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Il Campidoglio a Roma

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Da un lato, in vista del Campidoglio, oltre a Carlo Calenda – l’unico credibile per il centrosinistra – ci sono ventisette candidati pronti a correre per la sindacatura della città di Roma (con un sovrappiù di papabili in quota “Papa straniero”, dal barese Gianrico Carofiglio al solito Roberto Saviano, oppure direttamente padre Spadaro). E in questo lato domina la Ztl, ovvero l’area privilegiata del ceto altolocato.

LE CARTE

Dall’altro, per il centrodestra, nessun leader gioca a carte scoperte, soltanto si evoca un cast di star televisive, e tutte hanno detto no, mentre il gregge romano ha solo bisogno del suo Pecoraro. Ed è il lato, questo, delle periferie, dell’eterno hinterland, di quella cerchia baluginante d’esistenze ai margini oltre il raccordo: l’agro immenso – manco a dirlo – del furor di popolo.

IL PROFILO GIUSTO

Eccolo, il più che perfetto candidato del Centrodestra a Roma è Giuseppe Pecoraro.

Classe 1950, già prefetto della città più complicata al mondo nel delicatissimo periodo che va dal 2008 al 2015, già commissario all’emergenza rifiuti col Governo Monti, Pecoraro è forte di un’esperienza maturata sul campo: al Viminale, al Dipartimento della Difesa Civile e perfino – poiché la realtà è innanzitutto popolo – nella Federazione Calcio.

Sarà più che un ministro, il futuro sindaco di Roma. Ancora più importante di un presidente di Regione, perfino rivale – in immagine e peso politico – allo stesso presidente del Consiglio. E il protagonista atteso nello scenario prossimo venturo, se solo il gregge romano avesse nel prefetto il suo Pecoraro, sarebbe anche la prova di maturità per quella parte politica, sia essa populista, sovranista e avversa ai Poteri Forti, e così farsi fortemente potere.

PACE E GUERRA

La partita per le amministrative a Roma è già aperta, ma nell’Urbe il cui dio è Giano – il nume bifronte della pace e della guerra – mancano solo i contendenti e quella del Pecoraro per il gregge romano è un’idea neppure peregrina perché la sostanza urge ben più che la forma.

SOLITA TEMPESTA

La politica, infatti, è progetto, non propaganda e se fa testo la biografia di una personalità, quella di Giuseppe Pecoraro incontra la febbrile consistenza di un’Italia perennemente in tempesta, in cerca di un nocchiero, tale e quale ebbe a esserlo lui in quel sabato del 2011, il 12 novembre quando Silvio Berlusconi mette fine al proprio Governo.

Saccheggiando Il Cigno nero e il Cavaliere bianco (La Nave di Teseo editore) il libro di Roberto Napoletano, il direttore di questo giornale, si trova un passaggio che qualifica Pecoraro, col servitore dello Stato qual è, anche l’esecutore del più lesto dei bisogni per la salute pubblica: l’intelligenza.

12 novembre, dunque, il Cavaliere fa il bel gesto e leggete dunque:

PIAZZA VENEZIA

“La sera delle sue dimissioni, il prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro, rientra a casa dopo avere cenato da amici e vede tanti assembramenti e movimenti strani tra piazza Venezia e Palazzo Grazioli. Sale nella sua abitazione che è lì a cento metri, si infila un paio di jeans e si mescola tra la folla. Capisce che il popolo dei centri sociali vuole salire a casa di Berlusconi e teme un nuovo piazzale Loreto. Schiererà i pullman dell’ATAC per fare da muro alla protesta e far uscire alla spicciolata i ministri del Governo Berlusconi che erano a casa del premier dimissionario.”

IL GUAIO SPENTO

Ecco, fin qui c’è una storia: lo scampato Piazzale Loreto in via del Plebiscito. Ed è la storia del come si mette mano a un guaio, spegnendolo sul nascere. Dopodiché c’è la chiamata al dovere ulteriore: arginare il danno senza fine tutto di pace e guerra nel bifronte destino della città universale, Roma.

La città, quindi, del dio Giano. Dove da un lato c’è la pappa pronta del sistema acquartierato sul Lungotevere mentre dall’altro, dominato dal Gianicolo, la montante rabbia di un popolo in cerca di un riscatto dal più scafato romanzo criminale.

Giusto per dirla con Tarquino il Superbo, nella versione di Luigi Magni – interpretata da Gigi Proietti ne I Sette Re di Roma –sono “i luoghi comuni”.

Ecco, parola del settimo dei Re dell’Urbe: “Come il luogo comune della storia secondo cui Roma, essendo nata da Romolo è una città pecorara, d’abbacchiari, caciottari; una città greve senza spirito e senza finezza… ma chi l’ha detto?”.

Già. E chi può dirlo? Il gregge, in ogni modo, c’è. Il Pecoraro pure.


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