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Ancora una fumata nera. Le posizioni restano distanti. Non sono stati sufficienti due giorni di trattative serrate fra i leader dei 27 per fare un passo in avanti sulla riforma del Patto di Stabilità. Neanche il vertice serale a tre, fra la premier italiana Giorgia Meloni, il presidente francese, Emanuel Macron e il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha riavvicinato le posizioni. Se ne parlerà la prossima settimana, il 20 dicembre, con un nuovo vertice straordinario dell’Ecofin che la presidenza spagnola di turno ha deciso di organizzare in videoconferenza.
Una modalità che non è piaciuta per niente all’Italia ed è stata contestata prima dalla Premier e poi dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. “Non ho niente contro le videoconferenze ma che io vada a chiudere un accordo che condiziona l’Italia per i prossimi 20 anni in videoconferenza, anche no, grazie. Forse un Ecofin in presenza potrebbe essere più opportuno”. Non proprio un buon viatico per un summit che, sulla carta, potrebbe e dovrebbe essere quello decisivo per chiudere una trattativa che va avanti da oltre un anno, da quando cioè, nel novembre del 2022, la Commissione europea ha presentato la sua proposta di riforma del patto di stabilità.
Giorgetti, ieri, non nascosto perciò il suo pessimismo: “Le possibilità che si arrivi a un’approvazione la settimana prossima sono scarse”, ha sentenziato in una pausa della kermesse di Fratelli d’Italia “Atreju” a Roma. “C’è un negoziato in cui abbiamo contro la maggioranza dei Paesi, guidati dalla Germania, che si ispirano a un criterio di frugalità o austerità. Abbiamo fatto dei progressi e la proposta di compromesso fa passi in avanti nella direzione che chiedevamo. Certamente non è quella che era la posizione italiana”.
L’ipotesi sulla quale si sarebbe raggiunta una prima intesa è quella di scorporare per tre anni, dal 2024 al 2027, dal calcolo del deficit la spesa degli interessi per finanziare progetti “strategici” o legati al Pnrr. Una flessibilità che, secondo la bozza in circolazione, potrebbe arrivare allo 0,2% del rapporto deficit/Pil. Un modo per attenuare il sacrificio del taglio di mezzo punto di deficit all’anno per i Paesi che sforano la regola del 3%.
Ma la trattativa è aperta anche sulla questione del tetto al deficit per i partner con un debito superiore all’80% del Pil. La Germania insiste per un “cuscinetto” di salvaguardia che limiti il rapporto all’1,5%, per affrontare meglio eventuali choc finanziari. C’è poi la questione della riduzione del debito, pari all’1% all’anno per i paesi come l’Italia più indebitati. Anche in questo caso le posizioni restano distanti. Anche perché, a conti fatti, le nuove regole potrebbero essere per l’Italia più penalizzanti di quelle vecchie.
E, in caso di forzatura da parte degli altri partner europei, Roma potrebbe far scattare anche il diritto di veto. Una mossa che Giorgetti, ieri, ha difeso senza mezze parole, spiegando che il potere di veto può essere usato “anche dalla Germania, che ha una posizione negoziale per cui vanno bene le regole precedenti, non vuole cambiare niente. Il negoziato andrà avanti fin quando ci saranno delle condizioni magari anche politicamente diverse, in Europa ogni due mesi ci sono elezioni nazionali.
Con un negoziato che richiede l’unanimità per cambiare le regole, è estremamente complesso. Ci giochiamo tutta la partita con coraggio e intelligenza. Gli inviti, non troppo disinteressati, a fare i matti devono essere valutati come tali”. Il ministro si concede anche una riflessione sulle festività natalizie: in Europa “non hanno riserve di tipo religioso perché mi hanno costretto a lavorare anche l’Immacolata Concezione e a me ha dato particolarmente fastidio”’.
La trattativa sul Patto di Stabilità si incrocia, ovviamente, con la firma della revisione dei trattati del Mes, il Fondo Salvastati. L’Italia è l’unico Paese europeo a non aver ancora siglato la riforma, bloccando di fatto tutta la macchina del nuovo Meccanismo europeo di Stabilità che prevede anche interventi specifici per salvare le banche in difficoltà. La Meloni e Giorgetti continuano restano sulle proprie posizioni: nessun accordo se prima non si scoprono tutte le carte sugli altri dossier aperti, dal patto di Stabilità ai fondi per gestire i flussi dei migranti.
Tutti dossier strettamente interconnessi che l’Italia vuole affrontare tutti insieme, evitando un’intesa a pezzi anche per non indebolire la sua posizione nelle trattative. Una strategia, che però, continua a generare nuove tensioni a Bruxelles e che rischia di compromettere l’esito del confronto.
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