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DECIDERE? Non è roba da governo Conte. Questo è quel che si potrebbe scrivere, con un po’ di ironia, di fronte a varie vicende di cui siamo spettatori in questi giorni. Prendete la questione della concessione ad Autostrade: la stiracchiamo da mesi, ma nell’impossibilità di dispiacere ai grillini si rinvia. Questione nuove assunzioni di docenti a scuola: non puoi fare un dispetto ai sindacati, ma neppure ai membri della maggioranza che non ci stanno all’ennesima sanatoria (mascherata con la solita storia delle “valutazioni per titoli”), per cui si trova una soluzione tampone poi si vedrà (i tamponi col Covid vanno di moda).

L’OBBLIGO

Del resto è un po’ tutto così nel giorno in cui si avvia l’iter della conversione in legge del decreto Rilancio. Dove non c’è obbligo di decidere è una pacchia. Prendete la questione dello scandalo emerso a seguito della pubblicazione delle intercettazioni del pm Palamara.

Adesso si scopre che non contemplano reati penalmente rilevanti, come se la deontologia professionale fosse una robetta senza significato, giusto perché non la si può costringere in qualche articolo di un qualche Codice. A fronte di una situazione che mette a nudo un modo piuttosto preoccupante non solo di gestire il governo delle carriere dei magistrati, ma di intendere i compiti e i ruoli della magistratura, il massimo che si riesce a fare è affidare ad un ministro non esattamente al culmine della credibilità l’ennesimo annuncio che si riformeranno le regole per l’elezione dei membri del CSM. Possibile che al governo nessuno si renda conto che in questo delicato passaggio dar prova di capacità decisionale è essenziale se vogliamo non solo conservare la fiducia dei cittadini, ma ottenere l’ascolto necessario per vedere accettate le nostre richieste di fondi europei di sostegno?

Un deputato della CDU, che pure si è molto battuto perché il suo governo aiutasse l’Italia, ha detto in una intervista alla corrispondente Rai da Berlino Barbara Gruden che appoggiava convintamente l’assegnazione di contributi all’Italia anche a fondo perduto, purché andassero a chi aveva veramente avuto perdite e danni per la pandemia e non servissero a salvare aziende decotte (avrà avuto in mente Alitalia?) o ai partiti per distribuire mance elettorali. E’ un bell’esempio di un sentire niente affatto ostile, ma che non può evitare di considerare i problemi che esistono.

UN’ALTRA FIGURACCIA

Parlare di fronte a queste cose di condizionalità inaccettabili ci fa fare una figuraccia, perché un governo serio dovrebbe dire che quelle sono condizioni a cui ci atterremmo da soli, anche se nessuno ce le ponesse. Purtroppo non stiamo operando in questo modo, anzi lasciamo che cresca l’immagine di un paese dove è all’opera una frana preoccupante: non sappiamo come fare a disboscare una giungla di leggi e regolamenti che hanno reso la burocrazia non uno strumento al servizio del sistema, ma una palla legata i suoi piedi; non siamo in grado di fronte ad una preoccupante crisi della funzione giudiziaria incardinando immediatamente nel dibattito parlamentare un disegno di legge che riformi la formazione del CSM.

Non parliamo di una più impegnativa riforma di sistema. Sono giusto 35 anni che finì nel nulla la prima bicamerale sulle riforme costituzionali, la mitica commissione Bozzi, e non siamo riusciti a concludere nulla in quel settore (e qualche domanda andrebbe pur fatta ai Soloni che si batterono per affossare la riforma Renzi con lo spocchioso argomento che poi loro in pochi mesi ne avrebbero varata una molto migliore). La capacità del governo di tenere saldamente in mano il timone non si dimostra con una sequela di DPCM su come gestire l’immediatezza di una pandemia (e anche qui stendiamo un velo pietoso sul va e vieni di ogni decisione appena si solleva la reazione di un qualunque contropotere, a cominciare da quello dei governi regionali).

Oggi inizia un passaggio decisivo per la tenuta vera del governo Conte, che non è la sua permanenza al potere per mancanza di alternative (che suppone l’inevitabile aggiunta di un “ahimé!”), ma la sua capacità di mostrarsi in grado di tenere sotto controllo l’andamento dell’economia. L’operazione inizierà con la revisione, inevitabile, che il parlamento farà del decreto Rilancio. Un intervento monstre, in cui si è infilato di tutto e di più e ciò nonostante un bel po’ di cose sono rimaste fuori, è un bersaglio facile per tutte le forze, gli interessi e le lobby presenti in questo paese. Soprattutto perché, come hanno scritto in molti (noi inclusi), sembra l’ultima scialuppa di salvataggio su cui saltare prima che in autunno o in inverno qualcuno sia costretto ad avviare un intervento pesante per tamponare almeno le principali falle.

SOLDI SOTTO L’ALBERO

Ad un intervento della UE-Babbo Natale che ci lasci sotto l’albero, magari con un po’ di anticipo sul calendario, un bel sacco di soldi con cui cavarci i cattivi pensieri su come scriveremo la legge di Bilancio per il 2021 credono in pochi. Aiuti ne arriveranno, ma inevitabilmente con la richiesta di garanzie che siano impegnati per rimettere in sesto quel “sistema” che allegramente abbiamo lasciato degradare e le cui corrosioni non siamo più neppure in grado di mascherare. I partiti possono continuare con il piccolo cabotaggio delle polemiche e delle sceneggiate. Alcuni credono che questo servirà per aumentare la rabbia popolare che li porterà al potere. Altri pensano che così si consoliderà la loro presa su un’opinione pubblica che chiede di tornare ai sogni del pre-pandemia. In realtà tutti aggravano la loro cecità e non riescono ad avviare almeno un progetto sul nostro futuro.


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Alessandro Chiappetta

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