Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte col ministro dell'Economia Roberto Gualtieri
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COME ci si poteva aspettare, la scelta di convocare gli Stati generali dell’Economia non ha lasciato indifferenti i partiti, specialmente quelli della coalizione di governo. L’opposizione oramai è spaccata, fra Salvini e Meloni che puntano al contrasto ostruzionistico al governo scommettendo che tanto prima o poi l’impalcatura frana, e Berlusconi che intravede invece un nuovo spazio per il suo partito offrendosi di impersonare l’opposizione responsabile in cambio di un po’ di cogestione degli aiuti europei. Se ci si passa il paragone, che ovviamente zoppica, fa un po’ quello che faceva il PCI della “non sfiducia”, quando sapeva che per ragioni di ordine internazionale non potevano accoglierlo nel governo.
Anche Berlusconi sa che un suo ingresso in maggioranza dalla porta principale implicherebbe un cambio di coalizione con probabile scioglimento della legislatura per la necessaria verifica nelle urne, e siccome oggi il passaggio è molto, ma molto difficile, sceglie la sua personale versione di una non sfiducia limitata, se il governo opererà per mettere a frutto le risorse europee in vista di una ripresa economica.
PENTOLA CHE RIBOLLE
Cosa hanno da temere i partiti dagli Stati Generali evocati dal premier con un colpo di teatro durante una conferenza stampa? Molto, se appena ci si riflette per un attimo. Innanzitutto espongono il governo al rischio di scoperchiare una pentola che ribolle, costringendolo ad impegnarsi in sostegni alle più diverse proposte senza che sia chiaro come potrà poi farvi fronte. La stessa decisione di farne un evento mediatico per cornici e per scelta degli invitati (si vocifera che si vogliano coinvolgere non solo star in genere, ma anche star dello spettacolo) comporta un dovere di “esposizione” che poi sarà difficile da governare: tutti vorranno recitare i loro monologhi e c’è un mondo di media e talk show che non aspetta altro che di rilanciarli nel modo più “combattivo” possibile (tanto è quella roba lì che fa audience). Quel che si è detto e registrato nelle varie sedi della comunicazione diventa poi pietre d’inciampo che come minimo complicano la vita futura della politica.
LA VERA QUESTIONE
C’è però una questione maggiore che non può sfuggire: gli stati generali sono di fatto un sistema di “disintermediazione” rispetto ai partiti. Di fatto viene offerta ad un’ampia platea di rappresentanti d’interessi (almeno così si promette, perché si arriva fino a non meglio identificate “menti brillanti”) una sede per parlare direttamente col governo, anzi per essere precisi col premier, a cui risale tanto l’idea quanto l’organizzazione della kermesse. Praticamente si diminuisce, se non proprio si annulla il tradizionale ruolo dei partiti come canali di raccolta e trasmissione delle istanze che provengono dalla società per farle arrivare al livello governativo.
LA CONCERTAZIONE
Si dirà che la “concertazione” esiste da tempo, ed è indubbiamente vero, ma si tratta di una cosa diversa. Intanto in genere era gestita a livello di ministeri e solo in una seconda fase arrivava al governo e poi non era più ampia di tanto. Anzi quando la si è allargata per far posto alla miriade di piccoli sindacati è sempre fallita, perché solo grandi agenzie con una rappresentatività se non universale, almeno ampia, sono in grado di tessere un consenso che non può diventare un sorta di “vaso della fortuna” in cui per tutti c’è qualcosa, almeno un cosiddetto premio di consolazione. I partiti stanno già sperimentando le difficoltà di tenere insieme i loro elettorati di riferimento in un contesto come quello attuale dove sono in discussione decreti che distribuiscono prebende con una certa leggerezza e con scarsa visione complessiva. Portare questo clima direttamente in un’arena aperta come si configura quella degli Stati Generali per i partiti è un rischio oggettivo. Non stupisce che la cosa non preoccupi i Cinque Stelle, che sono talmente allo stato gassoso che hanno perso qualsiasi capacità di intestarsi sintesi sociali: al massimo raccolgono qualche micro interesse, a volte legato a questioni di bandierina a volte no, che può benissimo trovare spazio nella kermesse di Villa Pamphili.
PIANO DI RINASCITA
Certo se Conte riuscisse a governare il grande raduno tirandone fuori una sia pure limitata convergenza dei convenuti attorno ad alcuni punti centrali e qualificanti del piano di rinascita (suo o del governo?) otterrebbe quella conferma nel ruolo di colonna della fase di impiego dei miliardi che arriveranno dall’Europa che lo porterebbe probabilmente al fatidico traguardo della elezione del successore di Mattarella, ovvero al punto in cui si pensa che si stabilizzeranno o si faranno definitivamente naufragare le ipotesi di rifondazione di una “terza repubblica”. Le incognite sul cammino non sono però solo quelle della riuscita o fallimento degli Stati Generali. Adesso arriva al dunque il decreto sulle elezioni d’autunno, che non è una questione minore, e poi si dovrà per forza di cose riprendere in mano il dossier della riforma del sistema elettorale. E sorvoliamo su quello che sanno tutti: MES, CSM, Autostrade, Ilva e via elencando. Di nuovo la questione del ruolo dei partiti, qualsiasi cosa designi oggi quella parola, tornerà in campo.
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