Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti
4 minuti per la letturaVenti miliardi in tre anni. Non è la prima volta che il governo apre le porte alle nuove privatizzazioni per fare cassa e far tornare i conti della legge di Bilancio. L’ultimo premier che aveva tentato di vendere i gioielli di famiglia con l’obiettivo di liberare risorse per ampliare i cordoni della borsa era stato il primo esecutivo guidato dal leader dei Cinquestelle, Giuseppe Conte. All’epoca guidava Palazzo Chigi in tandem con il numero uno della Lega, Matteo Salvini, una convivenza finita traumaticamente.
Ma nel 2019, nella prima (e unica) legge di Bilancio firmata dall’esecutivo giallo-verde si prevedeva di incassare dalle privatizzazioni di aziende pubbliche almeno l’1% del Pil. Alla fine non portò a casa praticamente nulla. Stesso copione anche per il governo di Mario Monti che prevedeva di incassare almeno dieci miliardi. Obiettivo fallito. Prima ancora era stato il governo Renzi a tentare la stessa strada ponendosi un obiettivo dello 0,7% del Pil. Alla fine si accontentò dello 0,2%. Solo nel 2015 i target vennero rispettati grazie alla quotazione in borsa delle Poste e alla vendita della partecipazione dello Stato in Enel. Poi, praticamente, il vuoto.
Ora il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ci ritenta, anche lui fissando l’asticella su un livello decisamente molto alto. Del resto, i 20 miliardi di incassi previsti dalla Nadef (la nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza) servirebbero come il pane per tentare di ridurre il trend del debito pubblico, che solo nel 2026 è previsto al di sotto del 140%. Per questo, le privatizzazioni, sono tornate al centro dell’agenda. E, nella lista dei beni che potrebbero finire sul mercato è spuntata anche Autostrade per l’Italia, tornata poco più di un anno fa sotto l’ombrello pubblico, dopo l’acquisto da parte di Cdp e del fondo Maqueire delle quote della famiglia Benetton. Un’operazione nata sull’onda lunga della tragedia del Ponte Morandi e che era stata accompagnata da non poche polemiche.
Negli ultimi giorni è tornata a balenare l’ipotesi di un ritorno ai privati della rete gestita da Aspi. Una ipotesi che però potrebbe aprire un nuovo fronte di polemiche all’interno della maggioranza. Le voci di una possibile privatizzazione, infatti, sono state ieri nettamente smentite, sia pure in maniera ufficiosa, da fonti di Palazzo Chigi, che hanno dichiarato la notizia “totalmente destituita di fondamento”.
L’indiscrezione, riportata dall’agenzia Bloomberg, parlava di un’offerta presentata, a Palazzo Chigi, dalla Fininc di Matterino Dogliano, che avrebbe anche avuto una prima accoglienza positiva. Valore dell’operazione, circa 8 miliardi di euro che lieviterebbe a 20 considerando anche i debiti della società. All’Aspi “non risulta” alcuna offerta. Ma ieri, il ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, pur confermando l’assenza di una proposta formale, non ha escluso affatto la possibilità di una trattativa.
Anzi. Fonti del ministero, infatti, precisano che “se un grande imprenditore italiano riesce a mettere insieme i fondi per un piano di investimento fondamentale per l’Italia, come quello di Aspi, dalla Gronda di Genova al Passante di Bologna, dai lavori sulla A1 alla A14 Adriatica fino al nodo di Firenze, è sicuramente di grande interesse”. Salvini, insomma, “auspica che l’eventuale offerta venga formalizzata, per averne chiari i contorni”. Una trattativa che potrebbe dare una svolta al piano delle privatizzazioni messo in campo dal governo. La Fininc, infatti, potrebbe presentare a Cdp un’offerta “amichevole” e agirebbe insieme ad un gruppo di grandi investitori internazionali. Se l’operazione andasse in porto sarebbe una delle più grandi privatizzazioni mai realizzate in Italia.
Nella lista delle possibili cessioni in pole position c’è sicuramente Ita-Airways, che dovrebbe finire nelle mani di Lufhtansa. Per il closing dell’operazione si aspetta, però, il disco verde della Commissione Europea. Ma l’incasso previsto non supererebbe i 325 milioni di euro. Ancora ai primi passi, infine, la vendita di Mps, che potrebbe portare nelle casse del Mef circa 2 miliardi di euro. Ma, per ora, Giorgetti non si è voluto sbilanciare sui tempi. Molto più complicato, invece, la vendita degli altri asset, da Leonardo a Eni, da Enav a Ferrovie. Anche in questo caso sarà difficile privatizzare per fare cassa in tempi compatibili con quelli messo nero su bianco nella Nadef.
Nel frattempo la caccia alle possibili coperture dalla manovra prosegue. All’appello mancherebbero ancora 10 miliardi, che dovrebbero sommarsi ai 15,7 miliardi di extragettito previsti nel 2024. E, sui possibili risparmi di spesa non mancano le polemiche. Ieri, nuovo scontro sul ridimensionamento delle spese previste per la sanità che dovrebbero passare dall’attuale 6,7 al 6,2 del Pil a partire dal 2024. Un ridimensionamento di quasi 2 miliardi che è stato duramente contestato dalle opposizioni.
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