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Matteo Salvini e Giorgia Meloni

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LE ELEZIONI amministrative del 12 giugno rappresentano un test importante per verificare lo stato di salute dei partiti e delle coalizioni. Si voterà in 978 comuni, tra i quali ben 26 capoluoghi di provincia. Tra questi si contano anche quattro capoluoghi di Regione: Genova, Palermo, Catanzaro e L’Aquila. Tra le 26 maggiori città, 18 sono governate dal centrodestra, 5 dal centrosinistra e 3 da giunte civiche.

Il punto di partenza per valutare questo appuntamento politico è il sistema elettorale. Ormai da trent’anni il sindaco è eletto direttamente dai cittadini con un sistema a doppio turno che favorisce una competizione bipolare. Pertanto – a dispetto delle nostalgie provenienti da più parti per il sistema proporzionale puro della cosiddetta prima Repubblica – la gara per le amministrative sarà segnata dal confronto tra centrodestra e centrosinistra, anche là dove le due coalizioni arrivano divise. In quest’ultimo caso, infatti, si tratterà di verificare quale dei partiti sarà capace di superare l’altro, facendo il pieno dei consensi della coalizione.

Le elezioni di giugno serviranno pertanto per ridisegnare i rapporti di forza tra le coalizioni e all’interno di queste, proprio mentre il sistema politico a livello nazionale è in preda a importanti fibrillazioni che attraversano gli schieramenti in modo trasversale.

L’aggressione della Russia all’Ucraina ha riportato d’attualità la questione del posizionamento geostrategico del nostro paese, con il Partito Democratico e Fratelli d’Italia – le due forze oggi in testa ai sondaggi – schierati chiaramente sulla linea atlantista del premier Mario Draghi. Su posizioni pacifiste e antiamericane si collocano invece la Lega e il Movimento Cinque Stelle. L’altra linea di frattura riguarda l’Unione europea. Non siamo più all’inizio della legislatura, quando la gran parte degli eletti beneficiò di un voto di protesta populista e antieuropeo. Molte cose sono cambiate da allora, soprattutto grazie al Next Generation Eu, il programma di aiuti europei postpandemici di cui l’Italia è la principale beneficiata e che sta impegnando una ampia maggioranza di unità nazionale. Insomma: i toni nei confronti dell’Europa, anche da parte delle forze politiche più critiche in passato, sono decisamente cambiati. Anche se uno strisciante euroscetticismo fa di tanto in tanto capolino sia a destra che a sinistra.

Ma la vera posta in gioco di questo voto amministrativo riguarda la ridefinizione dei rapporti di forza tra i partiti (all’interno di coalizioni traballanti) in vista delle elezioni generali del 2023. Il primo osservato speciale è il centrodestra che oggi governa in 18 dei 26 capoluoghi di provincia e che da questa tornata elettorale trarrà le sue conclusioni anche sulle Regionali d’autunno in Sicilia. Nonostante una tradizione di maggiore disciplina e fedeltà reciproca, ormai da tempo si muove in ordine sparso, presentandosi diviso, per esempio, a Messina, Verona, Parma, Catanzaro e Viterbo. Sono ancora visibili le cicatrici della debacle delle elezioni comunali di Roma e Milano dove il centrodestra candidò personaggi improbabili, con il risultato di lasciare campo libero a Roberto Gualtieri e a Giuseppe Sala.

Ma le frizioni politiche sono molto più profonde di quanto possa apparire nella dimensione locale. Impossibile dimenticare, infatti, il modo in cui fu gestita la partita del Quirinale con le scriteriate contorsioni di Matteo Salvini. E Giorgia Meloni che attendeva sulla riva del fiume il cadavere politico dell’alleato-competitor. Sappiamo come è andata a finire. La partita principale nel centrodestra si gioca dunque tra i due leader. Salvini ha lanciato la lista Prima l’Italia a Palermo, Messina e Taranto con la speranza di rispolverare una proiezione nazionale per la Lega. In questi anni, il ‘Capitano’ ha sfruttato la sovraesposizione mediatica e la macchina dei social per costruire il profilo di una leadership sovranista e tricolore, nel tentativo di superare i recinti della Padania. Durante il governo gialloverde sembrava esserci riuscito. Ma dal Papeete in poi è entrato in uno stato di confusione mentale e politica che ne ha segnato un lento declino.

Per converso, Giorgia Meloni ha cominciato a lavorare con maggiore scrupolo sul suo posizionamento, anche grazie ai consigli di abili ‘spin’ come l’ex parlamentare Guido Crosetto. Ha evitato i rischi di isolamento all’estrema destra, a dispetto del fatto di essere la più grande forza di opposizione. E ha sviluppato un aplomb istituzionale grazie alla chiara scelta atlantista (e “draghiana”) in politica estera: una novità che le permette di candidarsi a palazzo Chigi nel 2023 con maggiore credibilità e autorevolezza rispetto al passato. Ma da qui all’anno prossimo ne passerà ancora tanta di acqua sotto i ponti.

Per adesso bisogna concentrarsi sulle comunali dove Meloni ambisce a diventare la leader indiscussa del centrodestra al sud. Per raggiungere l’obiettivo serve respingere la Lega e assorbire una parte dei consensi in fuga da Forza Italia. Non solo. La leader di Fratelli d’Italia conta di sfondare anche al nord, approfittando dell’indebolimento di Matteo Salvini per via del mancato raggiungimento del quorum nei referendum sulla giustizia (per i quali la Lega aveva contribuito a raccogliere le firme). Se l’eventuale sorpasso di Meloni su Salvini si realizzasse in forma evidente ed estesa anche sopra il Po, l’ipotesi di un cambio al vertice del Carroccio potrebbe diventare realtà.

Non va molto meglio sull’altro fronte. L’identità del centrosinistra è ancora tutta da definire. Con un deciso indirizzo euroatlantico, Enrico Letta sembra aver trovato la quadra per riportare il Pd a quote più normali, ma non sembra ancora in grado di superare la soglia del 21-22%. Soprattutto, vive uno stato di coma politico il M5s, che, se può contare ancora su una certa popolarità di Giuseppe Conte, sconta però la totale confusione e ambiguità della sua proposta politica. Nessuno capisce più – se mai si era capito prima – che cosa sono i Cinquestelle e, soprattutto, nessuno sa se arriveranno uniti nel 2023.

Nel frattempo, la totale deriva del Movimento fa sì che, in molti – troppi – comuni, i grillini nemmeno presentano liste e candidati, rinunciando a priori alla gara. La loro presenza, inoltre, allontana quei piccoli partiti centristi e liberali che sono ancora in cerca di una precisa collocazione. Con Italia Viva che, a seconda dei casi, sostiene candidati di centrosinistra o di centrodestra. E con Azione che ha scelto in diverse situazioni di correre da sola. In ogni caso, il vecchio espediente bettiniano del “campo largo” sembra ormai un’opzione platonica. Chissà se dai ballottaggi del 26 giugno riuscirà ad emergere un panorama politico più chiaro.


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