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L’accordo non c’è ancora. E chissà se arriverà in tempo. In compenso, è già stata convocata una nuova riunione straordinaria dell’Ecofin, per il 20 dicembre, proprio a ridosso delle festività natalizie. Un incontro in videoconferenza per tentare l’affondo finale sulla riforma del Patto di Stabilità ed arrivare ad un accordo entro la fine dell’anno. Oltre questa data, tutto diventerebbe molto più difficile, con una Commissione europea in scadenza e con le elezioni per il nuovo Parlamento alle porte. Il rischio, insomma, è che il dossier finisca sul tavolo del prossimo esecutivo comunitario.
E non è detto che per l’Italia sia proprio la prospettiva migliore: un’affermazione della destra estrema potrebbe portare, infatti, nel board dell’Unione anche qualche esponente di punta dei “falchi” dei Paesi nordici, decisamente ostili all’ipotesi di fare nuovi sconti ai paesi più indebitati. Il nodo da sciogliere, del resto, è proprio questo: quali possono essere le procedure di infrazione per i paesi più in difficoltà sul fronte dei conti pubblici. Il tema, sui cui si è discusso anche ieri negli incontri informali fra Italia, Francia e Germania, è se l’aggiustamento strutturale annuo pari allo 0,5% del Pil, previsto dalle nuove regole europee, debba essere rispettato comunque, anche nelle condizioni più difficili dell’economia, o se si possa fare un intervento correttivo di minore entità considerando l’impatto degli interessi del debito.
Il margine di flessibilità sul quale si starebbe ragionando sarebbe di circa lo 0,2%, almeno in un periodo transitorio compreso fra il 2025 e il 2027. Ma sul tema le posizioni sono distanti. L’Italia, ad esempio, vorrebbe un periodo più lungo. I paesi nordici, i cosiddetti “frugali”, a cominciare dalla Germania, vorrebbero vincolare lo “sconto” all’adozione di precise misure strutturali di contenimento della spesa e al varo di riforme.
Una settimana fa, in effetti, il pre-Ecofin si era aggiornato mantenendo una differenza tra quanto previsto nel preambolo al testo legislativo sul braccio correttivo del patto (ovvero le sanzioni per i Paesi che non rispettano le regole economiche) e quanto contenuto concretamente nel testo di riforma vero e proprio (sono comunque bozze ancora da approvare dal Consiglio Ue). Nel preambolo si spiegava che nella procedura per disavanzo eccessivo che prevede un aggiustamento strutturale annuo dello 0,5% del Pil e che “rispetto al contesto del contesto dei tassi di interesse significativamente modificato e di vasta portata sfide di investimento nel contesto della doppia transizione e sfide geopolitiche,
La Commissione può, per un periodo transitorio nel 2025, 2026 e 2027 – al fine di non compromettere gli effetti positivi del dispositivo per la ripresa e la resilienza – tenerne conto l’aumento dei pagamenti di interessi nel calcolo dello sforzo di aggiustamento all’interno dell’Eccessivo Procedura per deficit”.
Il testo legislativo prevede invece una “disposizione transitoria”: “E’ possibile adeguare il parametro di riferimento” dell’aggiustamento strutturale per lo 0,5% del Pil “tra il 2025 e il 2027, tenendo conto dell’aumento dei pagamenti di interessi, quando uno Stato membro si impegna ad attuare una serie di riforme rilevanti e investimenti”. Sino alle ultime ore si registravano ancora voci su una assoluta contrarietà di Berlino a trasformare il preambolo in legge.
Già la parte transitoria del testo, comunque, ha mostrato un forte ammorbidimento della Germania, con il ministro delle Finanze Christian Lindner che era entrato nel negoziato avvertendo che il punto sulla procedura per disavanzo eccessivo era già stato deciso e non sarebbe stata riaperto. Una posizione che l’Italia ha già fatto sapere di non poter accettare. Tanto che la Meloni potrebbe anche decidere, come ultima istanza, di ricorrere al potere di veto: per modificare alcuni punti del trattato serve, infatti, l’unanimità.
Ma a Roma sta prendendo sempre più piede l’ipotesi di lasciare le cose così come sono, mantenendo in vita il patto attuale. Meglio le vecchie regole che, tutto sommato, hanno garantito condizioni di flessibilità in presenza dei cosidetti “fattori eccezionali” piuttosto che un salto nel buio con le nuove norme. Regole, riflettono al ministero dell’Economia, che darebbero maggiori poteri alla commissione e che potrebbero portarci diritto sulla strada di una manovra correttiva già nella prossima primavera, subito dopo le elezioni europee, per ridurre il deficit.
La trattativa sul patto continua, poi, ad incrociarsi con quella sul Mes. Le due partite sono fortemente interconnesse per il governo italiano. Ma la Meloni deve comunque fare i conti con la Lega che continua a resistere sulla ratifica del trattato. Anche se ieri, dal capogruppo del carroccio alla Camera, Riccardo Molinari, è arrivata una cauta apertura: “”Approvare il Mes non significa utilizzarlo. Stiamo eventualmente ragionando su clausole di salvaguardia che diano al Parlamento il controllo del governo”. L’Italia, del resto, è l’unico fra i paesi europei a non aver ancora firmato sul nuovo accordo che darebbe al Mes uno strumento in più, con la possibilità di intervenire in presenza di crisi bancarie che potrebbero contagiare l’intero euro-sistema.
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