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Il segretario Pd Enrico Letta

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All’appello di Papa Francesco – «Fermiamoci, stiamo vivendo una guerra mondiale» – pochi rispondono, ma le parole del Pontefice inducono a una riflessione profonda: «Chiedo a ciascuno di essere costruttore di pace e una preghiera».

In una giornata segnata dalle azioni che sfiorano la belligeranza qualcosa sembra muoversi, mentre all’orizzonte non si affacciano, ancora, le armi ma l’espressione «rivoluzione» lacera il cielo. L’ha detta il Papa, la ripete Antonio Decaro, sindaco dei sindaci italiani, il quale chiede di non toccare i soldi del Pnrr, sennò «noi sindaci faremo la rivoluzione».

E Paolo Gentiloni che da Bruxelles vigila sui conti italiani, non prevede nulla di buono per l’inverno alle porte. «Possibile uno degli inverni più difficili».

LETTA CORREGGE IL TIRO

È in queste tre azioni che si muove uno scenario di freddo e ghiaccio, senza gas, in tutta la nazione. Se non proprio senza, quantità assai razionate come capitò nel lontano 1972. Di nuovo non c’è nulla che non sia stato ripetuto dai talk show.

Forse l’unica nota nuova è nello studio di Porta a Porta, dove “Giuseppi” Conte non chiude la porta al Pd. Il presidente dei 5 stelle si sofferma a lungo sul programma del suo partito, lanciando strali verso quelle forze politiche, Centrodestra e Terzo Polo, che mirano a spazzare via le leggi bandiera del movimento.

Enrico Letta corregge il tiro, sostenendo che la democrazia italiana «non è in pericolo». Il pericolo non è rappresentato da una vittoria della destra, visto che, in fondo, sono pur sempre gli elettori a decidere. La preoccupazione del capo del Pd è un’altra: è quella «torsione maggioritaria che potrebbe realizzarsi a causa del combinato disposto del taglio dei parlamentari e del Rosatellum. La democrazia non è a rischio se vince la destra, il nostro sistema regge e reggerà, sono gli italiani che scelgono», e spiega che con le sue parole voleva soltanto fare «un appello riguardante il sistema elettorale che ha voluto Renzi (quindi oppositore all’attuale dirigenza del partito, ndr).

Il suo voleva essere un appello sul sistema elettorale che può consentire certi strafalcioni di grammatica elettorale. Un sistema che può consentire alla destra italiana, con soltanto il 43% dei voti, di avere il 70% di rappresentanza democratica. Ma la rivoluzione doveva avvenire in coincidenza con il taglio dei parlamentari, e questo per riequilibrare la bilancia. Con il taglio dei parlamentari si doveva cambiare anche la legge elettorale.

Letta ammette: «Abbiamo tentato. Non ce lo hanno permesso. Ora la riduzione dei seggi, con questa legge maggioritaria rende il sistema maggioritario all’eccesso. Questo è sì un rischio».

Ma Letta non accetta l’accusa di aver promosso la legge elettorale «peggiore di sempre». Risponde che ha ragione Giorgia Meloni quando ricorda che il Rosatellum è figlio del Pd, ma si trattava di un altro Pd . «Lo impose Renzi pensando di prendersi il 70% del Parlamento. Poi è andata come è andata».  

Quando Renzi era a capo del partito, Letta era a Parigi e il Pd si spaccò in decine di rivoli. Pierluigi Bersani e una decina di parlamentari uscirono sbattendo la porta. Renzi aveva posto una doppia fiducia sulla legge elettorale che porta il nome di Rosati.

LA CACCIA AL VOTO UTILE

Ora Letta si prepara a una campagna casa per casa, strada per strada, cercando di evitare il fattore ”C”, ovvero Calenda, ma anche Conte.

Convocati per ieri i candidati della lista Italia democratica e progressista per «suonare la carica in vista del rush finale», pancia a terra fino al 25 settembre e conquistare quei 60 collegi uninominali che consentirebbero al Partito democratico di fermare la destra dal «compiere una torsione ipermaggioritaria che porterebbe il Paese verso l’abisso».

Per Letta la campagna in corso ha tre errori. Il primo, la percezione sbagliata di avere la vittoria già nella mano destra, il secondo è quello secondo cui, chiunque vincerà alla fine, bisognerà ritrovarsi attorno a un tavolo per varare il nuovo governo di sicurezza nazionale, il terzo, la percezione sbagliata che ci sia l’Europa a vegliare sull’Italia anche in caso di vittoria delle destre.

Bruxelles non permetterà all’Italia di sgarrare sui conti per ritrovarsi così con le spalle al muro. Il fattore “C”, benché di rilevanza limitata potrebbe avere un ruolo. Ogni voto rubato da Calenda e Conte al Partito democratico è un voto regalato alla destra. Lo dice la matematica per il meccanismo maggioritario, presente nella legge, che assegna un premio di maggioranza vertiginoso a chi vince, dunque per scongiurare che con il 43% dei voti la destra ottenga il 70% della rappresentanza parlamentare. Letta dice: «Il voto per le liste Calenda e Conte? Uno vuol fare il governo con Meloni, l’altro ha il sostegno di Trump».

Intanto Giorgia Meloni attacca il Pd sul Rosatellum «scritto da voi». E adesso per Meloni comincia un mini-tour elettorale che è partito da L’Aquila, poi toccherà Firenze, Trento, Piazza Duomo a Milano fino alla chiusura unitaria il 22 settembre con Berlusconi e Salvini in Piazza del Popolo a Roma. La Meloni ha due obiettivi: vincere come coalizione ed essere primo partito.


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