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Ricordate come cominciano le fiabe? C’era una volta…
Appunto: c’era una volta la spending review predisposta da Carlo Cottarelli, nella quale erano contenute molte proposte di sicura efficacia per tagliare la spesa pubblica. Se ne parlò a lungo. Ma solo nei talk show, perché il piano fu messo nel cassetto del premier di allora (Matteo Renzi) e il suo estensore fu rimandato negli Usa da dove proveniva.
L’ELENCO DEI TAGLI
Nell’elenco dei tagli ricoprivano un posto d’onore le società partecipate, a partire da quelle in cui vi erano solo dei Cda o dove il numero degli amministratori fosse superiore a quello dei dipendenti: in sostanza, eserciti formati da generali. Benché le ricerche fossero state accurate e approfondite, il commissario alla spending review era arrivato a un’amara conclusione: il numero delle partecipate era ignoto, visto che la banca dati del Dipartimento del Tesoro del Mef censiva 7.726 partecipate locali al 31.12.2012 (di cui 1.377 indirette), mentre la banca dati del Dipartimento delle pari opportunità contava almeno 10mila organismi partecipati dalla PA.
Con minore approssimazione si era riusciti a stabilire che tali articolazioni organizzative di natura sostanzialmente pubblica comportavano una spesa annua per lo Stato di oltre 26 miliardi di euro. I dati raccolti da Cerved Databank evidenziavano che in 2.671 società partecipate gli amministratori erano più dei dipendenti e che in 1.846 aziende pubbliche non vi era alcun impiegato in servizio (neppure una segretaria o un centralinista).
Evidentemente erano gli amministratori a portarsi il lavoro a casa.Di queste partecipate, tra l’altro, oltre la metà era in perdita, a conferma del fatto che si trattava proprio di “rami secchi” della PA, in attesa soltanto di essere tagliati.
La norma, infilata nella legge di bilancio, faceva la faccia feroce, imponendo alle amministrazioni pubbliche di effettuare annualmente, con proprio provvedimento, un’analisi dell’assetto complessivo delle società in cui le stesse detengono partecipazioni, dirette o indirette, predisponendo, ove ricorrano i presupposti di legge, un piano di riassetto per la loro razionalizzazione, fusione o soppressione, anche tramite messa in liquidazione o cessione.
LA NORMA E LE SANZIONI
Dal canto loro, le amministrazioni virtuose che non detenevano alcuna partecipazione erano tenute a darne comunicazione alla sezione della Corte dei conti competente. I piani di razionalizzazione dovevano essere corredati di un’apposita relazione tecnica con specifica indicazione dei criteri e modalità della “decimazione’’. La norma era chiara e rispettosa delle autonomia locali, essendo affidato ai loro organi decisionali la formulazione dei piani di razionalizzazione. La sforbiciata degli enti inutili sarebbe dovuta allora partire sicuramente da qui, con l’intervento sollecito degli Enti soci. Le sanzioni nel caso di inadempimento erano severe.
Dopo il 31 dicembre 2015 ogni spesa sostenuta per tali partecipazioni societarie “contra legem” sarebbe stata priva di giustificazione e, dunque, suscettibile di ingenerare forme di responsabilità contabile per danno erariale, a carico degli amministratori. Ma, come capita di solito, “più che il dolor potè il digiuno’’. E per quanto riguarda le disposizioni di legge, basta non prenderle troppo sul serio.
LE VERIFICHE
Il Quotidiano del Sud si è premurato di compiere delle verifiche e ha scoperto (non si è rivolto a Tom Ponzi, ma si è limitato a leggere documenti ufficiali “oscurati’’ dai media) e ha scoperto che, relativamente alle società partecipate, sono le regioni e gli enti locali del Centro Nord a fare la parte del leone protagonista della celebre strofa di Esopo.
Sappiamo tutti chi comanda nelle regioni settentrionali, in taluni casi da decenni. Sono le stesse forze politiche che, ora all’opposizione, accusano l’attuale traballante governo di accanirsi a restare in carica – pur essendo confinato in una stanza di rianimazione, dove è sottoposto a respirazione assistita – per “fare le nomine’’.
Si tratta di qualche centinaio di indicazioni attraverso le quali sarà redistribuito gran parte del potere reale, quello economico. Nessuno vuol mettere in competizione il ceo dell’Eni con il presidente di una municipalizzata di Lodi. Ma, come diceva il grande Totò, è pur sempre la somma a fare il totale.
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