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Il governo Conte bis

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In attesa di una scossa di terremoto si puntellano le case, anziché fare interventi seri di consolidamento, tanto si conta che la scossa non sarà più forte di tanto e dunque inutile impegnarsi in interventi costosi. Ci sembra la perfetta metafora per descrivere quello che sta accadendo alla politica del governo.

I partiti della coalizione non godono di ottima salute e quanto a convergere sulle politiche da attuare non è che si facciano grandi passi avanti, anche se a parole si cerca di mantenere un certo bon ton. Il governo non dà segnali di capacità di intervento, salvo quelli volti a tenere in piedi ad ogni costo le sue leggine. Dopo la scivolata sulla norma per prolungare i vertici dei Servizi inserita a sproposito in un decreto legge Covid e che si è dovuta salvare col ricorso alla fiducia, ieri si è replicato al Senato sul decreto semplificazioni.

Alla fine è un modo di procedere che va bene un po’ a tutti: alle opposizioni, che così possono gridare, non senza qualche appiglio, ad un regime che non rifugge da pratiche da democratura orientale, ma senza il rischio di una crisi che in questo momento vedrebbero come prematura; alla maggioranza che la crisi non la vuole perché non saprebbe poi come uscirne. Così il ricorso alla fiducia offre a tutti l’alibi di lasciar correre la situazione come è oggi, ma restando ciascuno libero di continuare nei suoi giochetti di destabilizzazione preventiva.

Tanto la casa è puntellata e non crollerà, perché si sostiene, a nostro giudizio sbagliando, che il puntello più forte viene dal Quirinale interprete dei timori delle classi dirigenti del paese dell’aprirsi di una crisi che mettere a rischio sia la tenuta sociale ed economica immediata, sia la possibilità dell’accesso ai fondi europei.

Naturalmente c’è molto di vero in questa analisi, ma c’è anche una debolezza: tutto si fonda sulla convinzione che, nonostante tutto, le scosse in arrivo con l’autunno non saranno così forti da mettere in gioco le puntellature. Se così non fosse, e non è una previsione infondata, si finirebbe per avere un risultato peggiore del previsto, perché i puntelli diventerebbero parte delle macerie e gli ingegneri che le hanno progettate finirebbero quantomeno indeboliti nella loro credibilità.

Per questo sarebbe importante non mettere a rischio la credibilità del parlamento con l’uso disinvolto della fiducia, che si pensa serva a snidare quelli che vorrebbero boicottare l’attuale esecutivo senza assumersi il rischio di farlo cadere, ma che contemporaneamente mettono in questione la sede di un confronto dialettico fra le varie forze politiche.

Non è da oggi che lo si fa, ma in tempi normali la cosa era meno grave, mentre ora, con la necessità di costruire nel paese una solidarietà trasversale il più ampia possibile, la faccenda diventa pericolosa. Si potrebbe obiettare che i partiti in questo momento non sembrano molto interessati a contribuire alla costruzione di questa solidarietà trasversale, ma non si vede perché facilitarli nel loro sottrarsi a questo dovere.

Il tema della preparazione dei piani da presentare a Bruxelles dovrebbe trovare più interesse diffuso di quel che per ora si coglie. Al massimo siamo sempre alle boutade sulle fantasticherie, che vanno da quelle risibili sulle ciclabili per superare lo stretto di Messina, a quelle a sorpresa sulla trasformazione ad intervento strutturale e permanente del bonus del 110% su certi interventi edilizi (dove si troveranno i soldi e come si potrà evitare che diventino materia di interventi spregiudicati non è dato di sapere). A noi era parso di sentire il commissario Gentiloni che avvertiva che non è per roba del genere che l’Europa intende impegnarsi, ma avremo capito male…

Intanto continuano le crisi interne ai due partiti maggiori della coalizione, che per ragioni diverse attendono con nervosismo sempre maggiore gli esiti delle urne di settembre.

In genere non sembra ci si renda conto che una prima indicazione che già emerge è il peso che hanno le personalità capaci: Zaia, Toti, De Luca, sono figure che si impongono, come già fu ad inizio d’anno con Bonaccini, ben al di sopra di quel che possono fornirgli i rispettivi partiti. Non sarebbe una lezione da cogliere anche per la selezione del personale governativo e assimilato? Il rimpasto è visto come una iattura, perché sottopone al rischio che spostando alcune caselle crolli tutto, ma sarebbe un genere di interventi in profondità che andrebbero meglio della strategia dei puntelli.

Il fatto è che gli interventi andrebbero fatti ora, prima del responso delle urne. Dopo saranno molto più difficili, perché inevitabilmente appariranno come punizioni o premi, come risposte confuse a insuccessi che inevitabilmente si profilano. E’ del tutto improbabile che nella situazione attuale le forze in campo abbiano il coraggio di mettersi intorno ad un tavolo e affrontare il problema del rafforzamento del governo attuale.

Troppi temono che si comincerebbe così e si finirebbe col promuovere un nuovo governo, cosa che non attira quasi nessuno degli attuali protagonisti a cominciare dal premier. Tuttavia non è rinviando che il problema della debolezza crescente dell’esecutivo sarà risolto: si può anche non cadere di sella legandosi ad essa con il puntello opportuno, ma non si cavalca bene e si va poco lontano.


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