Il ministro del Pubblico Impiego, Paolo Zangrillo
4 minuti per la letturaComincia un mese di fuoco sul fronte dei conti pubblici. Parte oggi, infatti, il giro dei giudizi sul debito da parte delle agenzie di rating, che nei giorni scorsi hanno passato al setaccio i numeri della Nadef e poi del Documento programmatico inviato a Bruxelles con i contenuti principali della seconda manovra economica dell’era Meloni. Ad aprire le danze sarà Standard & Poor’s che, a mercati chiusi, farà sapere il suo giudizio.
Qualche mese fa, ad aprile, confermò la tripla B per l’Italia con un outlook stabile. I bookmakers sono convinti che lascerà il rating allo stesso livello, magari portando la lancetta dell’outlook sul “negativo”. Fra una settimana toccherà a Dbrs, che si era allineata ai livelli di S&P. E, il 10 novembre, sarà la volta di Fitch che, appena una settimana fa, non ha nascosto le sue preoccupazioni sul rallentamento del ritmo di rientro del debito segnalando come la nuova manovra rappresenta «un significativo allentamento della politica di bilancio rispetto agli obiettivi precedenti».
Il gran finale, però, sarà riservato a Moody’s, che dirà la sua il 17 novembre prossimo. Ed è, al momento, il giudizio che desta le maggiori preoccupazioni. A maggio scorso, infatti, aveva rinviato l’aggiornamento del rating, fissato a BAA3 con ooutlook negativo. Una ulteriore revisione al ribasso, insomma, porterebbe ad un pesante declassamento del debito italiano fino al livello “junk”, spazzatura. Chiuderà definitivamente la partita, infine, Scope, che a luglio aveva mantenuto inalterata la raccomandazione BBB+ con outlook stabile.
Insomma, se i pronostici della vigilia saranno confermati, il nostro debito potrebbe alla fine contare su 4 giudizi più o meno neutri (o, al massimo, con qualche ritocco dell’outlook) e uno decisamente negativo. Per ora al Mef si ostenta una certa tranquillità. La manovra e le previsioni “sono tutte nel segno della responsabilità”. Così come le stime di crescita del Pil, agli ultimi posti fra tutti i Paesi europei: “Sono previsioni prudenti che confermano l’approccio prudente e serio ribadito in ogni sede dal ministro dell’economia e finanze Giancarlo Giorgetti”.
Sono almeno tre i punti della manovra economica che potrebbero creare non pochi problemi all’indice di fiducia dei titoli italiani, portando ad un ulteriore aumento dei rendimenti. In primo luogo la crescita. Era stato proprio il Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, a segnalare la necessità di interventi per accelerare la nostra economia proprio per sostenere il debito.
E’ questo il fattore, ha spiegato il numero uno di via Nazionale, che più sta a cuore alle agenzie di rating. La seconda spina riguarda il debito. Un eventuale rallentamento della crescita economica mondiale, determinata dai nuovi scenari di guerra e dall’aumento delle materie prime, potrebbe rendere difficile anche quella stabilizzazione del debito prevista per i prossimi tre anni. E creare problemi anche al deficit del 2024, già previsto in rialzo di 1,3 punti rispetto alla soglia Ue del 3%.
Infine, c’è da fare i conti con gli interventi fiscali previsti nella manovra economica, una dote di circa 14 miliardi di euro destinata alla proroga del taglio del cuneo fiscale e all’avvio della riforma dell’Irpef. Soldi che, immancabilmente, dovremo trovare anche l’anno prossimo, con una manovra che quindi già partirà con una forte zavorra. Più o meno quello che succedeva quando dovevamo disinnescare la clausole di salvaguardia con gli aumenti dell’Iva.
Sul nostro debito, poi, continua a pesare il macigno del superbonus. Tanto che nel decreto anticipi che accompagna la legge di Bilancio la dote prevista per il 2023 è stata aumentata di altri 15 miliardi. Il decreto ha oneri complessivi per 27,98, coperti fra l’altro con lo scostamento votato dalla Camera, con 3,1 miliardi di definanziamento di programmi ministeriali, 2,53 dall’assegnazione a Cdp di titoli di Stato per il “Patrimonio Destinato”, 2,77 di versamento in entrata da Cdp e 350 milioni di riduzione del fondo per la disabilità”.
Una decisione, quest’ultima, che ha sollevato le polemiche dell’opposizione. Continua lo scontro anche sul fronte del contratto del pubblico impiego. Ieri, il ministro Paolo Zangrillo ha incontrato i sindacati annunciando un aumento medio in busta paga di 170 euro al mese. Una cifra che però Cgil e Uil ritengono del tutto insufficiente per coprire la perdita del potere di acquisto. Anche perchè per le qualifiche più basse, gli incrementi sarebbero di poche decine di euro.
Aumenta, invece, la cedolare secca sugli affitti brevi, quelli cioè destinati ai Bed & Breakfast: passerà dal 20 al 26%. Sul fronte della sanità, invece, la manovra dovrebbe prevedere lo stanziamento di 520 milioni di euro per ridurre le liste di attesa, ovvero lo 0,4% del Fondo sanitario nazionale indistinto. Queste risorse verranno destinate all’aumento del corrispettivo per i professionisti sanitari: fino a 100 euro lordi per i medici di tariffa oraria per prestazioni aggiuntive, 60 per gli infermieri.
“Un aumento sostanziale rispetto al passato per rendere maggiormente attrattivo il Ssn e per contribuire alla riduzione dei tempi d’attesa”, spiega il sottosegretario alla Salute Marcello Gemmato, a margine della presentazione dell’Alopecia Areata Day.
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