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Di Maio tra i banchi vuoti del governo

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Capirci qualcosa è un’impresa: lo scenario sembra cambiare in continuazione e i più diversi personaggi si agitano a spargere informazioni e contro informazioni: interessate le une e le altre. Ieri, giornata in cui non sembra ci siano stati incontri al vertice, l’ipotesi che si procedesse sulla via di un accordo di governo PD-M5S era data per probabile da alcuni, per molto incerta da altri. Noi cerchiamo di analizzare stando ai fatti.

Il primo è che in questa crisi non ci sono “condottieri” che si muovono con chiarezza, ma una molteplicità di capi-manipolo che agiscono in formazione da guerriglia con la tolleranza, a volte costretta a volte interessata, di quelli che occupano le tre posizioni di vertice: Zingaretti, Di Maio e Salvini.

ANALISI NON CONDIVISA

Il problema centrale è che non esiste una analisi condivisa della situazione attuale. Da una parte ci sono quelli che la vedono seriamente pregiudicata dalle ombre di una crisi internazionale incombente e dello scatenarsi di competizioni politiche fra i vari stati, dentro e fuori dell’Europa. Sembra sia un’analisi fatta anche da autorevoli personalità che stanno fuori del circuito dei gruppi dirigenti dei partiti politici.

Sul versante opposto stanno molti personaggi della politica-politicante, uomini e donne che sono figli di questi anni di corride nei talk show e di rincorse a costruirsi follower sui social. Questi vedono con preoccupazione qualsiasi esito della crisi che possa segnare un svolta rispetto a quel modo di fare politica che ha fatto la loro fortuna. Per costoro la situazione attuale è più o meno quella di sempre: un caos persino ben ordinato in cui si può, a proprio vantaggio, fare tutto e il contrario di tutto senza porsi particolari problemi. La mancanza di convergenze sulla lettura della nostra contingenza fa sì che il gioco politico, che è sempre più un gioco d’azzardo, si stia conducendo senza disporre della possibilità di appellarsi ad un comune sentire sulla cosa pubblica, in nome del quale sia possibile lasciarsi alle spalle i frusti ideologismi con cui si è convissuti sino ad oggi per esplorare l’avvio di imprese condivise per gestire i problemi che ci troviamo di fronte.

Se si parte da questa premessa si capisce bene come l’attuale partita fra le forze politiche sia condotta mescolando scenari pseudo-ideologici con questioni molto banali e concrete di sistemazione di posizioni personali dei vari protagonisti di prima, seconda e terza fila. Se esaminiamo con una certa freddezza tanto i cinque punti posti da Zingaretti, quanto i dieci avanzati da Di Maio, quanto quelli innumerevoli che Salvini lancia nelle sue varie intemerate, vedremo che sono o impostazioni molto generali su cui è difficile non concordare (chi non vuole salvare l’ambiente, o spazzar via i corrotti? Giustamente anche Salvini dice di consentire) o sogni da ritorno al paradiso perduto (niente immigrazioni e aiutiamoli a casa loro; pochissime tasse per tutti).

NESSUNA PROPOSTA CONCRETA

Qualcuno avrà osservato banalmente che nessuno mette sul tavolo proposte concrete per esempio per comporre la prossima legge di bilancio in modo che non crei deficit che si ritorce contro di noi, ma che al tempo stesso possa preservare impegni a sostegno di un poco almeno di sviluppo. Si dovrebbero fare scelte che inevitabilmente causerebbero scontenti, cosa che i politici si guardano bene dal fare quando permane la possibilità che arrivino elezioni a breve. Delle questioni che riguardano la sistemazione delle posizioni personali non si parla, perché lo slogan è che sarebbe “poltronificio”, paroletta che, come il precedente “inciucio”, serve a tutti per lanciare, novelli apprendisti stregoni, il vade retro satana contro i propri avversari.

In realtà sono passaggi essenziali, perché le politiche camminano sulle gambe degli uomini, e ci sono quelli che hanno le capacità per correre e quelli che non riescono a fare neppure piccoli passi. E questo è tanto più vero se si condivide che ci aspettano tempi complicati, in cui non è possibile prevedere tutto, ma bisogna sapere reagire con prontezza ai cambiamenti della situazione.

IL PD SEMBRA AFONO

Dunque la questione della scelta del nuovo premier e della sua squadra è una faccenda essenziale: sia per l’efficacia dell’azione dell’esecutivo che si va a formare, sia per la sua tenuta nel tempo, entrambi requisiti a cui non si può rinunziare. Invece l’impressione è che questo sia considerato vuoi come una merce di scambio senza importanza, vuoi come elemento per bullizzare il compagno di strada giusto per far vedere quanto si è determinanti.

Il primo comportamento è quello di Salvini che considera la posizione del presidente del Consiglio come un’offa da usare per rimettere in sesto la sua egemonia, tanto evidentemente per lui chi la ricopre non pesa più di tanto.

Il secondo è quello di Di Maio che è preoccupato unicamente di apparire come colui che sa mettere in riga i competitori perché ha al momento un terzo dei parlamentari (e di conseguenza un personaggio a cui bisogna fare molto spazio). Purtroppo su questo punto il PD sembra afono: non rivendica per sé, per evitare le accuse di poltronismo, ma non ha neppure il coraggio di dire che il vecchio “uno vale uno” Grillo e i suoi lo vadano a dire nei comizi perché è fasullo e serve solo per “elevare” poi strumentalmente questo o quello.

Andrebbe detto chiaro che il paese, proprio per avere un governo “di legislatura” (cioè il tempo che ci vuole per combinare qualcosa di sensato), ha bisogno di poter contare su un governo davvero all’altezza dei tempi che viviamo e che andremo a vivere.


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