Sergio Mattarella
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NON è passato nemmeno un mese da quando il Presidente Mattarella, nel suo breve e intenso comunicato in relazione alla fine del governo Draghi e all’annuncio dello scioglimento delle Camere e indizione di nuove elezioni, ha ricordato al Paese e alla sua classe politica i gravi problemi interni e internazionali in atto.
Il richiamo a temi quali l’inflazione, la necessità di interventi a proposito delle difficoltà economiche e delle conseguenze della guerra scatenata dalla Russia contro l’Ucraina, il Pnrr, le misure di contrasto alla pandemia e ai suoi devastanti effetti, la collaborazione a livello europeo e internazionale: tutti elementi che Mattarella ha opportunamente sottolineato, augurandosi che i partiti, pur nella dialettica politica anche intensa che avrebbe caratterizzato la campagna elettorale, potessero dare tutti un contributo costruttivo in questo difficile periodo «nell’interesse superiore dell’Italia».
LO STILE DRAGHI ACCANTONATO
L’opinione pubblica non poteva non sentirsi largamente in sintonia con tale richiamo del Presidente: si trattava innanzitutto di non dilapidare, tramite una sgangherata campagna elettorale, (fatta di meri slogan elettoralistici e di battaglie fra leader che si sentono tanto più bravi quanto più sono in grado di twittare velocemente e di ricoprire di accuse e semmai di insulti gli avversari), l’eredità di credibilità acquisita al Paese sul piano interno e internazionale dal governo Draghi.
Invece è bastato proprio poco ai cittadini per accorgersi che immediatamente lo stile, inteso non solo sotto il profilo meramente formale, che ha caratterizzato lo statista-Mario Draghi (e uso consapevolmente il termine “statista”, in considerazione del fatto che i suoi interventi nella sua qualità di presidente del Consiglio possono a buon diritto figurare fra quelli che hanno segnato la storia dei grandi statisti del Paese) è stato pressoché da tutti messo alle spalle, e non solo per la sua benemerita assoluta lontananza dalle twitterie di moda che la stragrande maggioranza dei politici ama, facendole spesso precedere a interventi da farsi nelle legittime sedi istituzionali.
Così i cittadini che hanno veramente a cuore le sorti del Paese assistono ora a uno scenario assai strano: da una parte gli atti concreti di un governo che, in carica semplicemente per gli affari ordinari, si prende carico di importanti provvedimenti che davvero cercano di salvare ora l’Italia e gli italiani nel bel mezzo della tempesta in cui si trova la “nave dello Stato” (per usare una fortunatissima metafora cara alla storia del dibattito politico sin da un lontano passato).
Dall’altra il tristissimo spettacolo di partiti che non sembrano proprio toccati (o se lo sono in modo assai superficiale e quasi di facciata) dalla difficile situazione reale interna e internazionale e di fronte alla quale si limitano a sbandierare ricette rispolverate dal passato e di marca prettamente elettoralistica.
PROMESSE A VANVERA IN CAMPAGNA ELETTORALE
Quando va bene ci si appella anche alla “agenda Draghi” e nell’immaginario collettivo scatta immediatamente tutto il bagaglio di credibilità che il presidente del Consiglio è stato concretamente in grado di conquistarsi nel periodo del suo governo. Immaginarne però ora una/un possibile erede fattuale?
Questa è davvero una bella scommessa, visto che coloro che a lui si richiamano spesso si avviluppano in vere e proprie baruffe chiozzotte, migliaia di miglia lontane dallo stile Draghi di cui sopra.
Per quanto riguarda poi la sarabanda di promesse… ascoltare qualche dichiarazione di politici basta e avanza. Senza dover ricorrere agli slogan risibili di un Berlusconi che ora promette pensioni minime di mille euro al mese, la taumaturgica moltiplicazione di posti di lavoro, in linea di immarcescibile continuità con la sua prima discesa in campo in politica, o di voler piantare un milione di alberi (ci fosse mai stato qualcuno nel suo partito che avesse avuto il coraggio di fargli un favore, spiegandogli che quest’ultima cifra di un milione non è proprio granché, visto che nella sola Emilia Romagna, come ha ricordato recentemente Bonaccini, in soli due anni ne sono già stati piantati un milione e trecentomila) non è certo la concretezza che caratterizza la campagna elettorale in corso.
E così: vai delle solite grida di battaglia sia dalla Destra (contro gli immigrati, per l’elezione diretta del presidente della Repubblica, anche senza definire bene secondo quale modello: francese? americano? austriaco? sono sistemi assai diversi ma cosa importa? dire al popolo votante che si vuol celebrare il rispetto della sua volontà e questo deve bastare…) che della Sinistra (i diritti, la difesa della Costituzione più bella del mondo…).
