Il sit-in di protesta contro la chiusura degli asili nido (Foto Roberto Monaldo/LaPresse)
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Non si sa più cosa prendere sul serio. Dopo la comica dei sussidi alle imprese per la sanificazione, bruciati nel giro di pochi minuti, lasciando a secco una enorme marea di richiedenti, dopo notizie come quelle che arrivano da Bologna per cui la Guardia di Finanza scopre in una indagine a campione su qualche centinaia di richieste di sussidi di povertà che la metà circa di chi li ha ottenuti ha presentato autocertificazioni grossolanamente false, dopo insomma un profluvio di notizie che quantomeno mettono in dubbio l’efficacia del modo di affrontare l’emergenza economica, il problema della tenuta dell’attuale governo non si può dire superato.
LA CRITICA DI DEL RIO
Conosciamo la risposta: ma al governo Conte non ci sono alternative. È vero, ma non è una risposta. Non è che la mancanza di alternative rende buona una certa soluzione: semplicemente getta nello sconforto perché costringe ad accettare che il problema sia insolubile. Con tutto quel che ne consegue. La mancanza di visione circa cosa fare nel futuro viene messa in rilievo da più parti. Lo stesso capogruppo pd alla Camera, Graziano Del Rio, lo ha ammesso con una certa desolazione in una intervista al “Corriere”. Basterebbe la pantomima sul MES per dare il senso di un governo che non sa dove andare. Se si volesse studiare un modo per sostenere le posizioni dei rigoristi del Nord contro i recovery funds non se ne potrebbe trovare uno migliore di quello con cui il premier affronta la questione del nostro rapporto coi finanziamenti europei. Perché continuare a proclamare che non accettiamo condizionalità alimenta il sospetto che di quei soldi vogliamo farne un uso poco virtuoso, cosa non difficile da far credere visti i pasticci combinati in passato coi fondi europei, per non parlare della nostra incapacità di spenderli. Invece di fare una campagna per tenersi buoni i Cinque Stelle, sarebbe meglio farne una per accrescere la nostra credibilità ed autorevolezza in Europa. Difficile che ciò avvenga offrendo lo spettacolo di interventi che vengono costantemente annunciati, poi modificati, poi rimangiati, di norme che prima sembrano comandi e poi vengono declassate a suggerimenti, di interventi a pioggia la cui razionalità è impossibile da rintracciare (anzi in qualche caso si sfiora il ridicolo: vedi i sussidi per comprare monopattini o biciclette).
BASTA SCENEGGIATE
Siamo alla vigilia di passaggi parlamentari difficili, quando sarà arduo cavarsela con le sceneggiate. Come si affronterà la conversione in legge del decreto Rilancio che continua a mostrare falle? Le disponibilità economiche sono esaurite e contare sui finanziamenti che arriveranno dall’Europa è quantomeno rischioso. Che ci vengano dati perché ne facciamo proprio quel che interessa ad un sistema di partiti voraci nella richiesta di mance elettorali da distribuire è escluso. Alla parte responsabile dei nostri partner europei interessa che il nostro sistema economico non collassi, perché siamo parte di una filiera che è anche la loro. Che di questa, giusto per fare una battuta facile, facciano parte le biciclette e i monopattini ci sembra dubitabile.
L’IMMAGINE
Il modo con cui verrà convertito il decreto Rilancio è una cartina di tornasole che l’Europa vorrà usare per capire quanto si possa investire sull’Italia. Se fossimo in grado di offrire l’immagine di una classe politica che nel suo complesso ha una buona capacità di progettare una uscita dalla crisi messa in luce dalla pandemia sarebbe ancora meglio. A questo va aggiunto che bisognerebbe anche dare un messaggio circa la stabilizzazione del quadro politico. Aspettare di affrontare questo tema quando si avranno in mano i risultati della prova elettorale delle regionali e delle amministrative non ci sembra una buona scelta. A prescindere da quando verranno fatte, se davvero in settembre-ottobre o se qualcuno otterrà che almeno in parte vengano anticipate a luglio (ci pare difficile), resta il fatto che si tratta di prove in cui solo parzialmente si potrà vedere la tenuta o meno delle forze politiche di governo o di opposizione. Non va sottovalutato che tanto nelle regionali quanto nelle comunali c’è il voto molto personalizzato su governatori e sindaci, cosa che condiziona in parte almeno i consensi ai partiti.
LE REGIONALI
Per dire: siamo sicuri che chi in questa contingenza vota Zaia in Veneto sia automaticamente disponibile a votare Salvini a livello nazionale? O chi voterà De Luca in Campania voglia poi sostenere l’alleanza PD-M5S per il governo nazionale? Sono solo esempi che si potrebbero moltiplicare. Li facciamo solo per mettere in guardia che il risultato delle prossime elezioni locali, per quanto indubbiamente significativo, non sarà tale da risolvere in automatico il dilemma sulla composizione della geografia del potere politico. È più probabile che risulti un ulteriore elemento che complicherà il quadro della stabilità anche sociale ed economica del nostro paese. Siamo più che mai davanti ad un momento di passaggio che richiede una visione del futuro e l’elaborazione di una strategia per costruirlo. Occorrerebbe qualcosa di più dei calcoli su come sopravvivere ad una situazione poco soddisfacente, ma che sembra non offrire alternative.
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