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All’inizio della prossima settimana avremo, come si usa dire, scavallato anche le regionali di Lombardia e Lazio, la più probabile spiegazione del perché stiamo assistendo ad uno sfoggio notevole di faziosità. Non che i cosiddetti test elettorali finiscano lì: il 2-3 aprile le urne si apriranno in Friuli Venezia Giulia, altro caso non certo marginale; si è in attesa di avere una data per il Molise e in autunno sarà la volta del Trentino-Alto Adige. Ma, ovviamente, la scadenza del 12-13 febbraio incombe e siccome tocca due regioni non solo importanti, ma anche molto popolate, i risultati assumeranno un rilievo notevole.

LA FUGA DALLA POLITICA

Più cresce la preoccupazione per una partecipazione ridotta (alcuni prevedono un astensionismo intorno al 50% degli aventi diritto), più si punta a giocare tutte le carte possibili per uscire dalla prova. La contrapposizione radicale si ritiene abbia un ruolo di mobilitazione: se si prende il caso dell’Emilia Romagna, nella tornata del 2014, quando non c’era praticamente competizione e la vittoria del candidato  Pd (Bonaccini) era data per scontata, votò il 37% degli aventi diritto. Nel 2021, quando la lotta fra il ricandidato Bonaccini e il centrodestra trainato personalmente da Salvini (sebbene la candidata fosse Lucia Bergonzoni) produsse una battaglia esasperata, votò il 67,6 %.

Ecco spiegata la faziosità che domina tutta la comunicazione politica, a cominciare da quello che appare nei talk show per arrivare fino alle aule parlamentari. La presidente Meloni si appella a che tutti abbassino i toni, ma lei per prima fatica nelle uscite pubbliche a dismettere i panni dell’arringatrice, e dunque è difficile pretendere che altri, privi per di più della risorsa di visibilità che le garantisce il suo ruolo, siano in grado di misurare le parole.

Intendiamoci: nella storia della Repubblica di campagne elettorali infuocate con scambi di attacchi meschini se ne sono viste molte. Magari un tempo rispondevano alla necessità di galvanizzare le rispettive truppe militanti, per cui si dava tutto per scontato, mentre oggi il fuoco della passione politica è ridotto a una brace che si fatica a mantenere viva, per cui si pensa che tutti i mezzi siano buoni per ravvivarla.

Il fatto è che ormai quello che un tempo veniva definito “roba da comizi” è diventato merce corrente in tutte le diatribe politiche. Di conseguenza ci si dovrebbe chiedere se davvero questa cifra di comunicazione sia in grado di recuperare l’allontanamento dalla politica che ormai è dato per assodato.

GLI EQUILIBRI DEL CENTRODESTRA

Del resto non è difficile rilevare che anche nelle candidature per le regionali non siamo lontani da un mix fra professionismo politico e una spolverata di qualche personaggio pescato dalla notorietà (relativa) degli schermi televisivi. Né a Milano, né a Roma ci sono in campo personalità con un carisma nazionale e vengono alla ribalta uomini e donne che sono maschere prodotte dalle alchimie dei vertici politici.

Non è esattamente quello che ci si potrebbe aspettare mentre da una parte si cerca di rilanciare il “regionalismo” come bacchetta magica per la nostra evoluzione e dall’altra si punta solo a consolidare gli orticelli di partiti che non sembrano interessati neppure a provare a vincere.

È abbastanza evidente che le prove regionali sono vissute come un’occasione per regolare partite interne al quadro politico uscito dalle elezioni nazionali del 25 settembre. Il centrodestra ha bisogno sia di mostrare che il trend che l’ha portato al potere non si sta modificando, sia di verificare la distribuzione di forze al proprio interno.

 Sul primo punto è probabile che porti a casa il risultato, a meno che non cresca a dismisura l’astensionismo, perché in quel caso potrebbe interessare più il centrodestra dato per vincitore sicuro, per cui nei loro sostenitori cadrebbe la spinta a fare il piccolo sforzo di recarsi alle urne, mentre l’opposizione di sinistra potrebbe guadagnarci qualcosa, sebbene anche qui la sua dispersione su più fronti faccia fatica a rimontare il divario.

Il problema della distribuzione delle forze è più complesso. Nel centrodestra c’è il problema di confermare il netto distacco di FdI rispetto agli alleati. Il recente pasticcio provocato dall’aver lasciato mano libera a due giovani pasdaran che credono nella politica dello scontro (verbale?) potrebbe avere conseguenze nel compromettere una quota di consensi che venivano da un elettorato moderato. Di questo punta ad avvantaggiarsi FI, mentre la Lega non crediamo riuscirà in questa impresa, nonostante le capriole da neo pompiere dell’ultimissimo Salvini, perché ha una tradizione di troppa arroganza nell’uso del potere dove ce l’ha e di movimentismo populista dove non ce l’ha.

LE OPPOSIZIONI AVVILUPPATE SU SE STESSE

Le opposizioni al blocco oggi al governo sono a loro volta più interessate a consolidare ciascuna la sua “minorità” che a sviluppare una strategia competitiva. Il Pd è avviluppato nella demenziale stagione di un congresso eterno e senza significato, per cui non riesce a produrre una linea politica, dovendo tenere insieme il piccolo patrimonio della sua occupazione del potere (dove esiste ancora) con il movimentismo da sinistra salottiera che gli impongono i media. I Cinque Stelle sono interessati unicamente a consolidare la leadership di Conte che punta a capitalizzare il qualunquismo protestatario di tutti i tipi ancora ben presente nel paese.

Anche il blocco Azione-IV è ostaggio del problema di consolidare la sua relativa quota di consenso, che è il piccolo capitale che pensa, non senza  fondamento, di poter poi imporre per diventare l’ago della bilancia, anche se si continua a non capire quale bilancia si abbia poi in mente.

È il vuoto della politica che produce questo festival della faziosità, che è una deriva estremamente pericolosa tanto per la destra, quanto per la sinistra. La sua radice è nel venire meno di due meccanismi di contenimento un tempo molto efficaci: la presenza di veri partiti strutturati come corpi sociali e non come un misto fra fan-club di alcuni leader e società di mutuo soccorso fra i professionisti della politica; l’azione di un nucleo forte di soggetti in grado di fare veramente “pubblica opinione”, marginalizzando agitatori, demagoghi e assimilati. C’è da sperare che fra un po’ quei meccanismi si rimettano in moto.

Da “Mente Politica”


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