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È sempre emergenza e si capisce che questo stato di cose frena i ragionamenti sul dopo. Il presidente Mattarella è in campo, con la tenacia e la discrezione che lo contraddistinguono, e qualche risultato la sua moral suasion lo ottiene. Quantomeno nel tenere in limiti accettabili il confronto fra governo e opposizione. Il punto, come si è già avuto modo di sottolineare, è molto delicato. Da un lato indubbiamente tutti si attendono che non si perda tempo in polemiche, non solo oggi, ma anche in un prossimo futuro che si capisce sarà complicato. Dal lato opposto sembra eccessivo chiedere all’opposizione una resa incondizionata a quanto fa un governo che rimane quello che era: un normale governo “politico” frutto di una crisi parlamentare molto connotata. Entrambi i versanti della questione presentano problemi per lo sviluppo della nostra vita costituzionale.
I MANOVRATORI
Trasmettere all’opinione pubblica la convinzione che conta solo quel che fanno i “manovratori” della politica (il governo), mentre il resto è solo chiacchiera inconcludente può portare ad una svalutazione del funzionamento della democrazia. Oggi la fiducia è all’uomo deciso che guida la battaglia al coronavirus, domani può trasmettersi ad altri uomini forti o creduti tali. Non si pensi che essendo una questione legata all’emergenza cesserà con questa, per la semplice ragione che l’emergenza non è destinata a finire tanto presto: chiusa quella sanitaria, si aprirà quella economica. Del resto a chi giustamente ha dichiarato che dobbiamo considerare di “essere in guerra”, vorremmo richiamare quel che è sempre successo nei dopoguerra, che non sono mai stati tempi immediatamente felici e di concordia nazionale. Potremmo pensarci, visto che siamo ancora nel centenario del primo drammatico dopoguerra mondiale (1919-1922). Per carità, come dicevano i latini tutti i paralleli zoppicano, ma con tutta l’attenzione alle differenze qualcosa da imparare ci sarebbe.
I DECRETI DEL GOVERNO
Aggiungiamoci, e qui veniamo all’altro corno del dilemma, che il problema dell’unità nazionale non può essere risolto nel chiedere a tutti di appiattirsi sul governo in carica. Teniamo conto in prima istanza che ci troviamo in condizioni che rendono difficile il funzionamento delle sedi parlamentari. Non si tratta semplicemente di riuscire a far validare attraverso il voto parlamentare i decreti del governo (che peraltro agisce anche per atti amministrativi, i DPCM, non sottoposti a ratifica parlamentare, ma che toccano aspetti delicati delle libertà dei cittadini). Quello si farà necessariamente. Il tema è che ci sia spazio per discuterli in maniera accettabile davanti all’intera pubblica opinione, anche proponendo eventualmente interventi di modifica. Se non troviamo modo di consentire lo svolgimento della dinamica parlamentare creiamo una ferita nel nostro tessuto democratico.
CONCETTI DIFFICILI
In tempi come quelli che stiamo vivendo sono concetti difficili da presentare alla pubblica opinione, ma sono molto importanti. E’ ovvio che la difesa dello spazio parlamentare come spazio di confronto politico deve evitare la banalizzazione a cui lo si è troppo spesso ridotto: è improprio usarlo da parte delle opposizioni (ma non solo) per sceneggiate propagandistiche o per giochetti sfruttando i regolamenti, da parte del governo per silenziare tutto imponendo voti di fiducia (sarebbe la prova che ancora di un governo “politico” si tratta e non di una qualche solidarietà nazionale). Ora è importantissimo salvare un buon funzionamento del nostro sistema costituzionale, non in senso formale, ma in senso sostanziale. Sappiamo che avremo da affrontare un “dopoguerra” (per continuare nella metafora) niente affatto facile. Non sarà un problema solo sul piano interno, peraltro più che complicato, ma anche su quello internazionale, soprattutto nel contesto UE, difficile perché la crisi sarà generalizzata, le solidarietà della prima ora faranno presto ad incrinarsi, la debolezza delle sue istituzioni sottoposte all’unanimità dei consensi fra i partner emergeranno.
CLIMA DI TENSIONI
In questo contesto avremo più che mai necessità di un sistema politico saldo e di una organizzazione dei poteri in grado di reggere questi urti. Non potremo cercarla con un ricorso alla prova elettorale a livello nazionale, che peraltro in un clima di tensioni non sappiamo quanto aiuterebbe. Al tempo stesso comprendiamo che sono già all’opera tentazioni a buttarla sul piano del populismo (Salvini e qualcun altro sono soggetti a cadervi) così come tentazioni parallele a sognare apoteosi per chi ha avuto in sorte di fronteggiare i giorni caldi dell’epidemia. È benzina pronta ad incendiarsi con facilità, soprattutto in un quadro in cui i partiti come sedi consuete dell’elaborazione politica collettiva sono pressoché dissolti.
DOMANDE NON BANALI
Ci sarà bisogno di muoversi nel quadro del dopo-emergenza sanitaria senza cadere preda di questi fenomeni, mentre già si modificano le percezioni del rilievo dei vari protagonisti. Per dire: la Lega è rappresentata dall’ancora arrembante Salvini o dal pragmatico ma efficiente governatore Zaia? I Cinque Stelle che fine stanno facendo, visto che delle loro antiche bandierine non importa più nulla? Il PD ha in serbo un proprio leader in qualche modo carismatico da proporre all’opinione pubblica nazionale, visto che al momento non lo si vede in azione? E che ne sarà di Renzi, ma anche di tanti altri, vuoi più ingombranti tipo la Meloni, vuoi più eterei, che hanno affollato la scena mediatica dopo la crisi dell’agosto 2019? Non ci pare si possano considerare domande banali.
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