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Giuseppe Conte ed Elly Schlein

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Horror Pd, è come se parte dei dirigenti fosse stata sostituita da impostori che non hanno nulla a che fare con la storia del Pd

La discussa partecipazione di Elly Schlein alla manifestazione del M5s ha assunto per una buona parte del Partito democratico le caratteristiche di un film inquietante e destabilizzante, a metà tra l’horror e la fantascienza. Un film che sembra quasi riproporre lo schema eversivo de “L’invasione degli ultracorpi”, il film cult del 1956 diretto da Don Siegel, tratto dall’omonimo romanzo di Jack Finney.

È come se una parte rilevante del gruppo dirigente, a partire dal vertice, sia stato in qualche modo sostituito da impostori: mostrano in apparenza un profilo culturale identico, ma nella realtà non hanno nulla a che vedere con la storia del partito.

I “NATIVI DEMOCRATICI”

Il Pd nacque come soggetto nuovo dall’integrazione di diverse culture politiche progressiste, espressione della storia repubblicana. In primo luogo, i comunisti (democratici) e i cattolici (democratici) provenienti da Dc e Pci, i due partiti protagonisti del dopoguerra. A seguire una parte dei socialisti, i cristiano sociali, i repubblicani eredi della tradizione laico-progressista, gli ambientalisti.

Tutti questi protagonisti, insieme e al di là delle loro originarie appartenenze, scelsero di creare un soggetto nuovo. Un soggetto nel quale il termine “democratico”, da aggettivo che era, veniva nobilitato al rango di sostantivo.

Ispirazione, fondamento e prospettiva comune potevano trovarsi soltanto nella cultura politica liberale e occidentale. Non a caso, il “Manifesto del Lingotto” deve molto alla lezione dei Democratici americani, il più classico catch all party fondato sui pilastri del liberalprogressismo di chiara impronta anglosassone. In anni recenti, qualcuno ha coniato l’espressione “nativo democratico” proprio per definire quelle nuove generazioni che, non avendo vissuto le divisioni ideologiche del passato, aderivano a quel partito riconoscendosi nell’idea sintetica della democrazia liberale e progressista.

L’IDENTITÀ PERDUTA E IL CASO DEI DIRIGENTI PD

Per questi motivi, il Partito democratico rappresenta la confluenza storica dei diversi affluenti politico-culturali nell’unico fiume del riformismo democratico. Fin dall’inizio questo processo ha conosciuto delle ovvie resistenze da parte di quei conservatori che restavano legati alla propria storia di parte. Celebre in tal senso è l’espressione velenosa di Massimo D’Alema che da sempre definisce il Partito democratico come «un amalgama mal riuscito».

Oggi, però, siamo ormai molto oltre le questioni di amalgama. L’identità riformista del partito – che ha vissuto il suo apice nella fase fondativa con Walter Veltroni e, successivamente, nella breve fase di governo con Matteo Renzi e Paolo Gentiloni – è pesantemente sotto attacco dalla sconfitta elettorale registrata nel 2018.

Dopo le segreterie “regressive” di Zingaretti e Letta che si sono date il compito di restaurare una mitica identità di sinistra perduta, accelerando la fuga di una parte dei riformisti, le primarie di quest’anno hanno visto l’imprevedibile successo di Elly Schlein. In parte, la responsabilità va addebitata agli stessi riformisti. Troppo divisi, distratti e supponenti. Oggi, però, la pellicola da incubo del Pd racconta di una quasi completa sostituzione dei gruppi dirigenti con figure che con la cultura politica riformista non hanno assolutamente nulla da spartire.

IL PROFILO DEI NUOVI DIRIGENTI PD

Le biografie di questi nuovi protagonisti raccontano militanze da sempre ostili alla storia del Pd. Le loro parole rimandano al clima delle assemblee studentesche, alle supercazzole bertinottiane parodiate negli sketch di Corrado Guzzanti, al buonismo giovanilistico e un po’ grullo esaltato dalle sardine, al movimentismo immaginario di lontana matrice ingraiana, alle antiche mattane della sinistra extraparlamentare, alla resistenza aprioristica permanente contro la modernità del capitale, all’utopia ingenua dell’ecologismo regressivo, al pacifismo filoputiniano e antiatlantico.

Un vero e proprio horror fantascientifico, nel quale le magnifiche sorti e progressive del riformismo democratico e liberale vengono ormai soppiantate dalla demagogia del massimalismo socialpopulista e antiliberale senza che vi sia più un eroe-leader capace di riorganizzare la riscossa.

IL BACIO SUICIDA

Ma la manifestazione di sabato del M5s aggiunge, se possibile, qualcosa di peggio. Come in Alien, il film cult del 1979 diretto da Ridley Scott, nel corpo del Partito democratico sembra essersi incistato un feroce parassita alieno, del tutto privo di emozioni, capace di corroderne senso, visione e struttura.
Parliamo del grillismo, oggi declinato ed evoluto nella forma melliflua e leccata di un ex presidente del Consiglio che ha un unico disegno: svuotare e consumare il Pd, con la complicità del perituro, attirandone e rifiutandone allo stesso tempo le offerte di collaborazione.

Così, il bacio di Schlein a Conte nella piazza pentastellata è per il Pd un atto calcolato di ottuso autolesionismo, riconfermato dalla fermezza autodistruttiva della relazione di ieri alla direzione nazionale. Elly Schlein non è Sigourney Weaver: non vuole proteggere il Partito democratico dal parassita alieno semplicemente perché gli assomiglia. E i riformisti dovrebbero averlo capito.


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