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Il rapporto Svimez: nell’anno che sta per concludersi nella penisola si riapre il divario Nord / Sud
Di fronte alla prova della crisi Covid il Mezzogiorno ha mostrato una resilienza inedita, rivelandosi in grado di agganciare la ripresa al pari del Centro Nord: lo dimostra l’allineamento dei relativi dati sulla crescita nel biennio 2021-2022, che nel Sud ha raggiunto il 10,7% (a fronte di un calo del Pil nel 2020 dell’8,5%), quasi pari all’11% del resto del Paese (dove la flessione era stata del 9,1%), con i servizi e le costruzioni a fare da traino: i primi hanno contribuito alla crescita del valore aggiunto per 71,1 punti, 63,6% nel Centro Nord -; quello delle costruzioni – grazie all’impatto espansivo del Superbonus – si è spinto 7 punti oltre la media del Settentrione (18,9% contro 11,9%). Mentre l’apporto dell’industria è stato limitato, 10 punti contro i 24,5 del Centro Nord, “pagando” la riduzione della base produttiva subita tra il 2000 e il 2022.
Lo choc inflazionistico del 2022 ha portato alla riapertura della forbice: la corsa dei prezzi ha eroso il potere d’acquisto della famiglie, soprattutto di quelle più deboli concentrate prevalentemente nel Sud, dove il reddito disponibile si è ridotto del 2,9%, oltre il doppio rispetto all’1,2% del Centro Nord. E nel 2023 non è andata diversamente: -2% il dato del Mezzogiorno, – 1,2% al Centro Nord. Dati che si riflettono sulla dinamica dei consumi: la flessione dello 0,5% registrata nelle regioni meridionali rispetto all’aumento dello 0,4% in quelle settentrionali previsto per il 2023 spiega la riapertura del divario: a fronte di una crescita nazionale dello 0,7%, il Sud dovrebbe fermarsi allo 0,4%, mentre il Centro Nord dovrebbe arrivare allo 0,8%.
Nel 2024, pur in un contesto di generale rallentamento dell’economia, la crescita dovrebbe tornare ad allinearsi: +0,7% il dato Paese, per effetto del +0,7% del Centro Nord e del +0,6% del Meridione che dovrebbe beneficiare della ripresa dei consumi (+0,8%, +1,2% nel Settentrione). Il 2025 segna una nuova riapertura del divario territoriale: +1,2% la crescita attesa del Pil italiano, nel Sud è vista 4 decimi di punto sotto quella del Centro Nord: +0,9% a fronte del +1,3%.
Sui numeri del 2024 e del 2025 incidono gli effetti espansivi del Pnrr, che se pienamente impiegato, avrebbe un impatto cumulato di 2,2 punti sul Pil del biennio: +2,5 nel Sud, +2 nel Centro Nord. Senza il Pnrr il Mezzogiorno andrebbe in recessione, segnando -0,6% e -0,7% rispettivamente nel 2024 e 2025. Mentre per il Centro Nord il 2024 sarebbe l’anno della stagnazione (-0,2), della crescita piatta (0) il 2025. Intanto, sui 32 miliardi assegnati ai Comuni, il 45% a quelli del Sud, la quota di progetti messi a bando si ferma al 31% al Mezzogiorno rispetto al 60% del Centro-Nord. Pesa il deficit di capacità amministrativa che se non colmato rischia di ampliare il divario.
E’ lo scenario disegnato dalla Svimez nel Rapporto 2023 sull’economia e la società del Mezzogiorno, arrivato alla sua 50esima edizione, un traguardo che coincide con il 120 anniversario della nascita del fondatore dell’Associazione per lo sviluppo dell’industria del Mezzogiorno, Pasquale Saraceno. Le sue parole sono riecheggiate nella sala del Tempio di Adriano dove, ospiti della Camera di Commercio di Roma, Luca Bianchi, Adriano Giannola, direttore e presidente di Svimez, hanno illustrato e commentato il Rapporto, alla presenza del ministro degli Affari Europei e delegato per il Pnrr, Raffaele Fitto, il sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, i presidenti di Invitalia, Bernardo Mattarella, e di Poste Italiane, Silvia Maria Rovere. «Il futuro del Mezzogiorno condiziona il futuro del Paese. Una politica meridionalista decisa, risoluta e illuminata giova a tutti», il messaggio “rilanciato” nel video proiettato in apertura dei lavori.
