Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel
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La novità dell’ultimo momento è l’abbandono di Ursula von der Leyen. La presidente della Commissione europea è costretta a dare forfait al vertice dei capi di Stato e di governo della Ue a seguito della comunicazione di positività al Covid di un membro del suo staff. Una corsa verso l’isolamento volontario proprio mentre ha luogo il vertice dei Ventisette, dove il Coronavirus diventa, in maniera tanto improvvisa quanto inattesa, l’argomento di discussione numero uno nel giorno in cui l’Italia porta a Bruxelles la bozza di piano nazionale per la ripresa. Era fissato per il 15 ottobre il termine ultimo di presentazione delle linee guida nazionale per accedere ai fondi europei destinati al sostegno della ripresa. Il Recovery Fund si basa proprio sulle ricette dei governi. Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, accompagnato a Bruxelles dal ministro per gli Affari europei, Enzo Amendola, avrebbe dovuto discutere di questa strategia proprio con von der Leyen, a margine dei lavori del Consiglio europeo.
CONTE E AMENDOLA
«Al via il dialogo informale con Bruxelles sul Next Generation in base alle linee guida delgoverno e alle risoluzioni votate da Camera e Senato – dice Amendola – Ho incontrato Céline Gauer, capo della Task force della Commissione per la Ripresa e la Resilienza e vice segretario generale della Commissione europea. E domani vedrò Eric Von Breska, uno dei due direttori della task force, che segue anche l’Italia. Ci aspettano mesi intensi di lavoro da qui alla presentazione del Piano di rilancio nel 2021, ma il governo arriva a Bruxelles forte del mandato del Parlamento. È ora assolutamente necessario accelerare sul negoziato col Parlamento europeo in modo che possano partire al più presto le ratifiche nazionali sul Recovery Fund approvato dal Consiglio in luglio, perché non vi siano ritardi nella sua attuazione. Non sprecheremo questa occasione storica di rilancio del nostro Paese».
Conte rassicura: «Come Paese raffineremo le nostre strategie europee». Un atto dovuto, visto che gli occhi sono tutti puntati su Italia e Spagna, principali beneficiari dell’esperimento europeo senza precedenti di debito comune per uscire dalla crisi portata dal Covid. Spetterà a questo punto ai tecnici di ministero dell’Economia e direzione generale per gli Affari economici il confronto sulla strategia italiana. L’imprevisto dell’ultima ora scombina del resto i piani di tutti.
NEGOZIATO A RISCHIO
Anche perché senza fondo per la ripresa i piani nazionali servono a poco. Il rischio che il negoziato interistituzionale su bilancio di lungo termine (Mff 2021-2027) e strategia per la ripresa possa naufragare è reale. È il presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, a ricordarlo ai leader. «I vostri sforzi a luglio si sono concentrati comprensibilmente sul meccanismo per la ripresa e sulle dotazioni nazionali. Ma ridurre i programmi settennali con una chiara dimensione europea non è la strada giusta». Ecco che, ancora una volta, i dossier si intrecciano, e le scadenze nazionali fanno i conti con gli impegni politici europei. «I negoziati si sono arenati e sbloccarli è nelle vostre mani», l’avvertimento di Sassoli ai leader.
A loro si chiede di mettere 39 miliardi di euro di risorse fresche nel bilancio di lungo termine (1.074 miliardi). Una cosa che però ai Paesi cosiddetti frugali (Paesi Bassi, Austria, Svezia e Danimarca), poco inclini a investire nel funzionamento dell’Ue, non va giù. Per fare progressi è indispensabile aggiornare il mandato negoziale della presidenza tedesca. «Non si tratta di rimettere in discussione l’accordo di luglio, ma di fare un piccolo passo da parte vostra per andare verso l’approvazione finale del pacchetto». Niente accordo, niente bilancio e niente Recovery Fund. Tra la quarantena volontaria da Covid di von der Leyen e gli avvertimenti di Sassoli il vertice dei leader prende una piega del tutto diversa da quella preventivata. L’ordine del giorno non prevedeva si parlasse di Coronavirus e ricette politico-economiche che ne derivano. Ma del resto l’ordine del giorno prevede solo punti interlocutori privi di decisione.
CONFRONTO SU CLIMA E SOSTENIBILITÀ
Si parla di clima e sostenibilità. I capi di Stato e di governo degli Stati membri sembrano disposti a fare in modo di ridurre del 55% le emissioni di gas a effetto serra entro il 2030 rispetto ai valori del 1990. In principio tutti d’accordo, ma sul come si procede in ordine sparso. Modalità e meccanismi sono questioni rimandate al vertice di dicembre. C’è un gruppo di Paesi che si dichiarano “ambiziosi” che spinge per questo passo in avanti, senza “se” e senza “ma”. Ci si trovano Germania, Francia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Svezia, Irlanda, Portogallo, Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo. L’Italia si schiera con questo gruppo, di cui non condivide i toni. Si teme che la decisione con cui i partner ambiziosi portano avanti la loro battaglia di sostenibilità possa indispettire ‘gli amici del carbone’. I Paesi dell’Est, Romania e Polonia su tutti, sono quelli che avrebbe molto da perdere nella conversione verde. Il primo ministro ceco, Andrej Babis, lo dice chiaramente al suo arrivo nella capitale dell’Ue. «Ogni Paesi ha un suo mix energetico di cui va tenuto conto». Concetto ribadito in altro modo, e per altri interlocutori, dal primo ministro lussemburghese, Xavier Bettel. «Siamo uno dei paesi ambiziosi e siamo uno di quei pochi paesi che credono che qualsiasi cosa l’energia nucleare non sia sicura, non sia sostenibile e non debba essere finanziata dal denaro europeo». Ogni riferimento alla Francia e ai vicini del Belgio potrebbe non essere casuale. Parole che mostrano come anche tra i volenterosi divergenze non manchino.
Ne è un’ulteriore riprova il confronto a distanza (di qualche minuto) tra i capi di governi di Italia e Svezia. Giuseppe Conte sostiene che «dobbiamo ridurre le emissioni di CO2 fino al 55% entro il 2030», mentre Steven Lofven alza l’asticella ancora più su dicendo che bisogna «ridurre di almeno il 55%». Parole che sembrano nascondere l’intesa dietro l’angolo: obiettivo comunitario del -55%, nel rispetto dei differenti mix energetici nazionali. Vorrà dire che chi potrà fare anche meglio sarà libero di farlo, permettendo al blocco dell’est di avere più tempo per uscire dall’era del carbone. Ma su questo tutto rimandato al vertice di dicembre.
UNITÀ SULLA BREXIT
Uniti senza troppi distinguo i leader sembrano esserlo sulla Brexit. La linea di un accordo finché possibile ma «non a tutti i costi», è stata ribadita da tutti i leader giunti a Bruxelles. A usare forse i toni più minacciosi qui è il presidente francese, Emmanuel Macron. «Non siamo noi ad aver scelto la Brexit». Intanto però si chiede alla Commissione di preparare misure d’emergenza in caso di mancato accordo, scenario a questo punto da considerare. Si rinnova la fiducia al negoziatore capo, e si attendono altre due settimane per vedere se è possibile evitare lo strappo con Londra. Dopodiché i governi, oltre alle strategia di rilancio anti-Covid, dovranno lavorare alle strategie anti-Brexit.
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