Con questo non voglio sminuire la portata di tematiche serie quali il presidenzialismo o la difesa dei princìpi ispiratori della nostra Carta costituzionale, ma se queste vengono soltanto sventolate di fronte ai cittadini come marchio di fabbrica di opposti schieramenti… bene, forse ciò è proprio poco in termini di concretezza di fronte all’attuale e difficilissima situazione interna e internazionale.
AMBIGUITÀ E DEMAGOGIA
A proposito di quest’ultima, per esempio, certe sospette conversioni di atlantismo che poi precipitano in programmi elettorali degli schieramenti: quando la Lega continua a mantenere tuttora rapporti di apparentamento col partito di Putin, il suo segretario dovrebbe perlomeno spiegare agli italiani, che tanto dice di avere a cuore, il perché di questo suo doppio registro.
Ma le contraddizioni si sprecano sui vari versanti, soprattutto sotto l’egida di quei partiti e leader (e la crescente preoccupazione di far figurare in bella vista il proprio nome per i vari simboli la dice lunga sull’identificazione di se stessi col proprio partito) che fanno dei personalismi e della demagogia la loro bandiera come arma vincente per trascinare un popolo che essi immaginano dar retta a chi mostra più i muscoli e grida più forte e, nella maggior parte dei casi, a chi più promette a oltranza. Capita che qualche dose di demagogismo affiori persino dove meno ci si aspetta (vedi la dote ai diciottenni prospettata da Letta).
Dove è andato a finire l’«interesse superiore dell’Italia» invocato da Mattarella anche per la campagna elettorale? Non dalle parti di chi ha l’Italia come riferimento specifico nel nome del proprio partito e nemmeno altrove: una bandierina come tante da sventolare quando serve (a volte attraverso dichiarazioni le cui finalità si fa davvero fatica a riconoscere su un tracciato di linearità costituzionale).
Per loro fortuna in tutto questo periodo che ci separa dalla caduta del governo Draghi coloro che continuano a non vedere segnali in questa campagna elettorale che facciano pensare a un Politica alta e con la “P” maiuscola, i cittadini italiani possono comunque contare sul loro Presidente Mattarella, lui sì garanzia vera per il nostro Paese ed esempio effettivo di un ben inteso amor di patria, nel senso più pieno, che racchiude in sé i valori fondativi della Repubblica e l’interesse superiore dell’Italia.
IL CAPOSALDO MATTARELLA
I tre messaggi che egli ha inviato al Paese in questa prima metà di agosto, in occasione della ricorrenza di tragici anniversari, sono l’ennesima prova in tal senso e ancora una volta un saldo punto di riferimento per tutti: intendo richiamare la data dell’8 agosto, in occasione dell’anniversario della tragedia in Belgio, nel l956, della miniera di Marcinelle, in cui morirono 262 lavoratori di cui 136 italiani; la data del 12 agosto che segna il massacro nazi-fascista di centinaia e centinaia di vittime civili di Sant’Anna di Stazzema, nel 1944; la data del 14 agosto che solo quattro anni fa ha visto a Genova la tragedia delle decine di morti e feriti e di centinaia di sfollati causati dal crollo del ponte Morandi.
Credo abbia fatto davvero male a tanti italiani (e per di più nella stessa data dell’anniversario della strage di Sant’Anna di Stazzema!) sentire e leggere le note dichiarazioni di Berlusconi a proposito del fatto che Mattarella dovrebbe dimettersi nel caso venisse approvata una legge sull’elezione diretta del presidente della Repubblica. Bontà sua, Berlusconi ha avuto cura di rilevare che lo stesso Mattarella potrebbe nel caso concorrere a tale elezione…
IN CAMPAGNA ELETTORALE LA POLITICA CON LA “P” MINUSCOLA
Al di là dei giudizi che si possano dare a una dichiarazione del genere a proposito di un Presidente che non ha certo bisogno di prendere lezione di correttezza istituzionale da chicchessia e che fra l’altro è di gran lunga il politico più amato in casa nostra, e non considerando affatto i commenti di altre parti politiche (rispetto al suo partito o di suoi alleati di coalizione), commenti di avversari che il capo di Forza Italia giudica del tutto strumentali, quasi ergendosi a vittima di una dichiarazione che nessuno gli ha estorto, che proprio lui e solo lui ha fatto e in quella data e ricorrenza così drammatica per la nostra storia comune… credo che gli Italiani abbiano nuove ragioni per ritenere che la politica che certi leader rappresentano va scritta con la “p” assolutamente al minuscolo…
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