Il presidente Conte e il capo della Protezione Civile Borrelli
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Una politica sospesa che al più riesce a lavorare sotto traccia: questo è lo scenario. Può darsi che alcuni la ritengano una buona situazione, perché consente di lavorare lontani dai riflettori della pubblica opinione, per non dire da quelli dei media. Con tutti concentrati sulla drammatizzazione non stop dell’emergenza del Covid-19 (magari dichiarando di essere contrari a questo modo di gestire l’informazione) resta poco spazio per cercare di capire cosa bolle nella pentola di coloro che ancora si occupano di immaginare come il paese possa uscire dalla difficile congiuntura in cui è finito.
LA TENUTA DI CONTE
Inutile dire che l’argomento di discussione rimane la tenuta o meno del governo Conte, eventualmente con aggiustamenti. In realtà il tema forte è la tenuta o meno dei partiti così come si sono configurati in questa fase. Il futuro di Conte non dipende da lui, ma da quel che ne sarà dei Cinque Stelle, dalla tenuta o meno del PD nelle prossime tornate elettorali regionali e amministrative, da come Salvini uscirà dall’ennesima prova di forza che ha provato ad innescare, dalla capacità della Meloni di sfruttare a suo vantaggio la crisi presente e da quella di Berlusconi di capire cosa gli convenga fare prima che Forza Italia gli si sciolga fra le mani. Certo poi c’è Renzi accusato di essere il gran mossiere di questa fase, ma che in realtà gioca più che altro di sponda con le difficoltà che abbiamo appena descritto.
Prima di provare a capire qualcosa in questa sceneggiata, che non sappiamo se sappia più di commedia o di tragedia, c’è però da fare una osservazione che non ci sembra tanto banale: l’emergenza dell’epidemia di Covid-19 ha messo in luce quanto i partiti siano divenuti irrilevanti come cinghie di trasmissione fra la politica e l’opinione pubblica. Parliamo dei partiti come strutture, non come etichette che si appiccicano addosso dei politici per fare la loro battaglia in parlamento, al governo e nelle varie sedi istituzionali.
Nella prima repubblica, quella che era definita anche “repubblica dei partiti”, era proprio la natura di agenzie sociali delle organizzazioni politiche ciò che le rendeva capaci di tenere insieme la trama del paese. La loro ultima grande manifestazione di presenza, pur con molti problemi, fu nella fase drammatica del terrorismo. Poi ci fu un passaggio in calando e venne Tangentopoli a radere tutto al suolo.
SUGGESTIONI INFAUSTE
Oggi, quando si moltiplicano le riflessioni e gli appelli su come gestire un’opinione pubblica disorientata e preda di suggestioni infauste, non abbiamo visto alcun interrogativo sull’assenza delle agenzie di formazione e di orientamento del sentimento popolare. Né la Chiesa, né i partiti sembrano oggi disporre attivamente di luoghi in cui chiamare a raccolta la gente per aiutarla a farsi delle idee responsabili, a trovare riferimenti a cui richiamarsi, ad elaborare il rapporto con le inquietudini che nascono dal confronto con un fenomeno inaspettato e difficilmente inquadrabile.
Certo ci sono singoli personaggi che fanno quel che possono, magari anche bene: il papa, qualche vescovo, qualche opinion leader. Faremmo invece fatica a dire che ci siano personaggi politici col carisma necessario per far ragionare la popolazione (aizzarla accarezzandone le paure o certificandone le fughe nell’utopia son cose diverse). Certo se scrivessimo che la gente “va in sezione” per trovare un orientamento, come pure avveniva quando i partiti funzionavano davvero, saremmo presi per matti che vivono fuori della realtà.
La politica al momento, lasciando la gestione immediata delle emergenze ad un mix fra istituzioni, esperti, e demagoghi, si occupa sotterraneamente solo del possibile scenario elettorale. I partiti attuali, cioè i loro gruppi dirigenti e le connesse “macchine politiche, si chiedono solo come si potrà affrontare il redde rationem che arriverà quando si dovrà verificare nelle urne il tasso di consenso delle varie forze in campo. E’ tutto un discorrere di legge elettorale futura, di alleanze possibili o da costruire, di eventuali recrudescenze dell’emergenza che costringano a scegliere formule di governo che vadano oltre quella attuale che non riesce ad innalzarsi oltre un’ordinaria amministrazione di una contingenza straordinaria.
MARGINI D’AZIONE RIDOTTI
Intendiamoci: è ingeneroso dare tutte le colpe all’attuale premier. Con quella maggioranza non sapremmo chi potrebbe fare molto meglio o anche solo qualcosa di diverso. Anzi l’emergenza ha ridotto addirittura i margini di azione di chi conserva un approccio realistico a quanto si vien facendo. Basta pensare alla legge sulle intercettazioni, dove la paura di far crollare i castello di carte su cui si regge il Conte 2 (ovvero la confusa debolezza di M5S) ha fatto approvare una testo assai poco equilibrato, forse con problemi di costituzionalità.
E’ solo un esempio macroscopico, per non parlare dei temi che sono scomparsi dall’attenzione come la crisi dell’Ilva, quella dell’Alitalia, la vicenda del che fare con la concessione ad Autostrade, tanto per citare qualche titolo che solo due settimane fa catalizzava l’attenzione.
Non sarà con la solita rincorsa alle manovre di corridoio come è il bando di reclutamento di una pattuglia di soldati di complemento per tamponare un’eventuale crisi della maggioranza che la politica ritroverà autorevolezza ai tempi del corona virus. Ci vuole qualcosa di più e di diverso: di cercare questo “quid” e non di altro i politici dovrebbero occuparsi.
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