Il Mezzogiorno continua a fare i conti con i suoi ritardi strutturali, ma ha anche alcune carte valide da giocare nello scenario “rivoltato” dalla pandemia prima e dall’invasione russa dell’Ucraina poi. Il Pnrr in primis, su cui si impone un’accelerazione, e non solo nel Meridione; la sua posizione strategica nel Mediterraneo che lo rende un “candidato” naturale al ruolo di hub energetico europeo, cui si associa anche un primato sul fronte della capacita rinnovabile installata in Italia, dove rappresenta il 40%, con regioni come Sicilia, Puglia e Campania che hanno registrato una crescita superiore alla media nazionale. Risultati che possono legittimare l’ambizione di un Sud come polo produttivo strategico rispetto agli obiettivi di sicurezza energetica e autonomia strategica europea.
E poi c’è quell’«esercito di impese» – come l’ha definito Luca Bianchi – sopravvissuto al pesante processo di deindustrialiazzazione degli anni passati, che oggi «presenta elementi di maggiore solidità rispetto al Paese», «su cui si può costruire la crescita economica», considerando anche il peso del Mezzogiorno nelle filiere strategiche: dall’energia all’agroalimentare, dalla logistica al turismo, fino al servizio idrico, più di una impresa su quattro “risiede” al Sud.
«Gli obiettivi dell’Italia in questo momento potrebbero essere molto ambiziosi, proprio perché è molto evidente che il tema del Mediterraneo è cruciale – ha affermato Giannola -. Per noi è un bene posizionale, cioè quel bene che non può essere sostituito dal nulla altro perché noi siamo il Mediterraneo e quindi abbiamo anche un potere contrattuale se riusciamo a presentarci in modo decente. Dobbiamo quindi mettere a posto i porti e fare la transizione energetica, usando il fossile e calore, usando il mare come via di trasporto piuttosto che l’autostrada. Nel giro di pochi anni avremmo dei vantaggi incredibili. Diventeremmo i padroni di un modello molto originale e non imitabile».
Questi i punti di forza cui si gioca la “scommessa Sud” cui abbiamo scelto di dare la precedenza rispetto all’elenco dei problemi da sanare, partendo da quello che potrebbe apparire come un paradosso: dal 2020 al 2022, nonostante la crescita dell’occupazione (+188mila posti nel Mezzogiorno, pari a +3,1%, +219mila nel Centro-Nord, il +1,3%), è aumentato il numero delle persone che vivono in famiglie in povertà assoluta (+250mila, -170mila nel Centro Nord. Quasi una famiglia di lavoratori su dieci nel Meridione vive in indigenza assoluta e tra bassi salari, anni di precariato, lavoro in nero e part-time involontario, così che avere un impiego spesso non basta per guadagnare abbastanza per vivere. Un questione nazionale, che al Sud pesa però di più: un dato su tutti, su circa tre milioni i lavoratori dipendenti al di sotto dei 9 euro di retribuzione oraria in Italia, ad esempio, circa un milione sono nel Meridione.
E si parte in cerca di opportunità nel Nord, verso cui ha fatto rotta l’81% degli oltre 2,5 milioni di persone che hanno lasciato il Sud tra il 2022 e il 2021: al netto dei rientri, sottolinea Svimez, il Meridione ha perso 1,1 milione di residenti. Oltre 800mila giovani hanno fatto la valigia, 263 con una laurea tra le mani. Tra spopolamento e gelo demografico al traguardo del 2080 le regioni meridionali potrebbero arrivere con 8 milioni di abitanti in meno.
Il potenziamento dell’occupazione femminile è cruciale per invertire la rotta, si rileva. Il punto di partenza è però drammatico: al Sud sette donne su dieci non hanno un lavoro. E la povertà del territorio in termini di servizi che consentano di conciliare lavoro e famiglia – dagli asili nido al tempo pieno (a quest’ultimo, in particolare, si addebita anche la responsabilità del divario Nord/Sud nelle competenze degli studenti registrato dalle prove Invalsi) – rende ardua l’inversione di rotta. La Svimez ha segnalato poi i rischi legati ai 100 mila posti negli asili nido saltati nella revisione del Pnrr che lascerebbero Lombardia, Puglia, Campania e Sicilia sotto il target del 33%, chiedendo che i nuovi fondi stanziati dal governo vadano quindi dove ce n’è più bisogno.
L’associazione non ha poi mancato di suonare l’allarme sulla riforma dell’autonomia differenziata, che rischierebbe di trattenere in tre regioni del Nord, Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, il 30% del gettito Irpef nazionale e sugli effetti dei cambiamenti climatici, che colpiranno più pesantemente il Mezzogiorno.
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