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Sono gli ultimi giorni prima del test elettorale di domenica e lunedì prossimo. Si recheranno alle urne i cittadini di due regioni simbolo del centrodestra: Lombardia e Lazio. La prima, storicamente a trazione leghista, vede il centrodestra schierare il presidente uscente Attilio Fontana. La seconda, più ascrivibile alla galassia meloniana, e dunque alla destra storica, vede in campo l’ex presidente della Croce rossa Francesco Rocca.

Eppure dietro a queste due partite si cela un match tutto interno al centrodestra che preoccupa i partner di minoranza. Vale a dire, Forza Italia e Lega. «Saranno più un test per la coalizione».

RIFLETTORI SUI PARTITI

Non a caso i bookmaker del Transatlantico la mettono così: «Il centrodestra vincerà ma un minuto dopo potrebbe esplodere». Insomma, lunedì pomeriggio non si dovranno guardare le percentuali degli aspiranti governatori, ma tutti gli occhi saranno puntati sulle percentuali dei singoli partiti.

I diretti interessati negano che sia così. Mostrano all’esterno una compattezza che non si registrava da diversi anni. «Certa stampa se ne faccia una ragione – dice di buon mattino l’ex premier  – Il centrodestra è unito e coeso e governerà per i prossimi 5 anni come da chiaro mandato conferitoci dagli italiani».

Fatta questa premessa, la preoccupazione c’è e si tocca con mano. Più di tutti sembra essere preoccupato Silvio Berlusconi: teme l’Opa del Terzo Polo, e in Lombardia la coalizione di Renzi e Calenda candida proprio un ex ministra del governo Berlusconi come Letizia Moratti. E inoltre teme di diventare una corrente di FdI.

I PALETTI DI SILVIO

In tutto questo il fondatore del centrodestra propugna consigli dalla sua casa Arcore, rilascia interviste, interviene alle kermesse pubbliche delle coalizione. Mettendo in fila una serie di paletti. Il più frequente suona così: «Dopo la vittoria del centrodestra alle elezioni politiche è fondamentale prevalere anche in queste due regioni, che sono il cuore economico e politico del Paese. Soltanto unendo l’azione politica nazionale a quella dei governi regionali si potranno dare risposte efficaci sul lavoro, sulle infrastrutture, sull’energia, sulla sanità e sull’assistenza agli anziani, che sono le priorità del programma di Forza Italia. In pochi mesi di governo siamo riusciti a dare risposte concrete anche sugli incentivi per l’assunzione dei giovani e sull’aumento delle pensioni minime. Dobbiamo continuare su questa strada».

Tutto questo per dire che la presenza di Forza Italia all’interno della coalizione è dirimente, perché la formazione berlusconiana rappresenta la parte liberale e popolare della compagine di governo, ancorata nel Ppe e filo-atlantista. Tradotto: la componente azzurra non può sfigurare alle regionali, deve controbilanciare l’asse Lega-FdI, e ottenere un risultato se non a due cifre, almeno attorno all’8-9%.

Da qui il Cavaliere ha messo in moto un approccio diverso nel corso della campagna elettorale, provando a veicolare all’esterno l’immagine di una forza rassicurante e moderata che di fatto ha poco da condividere con gli alleati più radicali Meloni e Salvini.

Il leader azzurro ha così rilanciato uno dei cavalli di battaglia della storia di Forza Italia, l’innalzamento delle pensioni minime, perché non è stato sufficiente quanto fatto nella legge di Bilancio: «Abbiamo un progetto fantastico per le loro pensioni: vogliamo aumentare a tutti le minime a mille euro al mese entro la fine di questa legislatura».

Eppoi, per non farsi mancare nulla, ha rievocato il pericolo comunista, grande classico della narrazione del leader azzurro: «Pochi giorni fa uno dei candidati a guidare il Pd si è dichiarato orgogliosamente comunista, orgogliosamente fedele a un’ideologia e a un regime responsabile di 85 milioni di morti nella storia dell’umanità. Anche per questo molti italiani mi dicono, telefonandomi o scrivendomi, di considerarmi un benefattore dell’Italia perché, mettendo a rischio la mia libertà e le mie imprese, nel 1994 sono sceso in campo e ho impedito ai comunisti di prendere il potere».

GLI INCUBI DI LEGA E FI

Allo stesso tempo ha preferito tenersi a debita distanza dalle polemiche del caso Cuspito: «Per quanto ci riguarda, noi di Forza Italia siamo stati ben alla larga da ogni polemica strumentale».

Un caso? Non è dato sapere, anche perché da quelle parti le bocche restano cucite. Sia come sia, a taccuini chiusi i dirigenti azzurri non solo si tengono alla larga dalle uscite del sottosegretario Andrea Delmastro e del deputato Giovanni Donzelli, ma addirittura arrivano a sussurrare che «è stato tutto un errore: dal primo all’ultimo minuto».

Ragion per cui le regionali, come dice il vicepremier Antonio Tajani, non solo «saranno un voto di fiducia per l’esecutivo», ma saranno anche un tagliando per la coalizione. Perché Berlusconi vorrà vedere quale sarà il sentiment dell’elettorato di centrodestra. Se nelle urne lombarde Meloni e il suo partito dovessero stravincere rispetto a Lega e Forza Italia, cosa succederebbe? E ancora: se Salvini dovesse finire sotto il 10% in Lombardia che cosa accadrebbe? Domande alle quali oggi nessuno intende rispondere. «Lasciateci fare l’ultima settimana di campagna elettorale, poi ci allacceremo tutti le cinture» avverte un alto dirigente azzurro.


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Stefano Mandarano

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