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Alessandro Zan

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Ci fu un tempo ora lontano in cui si raccontava ai bambini che li aveva portati la cicogna o che erano stati trovati sotto un cavolo. L’educazione sessuale veniva spiegata tramite l’impollinazione dei fiori.

Ovviamente il ricordo di questi tempi fa solo tenerezza; nessuno auspica che si torni ad allora. Anzi, una seria educazione sessuale sarebbe utile a formare e a crescere dei giovani responsabili e consapevoli.

Ma spiegare a degli adolescenti l’identità di genere sarebbe un abuso, perché la sola cosa che hanno appreso con nettezza fin dai primi vagiti sta nella differenza di sesso ovvero che ci sono i maschi e le femmine. E se sono un po’ smaliziati (ai miei tempi si giocava al ‘’dottore’’) sanno anche perché un sesso è diverso dall’altro. 

Il sesso è un fatto oggettivo: per quante diavolerie abbia inventato la scienza una vita nasce da uno spermatozoo maschile che feconda un ovulo femminile. Da questo prodigio della Natura può nascere una creatura di sesso maschile o femminile. Una femmina possiede due cromosomi X, un maschio un X e un Y (come nella quasi totalità dei mammiferi.

Tutte le uova porteranno quindi un cromosoma X, per cui quello femminile è il sesso omogametico, mentre metà degli spermatozoi porterà l’X e metà l’Y, essendo quello maschile il sesso eterogametico. Per quale motivo questo processo naturale deve essere disconosciuto in nome del riconoscimento di nuovi diritti civili? 

E per asseverare questa nuova biologia si pretende di imporla per legge. Consultiamo insieme l’articolo 1 del ddl Zan, un provvedimento che sta dividendo il Paese e che è divenuto per una parte dello schieramento politico una nuova Presa della Bastiglia, il caposaldo della civiltà europea.

1. Definizioni

Ai fini della presente legge: a) per sesso si intende il sesso biologico o anagrafico; b) per genere si intende qualunque manifestazione esteriore di una persona che sia conforme o contrastante con le aspettative sociali connesse al sesso; c) per orientamento sessuale si intende l’attrazione sessuale o affettiva nei confronti di persone di sesso opposto, dello stesso sesso, o di entrambi i sessi; d) per identità di genere si intende l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dal l’aver concluso un percorso di transizione.

Soffermiamoci sul concetto di identità di genere: che differenza c’è con il terrapiattismo. Anzi, se quello che conta è la ‘’percezione’’, l’umanità ha creduto per tanti secoli che fosse il sole a girare intorno alla terra, mentre già l’Uomo di Neanderthal si era accorto che la Donna era diversa da lui.  Si è mai vista una legge che promuove le teorie evoluzioniste di Darwin (che pure avevano dei riferimenti scientifici) o quelle di King che pure si basavano su reperti che potevano appartenere a differenti epoche dello sviluppo sino ad arrivare all’homo sapiens?

Non scomodiamo a sproposito i diritti civili. Viviamo in un mondo dominato da un ‘’dirittismo’’ spesso opinabile (libito fè licito in sua legge), ma è un dato di fatto che una persona sia libera di manifestare il proprio orientamento sessuale tra persone adulte e consenzienti, senza subire violenza, insulti o discriminazioni. Se è il caso vanno superati anche i limiti giuridici: non è detto che la famiglia sia solo quella naturale e che il matrimonio non possa avvenire tra persone dello stesso sesso, visto che gli eterosessuali non si sposano più.

Ma per riconoscere dei nuovi diritti non ha senso volerli collocare in una visione biologica e genetica che non esiste, che è solo ‘’percepita’’, quando il suo contrario (la differenza sessuale e la sua complementarietà nella procreazione) è talmente evidente che non ha necessità di essere provato. Se una persona di sesso maschile ha un orientamento sessuale verso una persona anch’essa creata maschio, che bisogno ha di percepirsi ‘’femmina’’ e di imporre per legge questa sua visione della biologia? 

Poi ci sono anche alcune questioni politiche da affrontare. Prendiamo il caso del divorzio. Per ottenere questo sacrosanto diritto civile fu necessaria una legge (Fortuna-Baslini) dal nome di due parlamentari uno socialista, l’altro liberale. Il Pci di allora, all’inizio, aveva dei dubbi; definiva il divorzio ‘’un lusso borghese’’. Poi si impegnò a fondo nella battaglia referendaria. Adesso, i suoi eredi si sono messi a dare priorità a queste battaglie che giustamente tutelano minoranze consistenti, ma che non sono politicamente spendibili nelle periferie o nei campi Rom, ma che piacciono tanto nelle zone ZTL.

Prendiamo il caso delle unioni civili che hanno immortalato Monica Cirinnà come una eroina moderna. Secondo l’Istat, il fenomeno delle unioni civili, “dopo il picco avutosi subito dopo l’entrata in vigore della nuova legge” mantiene un andamento sostanzialmente stabile. I numeri ci dicono che nel secondo semestre del 2016 (anno di entrata in vigore della legge n.76) le unioni civili sono state 2.336 (di cui 1.720 riferite a coppie di uomini, pari al 73,6%) e 4.376 in tutto il 2017 (di cui 2.962 di uomini, pari al 67%). Nel corso del primo anno e mezzo di applicazione della legge, quasi il 60% di queste unioni è stato registrato al nord, il 28% al centro e 12% al sud, maggiormente nelle città: 763 a Roma (553 coppie di uomini e 210 coppie di donne, 621 a Milano (489 e 132), 256 (187 e 69) a Torino e poi 148 a Firenze, 137 a Bologna, 114 a Napoli e 60 a Palermo. 


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