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Questa è una Legislatura che, come quella del 1983 e del 2001, ha tutte le condizioni per durare cinque anni, e quando una Legislatura ha al suo interno una maggioranza motivata e solida può anche consentire la definizione di strumenti legislativi e di impegni programmatici di rilevanza strategica.
Nel 1984 il governo varò la legge 245 attraverso cui fu possibile redigere il Piano generale dei trasporti: un Piano che, come ho più volte precisato, rimane senza dubbio un riferimento portante di tutte le scelte che hanno consentito al nostro Paese di non rimanere fermo nella costruzione di un’offerta infrastrutturale sempre più adeguata a una domanda di trasporto in continua evoluzione.
L’ESIGENZA DI UN SUD UNITO
Senza il Piano generale dei trasporti, lo ricordo solamente per evitare che qualcuno lo dimentichi, non avremmo avuto i nuovi valichi ferroviari, non avremmo avuto gli interporti, non avremmo avuto 250 chilometri di nuove reti metropolitane, non avremmo avuto gli assi ferroviari ad alta velocità, non avremmo svolto un ruolo determinante nella definizione delle Reti Ten-T, non avremmo avuto la trasformazione delle Ferrovie dello Stato e dell’Anas in società per azioni, ecc.
Nel 2001 il governo varò la legge 443 (legge Obiettivo): una legge che al suo interno conteneva il Programma delle infrastrutture strategiche attraverso il quale fu possibile trasformare le intuizioni programmatiche del Piano generale dei trasporti in interventi organici e concreti.
Ora, quindi, inizia un quinquennio che potrebbe regalare un’occasione positiva proprio nel comparto dell’offerta infrastrutturale del Paese. Questa volta c’è un fatto nuovo: sia nel 1984, sia nel 2001 il processo pianificatorio e le coperture finanziarie del processo venivano garantite all’interno delle leggi di spesa del Paese e, al massimo, le si sottoponevano alla attenzione dell’Unione europea per consentirne l’inserimento nel programma comunitario delle Reti Ten-T.
Oggi, invece, le linee guida del Pnrr le ha fornite l’Unione europea, oggi le linee guida del RePower Eu le ha fornite l’Unione europea: in sostanza, è come se si fosse acceso, dopo la lunga storia che ha caratterizzato l’evoluzione della stessa comunità (prima Ceca, poi Euratom, poi Cee), per la prima volta un momento storico più coerente alle caratteristiche proprie di un assetto comunitario.
In realtà è la prima volta, dopo l’accordo di Schengen, cioè dopo l’accordo sottoscritto rispettivamente nel 1985 e nel 1990 per rendere possibile la libera circolazione delle persone e delle merci all’interno dell’Unione europea, che si apre una sessione davvero innovativa e coerente con le finalità e i convincimenti dei Padri fondatori della stessa Unione europea.
E allora, forse, il Mezzogiorno non sarà più considerato il Mezzogiorno d’Italia ma il Mezzogiorno d’Europa e potrà, con tutti i Mezzogiorni d’Europa, “essere” e non solo “apparire geograficamente”.
Ma per essere omogeneo con gli altri Mezzogiorni, il nostro deve essere in grado, come ho ricordato qualche settimana fa, di diventare un’unica realtà propositiva proprio perché legata da un Dna che la rende, a tutti gli effetti, una realtà omogenea (una omogeneità sostenuta sia dalla contestuale presenza di tutte le Regioni del Sud all’interno dell’Obiettivo Uno, cioè all’interno delle realtà meno sviluppate in cui il Pil pro capite è inferiore al 75% della media dell’Unione a 27 Stati, sia da un reddito pro capite fermo a una soglia bassissima, pari a 17.000 euro).
RUOLO CHIAVE PER CDP E BEI
E allora cerchiamo in questi cinque anni, in questa Legislatura, di levare il livello con cui dal dopo guerra a oggi l’emergenza Mezzogiorno è stata affrontata e gestita e definiamo un percorso capace di essere davvero incisivo. Non c’è bisogno di produrre un Programma: ricordo che Bonaduce e Menichella non dettero vita a un Programma, non disegnarono un quadro pianificatorio, ma istituirono un organismo, la Cassa del Mezzogiorno, come organismo in grado di affrontare la miriade di criticità e di emergenze presenti nelle varie aree sottosviluppate del Paese (all’epoca tra le aree sottosviluppate c’erano aree del Centro e del Nord del Paese).
Per una serie di svariati motivi oggi non avrebbe senso costruire una seconda Cassa del Mezzogiorno ma, forse, bisognerebbe dare mandato, alla Cdp (Cassa depositi e prestiti) e alla Bei (Banca europea degli investimenti) di proporre entro 180 giorni le azioni capaci di annullare quegli indicatori omogenei che marginalizzano sempre più l’intero assetto meridionale.
Molti si chiederanno: perché ricorrere alla Cassa depositi e prestiti e alla Banca europea degli investimenti? Perché la Cassa depositi e prestiti e la Banca europea degli investimenti assicurano sia la dimensione strategica delle scelte, sia rilevanza comunitaria.
RIQUALIFICARE I SERVIZI
Forse si potrà anche far capire alle 8 Regioni (o meglio ad alcune di esse) non convinte dell’esigenza di unirsi in questa operazione, che non ha più senso contrapporsi alle realtà del Nord o del Centro, perché si perseguono, in questa nuova fase, in questa nuova impostazione che definisco rivoluzionaria, obiettivi mirati non solo al rilancio dell’offerta infrastrutturale, ma al cambiamento sostanziale delle condizioni socio economiche che non hanno mai prodotto nel Sud ciò che nel resto del Paese definiamo “sviluppo”.
Infatti sono sicuro che il lavoro dei due organismi finanziari prospetterà, come prima azione, una riqualificazione sostanziale dei servizi, una reinvenzione della funzionalità della Pubblica amministrazione residente nel Sud, una rilettura organica delle logiche gestionali delle attività produttive, una rivisitazione delle modalità di accesso al credito. Per la prima volta, forse, capiremo che le infrastrutture, anche quelle strategiche, vanno ubicate in un “brodo socio economico” efficiente ed efficace.
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