La Camera dei Deputati
4 minuti per la letturaPOICHÉ siamo ancora nell’incertezza sull’evoluzione dell’epidemia, c’è occasione per riaprire il fronte delle competizioni politiche. Si cerca di mantenerle un po’ sotto tono e di lasciarle nelle mani di chi ha ruoli istituzionali in modo che odorino meno di scontro fra opposte fazioni, ma che alle spalle ci sia anche questo è piuttosto probabile. La contrapposizione maggiore è tra governatori, sindaci e governo. Tutti sono sotto pressione per i giudizi che provengono dalla pubblica opinione e di cui sono per forza di cose l’obiettivo principale. Si rincorrono periodicamente gli inviti a non fare polemiche, ma è routine: quando sono registrate delle disfunzioni, si cerca inevitabilmente il responsabile e ciascuno tenta di scaricare la colpa su qualcun altro. Sono piccoli scontri che lasciano il tempo che trovano, quando sarebbe meglio lavorare davvero insieme per aggiustare le falle di sistema che di volta in volta vengono individuate. È chiaro che la gente si irrita quando assiste a scenette che hanno del surreale, tipo quella sulle mascherine: un esperto dice che andrebbero indossate anche in casa, le si vuol rendere obbligatorie nei supermercati, il commissario Arcuri sciorina che ne stiamo producendo milioni, e poi il povero ascoltatore verifica che nelle farmacie normali non si trovano, in qualche esercizio si vendono rari esemplari a prezzi esorbitanti (esperienza di chi scrive a Bologna, non in uno sperduto villaggio sugli Appennini).
In questo clima cresce la domanda di dare una raddrizzata al sistema generale di gestione dell’emergenza. Sul governissimo non si ragiona più, avendo constatato che il partito coi numeri più alti in parlamento, M5S, non ne vuol sentir parlare e nella sua opposizione troverebbe subito l’alleanza quanto meno di FdI. Adesso l’alternativa sembrerebbe essere la “cabina di regia”, mentre qualcuno azzarda anche una ipotesi di “rimpasto”.
L’iniziativa per la cabina di regia è del PD ed è una proposta di buon senso. Apparentemente dovrebbe essere una cosa facile da realizzare: si mettono insieme premier e ministri coinvolti, governatori di regione, un po’ di esperti e si concentrano in questa sede tutte le decisioni e possibilmente anche le comunicazioni. Facile a dirsi, difficilissimo a farsi. Prima di tutto per i numeri: già regioni più governo fanno almeno una ventina di persone, figuriamoci aggiungerci qualche tecnico. Omogeneità fra i soggetti: molto bassa. Quando un governatore come Emiliano pensa che sia autorizzato ad impedire il commercio fra la sua regione e un’altra regione del nostro paese viene da chiedersi se non altro chi gli ha dato la laurea in giurisprudenza visto che prima faceva il pubblico ministero. Ma è solo un caso estremo.
È inutile girarci intorno: la competizione politica è solo sospesa (relativamente) e tutti sanno che prima o poi riprenderà, perché le elezioni regionali e amministrative già previste sono state posposte, ma prima o poi si faranno. In più c’è di mezzo la partita dei negoziati in sede UE. Soldi ne arriveranno, non si sa ancora quanti e con che modalità, ma è ovvio che in una situazione di crisi economica saranno comunque risorse preziose. Chi deterrà le chiavi della loro distribuzione conta di godere di un vantaggio intuibile, ma chi non potrà controllarle si gioverà della possibilità di innescare ogni tipo di malcontento per una distribuzione che inevitabilmente non potrà essere al di sopra di ogni sospetto (in questo paese sappiamo benissimo che, per ataviche propensioni, nulla lo è: a pensar male si fa peccato, ma non si sbaglia …).
Più i gruppi dirigenti di un partito sono in difficoltà e più si capisce che si butteranno a sfruttare queste circostanze, ovviamente a seconda della loro collocazione. E qui parliamo di M5S e di Lega. I Cinque Stelle sono percepiti in arroccamento sulle vecchie posizioni barricadiere, dal mantra del reddito universale all’opposizione al MES in sede europea, passando per altre tentazioni minori (secondo alcuni anche quella di bloccare la TAV con la scusa del Covid-19). Sono segnali inquietanti, perché hanno ancora una capacità di condizionamento più che notevole e possono far molti danni. Le loro posizioni rendono complicato sia l’intervento di pianificazione delle risorse economiche da destinare al tamponamento della crisi sia il negoziato a Bruxelles, dove, tanto per dire, l’illusione dell’asse franco-italiano è già svanita.
Anche la Lega ha problemi di leadership. Salvini non è più quella divinità acchiappa voti che si era voluta rappresentare: non solo è reduce dalla sconfitta bruciante nella sfida regionale in Emilia Romagna (dimenticata dai media, ma presente ai gruppi dirigenti del suo partito), ma è appannato dal favore che gode il governatore Zaia che può presentarsi come uno di quelli che meglio hanno gestito l’emergenza.
In questo contesto l’ipotesi di rammendare le difficoltà governative con un rimpasto non ci pare molto credibile. Il problema è che un’operazione di questo genere comporterebbe inevitabilmente un giudizio negativo sui ministri che venissero messi da parte. Aggiungiamoci che in realtà quelli più a rischio di sostituzione sarebbero tutti dei Cinque Stelle, perché non si potrebbero certo sostituire il ministro LeU (Speranza fra il resto è molto apprezzato), né i due di IV, e nel PD di ministri con performance chiaramente insufficienti non ce ne sono. Ora chiunque può capire che toccare le inefficienze pentastellate significa, in questa situazione, semplicemente far cadere il governo.
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