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Il ministro dell'Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara

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FIN dal cambio o integrazione dei titoli di alcuni Ministeri, il Governo Meloni ha scelto di mandare fin da subito messaggi precisi all’esterno, in forza di efficaci parole-chiave, con ogni probabilità ritenute idonee a testimoniare la volontà di cambiamento e di imboccare un nuovo corso rispetto al passato. Del resto sia nelle promesse elettorali che immediatamente dopo la vittoria dello schieramento Destra-Centro, la leader di Fratelli d’Italia aveva più volte evocato un cambio di passo rispetto alla politica del passato e la volontà di dar corpo a una nuova squadra di Governo competente e all’altezza, idonea ad affrontare i gravosi compiti che le si parano dinanzi nel panorama interno e internazionale.

Ora è apparso chiaro fin dalle prime battute della formazione del Governo, che i nomi che hanno cominciato a circolare e che poi si sono effettivamente tradotti in cariche ministeriali a vario livello erano in gran parte quelli dei soliti noti; anche la promessa della competenza è rimasta alla prova dei fatti largamente sulla carta. Valga per tutti il caso che giornali e media si sono divertiti a richiamare alla memoria della opinione pubblica di un attuale sottosegretario alla cultura che solo pochi anni fa aveva affermato di non aver letto un libro nei tre anni precedenti e che poi, nel corso di una trasmissione radiofonica, non era stato in grado di rispondere correttamente su quali fossero i confini della sua regione.

Ma tant’è; da tempo i cittadini si sono abituati a come la coerenza non sia ritenuta in politica una virtù e a come di fronte alle trattative fra partiti di Governo, più o meno ispirate al manuale Cencelli, non ci si possa stupire poi se anche la casella della cultura venga ricoperta facendo appello ad alchimie che non paiono immediatamente congrue a tale importante funzione e ruolo istituzionale ed effettivamente ispirate alla competenza.

Forse questa volta qualche ragione in più di “attonita meraviglia” rispetto a tempi passati, i cittadini erano giustificati ad averla proprio in diretta relazione a quanto fatto risaltare dal Governo in merito alla nuova titolazione di un Ministero-fratello (o se si vuole cugino stretto) del Ministero della Cultura: l’antico Ministero dell’Istruzione ora assurto alla nuova titolazione di “Ministero dell’Istruzione e del Merito”.

A ciascuno di noi, come cittadini, il compito di scorrere la lista di Ministri, Sottosegretari ecc… e vedere chi passi al vaglio della cartina di tornasole del “merito”. Ma si tratta di un semplice gioco da parte dei semplici cittadini, dato che sicuramente insorgerebbero schiere di politici e politicanti pronti a spergiurare che la politica è ben altro che la competenza…Lasciando del tutto in disparte tali considerazioni, qualche piccola e più mirata riflessione vale la pena proporre proprio a partire dalla nuova titolazione di cui sopra: “Ministero dell’Istruzione e del Merito”.

Se la nuova coniugazione istruzione-merito nel titolo appena richiamato, un merito ha effettivamente avuto (mi si scusi il bisticcio di parole) è stata quella di innescare a tutto campo un intensissimo dibattito, da parte di politici, intellettuali, media vecchi e nuovi, a proposito non solo della opportunità o meno di far risaltare i due termini di cui sopra che sembrano suonare come una sorta di sfida rispetto al passato, ma di portare alla ribalta un dibattito più ampio sulle carenze del nostro sistema scolastico e sulle finalità che esso sarebbe chiamato a perseguire.

Lo scenario, delineato dai più attenti interventi in proposito, è quello di una istruzione che dovrebbe perseguire (il condizionale è d’obbligo) non solo obiettivi di efficienza e di premio dei migliori, ma anche più in generale di formazione dei cittadini. Il tutto non nascondendosi dietro un filo d’erba e fingendo di dimenticare che i giovani studenti, tanto più in riferimento all’istruzione primaria, fin dal momento dell’ingresso a scuola, non godono delle stesse condizioni di partenza e che la disuguaglianza economica e sociale delle famiglie e degli ambienti da cui provengono è un pesante fardello con il quale una società democratica deve fare i conti quando porta alla ribalta il tema della premialità del “merito” degli individui.

Inoltre si affaccia chiaramente anche il problema della formazione del corpo docente e dei criteri di valutazione degli stessi insegnanti ai fini di incentivarne il merito, appunto. Al di là delle frequenti tentazioni accusatorie di alcuni politici e intellettuali, tendenti a schierarsi anche sul complesso tema del merito, su versanti opposti in un non meglio definito match Destra vs Sinistra e declinazioni varie in proposito, dal dibattito in tal senso emergono anche valide argomentazioni sulle facili trappole della retorica del merito, il quale ultimo, nelle sue componenti più serie, non può essere pregiudizialmente ascrivibile all’una o all’altra parte politica.

Chi è infatti che non vorrebbe una società in cui i migliori venissero premiati, assumendo ruoli di responsabilità, dove i capaci potessero avere reali occasioni di crescita personale e dare quindi il loro contributo alla collettività? C‘è da chiedersi se il cambio di nome del dicastero della scuola sia qualcosa che aiuti davvero e prendere di petto il nodo del merito nella sua complessità o invece si presenti più come facile slogan da parte dello schieramento che ha vinto le elezioni e che vuol dare a tutti i costi un segnale del nuovo che avanza che vuol presentarsi come tale, anche a patto di qualche scivolone.

In tale prospettiva non serve fare i conti né rispetto al passato di casa nostra (da quando il suddetto Ministero per esempio aveva il titolo di “Ministero della pubblica istruzione” e a seguire), né con la precisa realtà di altri Paesi in Europa e nel mondo, in cui il merito non compare affatto nella titolazione di Ministeri della istruzione, della educazione, della formazione ecc., pur avendo molti di questi Paesi sistemi scolastici molto più avanzati del nostro.

E allora? Forse un confronto con il panorama internazionale sarebbe stato utile a chi ha proposto e attuato tale cambio di titolazione, poi salutata con orgoglioso plauso dal nuovo Ministro della Istruzione e del Merito. Negli altri Paesi europei le titolazioni dei vari Ministeri dell’istruzione possono abbinare a quest’ultima di volta in volta concetti quali l’educazione, la formazione, la ricerca, la tecnologia, la cultura: da nessuna parte si porta alla ribalta il merito.

Del resto negli USA siamo di fronte allo “United States Department of Education” e chi si divertisse a verificare in altri Stati del mondo si imbatterebbe in risultati simili. Immaginando uno scenario in cui il titolare del nostro Ministero, Giuseppe Valditara, si ritrovasse a confrontarsi con altri Ministri europei e di altri Paesi al di fuori del nostro continente, penso che non sarebbe affatto semplice per lui spiegare ragionevolmente la scelta della nuova denominazione italiana rispetto a tutto il resto del mondo…

Provincialismo? Messaggio del tutto ideologico sul piano interno? Chi sa; sono ragioni queste alle quali egli non potrebbe nemmeno lontanamente accennare.


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