come spesso è accaduto nella nostra storia parlamentare si chiederebbe il classico “rinvio alle Camere”, cioè che venga esplicitamente posta dal governo la questione di fiducia e in questo contesto azioni corsare diventerebbero non solo difficili, ma rischiose, perché farebbero aprire una crisi non al buio, ma nel buio più pesto di vendette, ripicche e quant’altro con le ricadute immaginabili sulla ormai fragile tenuta del nostro sistema.

Non sappiamo però se questi scenari prefigurino una “tenuta” del governo o una sua sopravvivenza con accanimento terapeutico. In fondo questo è il vero dilemma.


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