Mattarella e Conte
4 minuti per la letturaSe la parlamentarizzazione della crisi avesse dovuto servire davvero per fornire al presidente Mattarella qualche elemento chiaro per coordinarne una risoluzione, si potrebbe parlare di un obiettivo al massimo sfiorato. Infatti il dibattito in Senato è servito più che altro a “teatralizzare” la fine del governo Conte, con i vari attori (il termine in questo caso è pertinente nel suo significato corrente) che si sono esibiti ciascuno nel proprio repertorio.
GLI OBIETTIVI DI CONTE
Certo qualche messaggio in bottiglia è stato inviato e il Quirinale ne potrà tenere conto, anche se non si tratta di elementi che consentano di fare grande chiarezza. Conte ha fatto un discorso ampio e ben strutturato con tre obiettivi. Il primo era smarcarsi definitivamente da Salvini, anzi assumere decisamente il ruolo di chi contrasta il demagogo individuato come elemento “preoccupante”.
Le sue dure prese di distanza hanno semplicemente ripreso le critiche che gran parte dei media muovevano al leader della Lega: autoritarismo, appello alla piazza, mancanza di senso delle istituzioni, uso improprio di simbologie religiose, e via elencando. Poiché si rendeva conto che qualcuno avrebbe potuto rimproverargli il suo silenzio di fronte a quelle anomalie (come ha poi fatto Renzi nel suo intervento) si è difeso preventivamente sostenendo di avere sempre rimproverato privatamente a Salvini quei comportamenti.
Il secondo obiettivo era mantenere nell’ambiguità il suo rapporto con i M5S che ha chiamato “amici” e a cui, pro forma, ha rimproverato solo la loro uscita dall’Aula durante le sue comunicazioni sul caso Russia: evidentemente non voleva essere identificato come il loro capo, pur mantenendo quella sponda come per lui decisiva. Il terzo obiettivo, colto subito da molti osservatori, era legittimarsi come possibile candidato alla successione di se stesso: lo ha fatto sia sottolineando i risultati raggiunti dal governo sotto la sua guida, sia esponendo una specie di programma da passare al futuro governo. Salvini ha fatto Salvini: un discorso giocato su una cifra linguistica molto popolare (da bar Sport si sarebbe detto una volta), in contrasto con l’eloquio forbito del premier.
Al tempo stesso un discorso di soli slogan diretti alla pancia del paese e ricco di provocazioni in cui sono immediatamente caduti i rumorosi senatori dem (ma qualcuno potrebbe anche insegnare un po’ di buone regole a questo personale che scambia le aule parlamentari per uno stadio).
COMPARSE E PRIME DONNE
Renzi si è prontamente inserito nella rappresentazione mostrando le sue doti di attore di qualità, capace anche lui di un linguaggio populista, sia pure più raffinato, ma senza in sostanza proporre argomenti che non fossero quelli che erano già ampiamente circolati nei media. Se così è stato per le prime donne (che in questo caso erano uomini) non poteva essere diversamente per i personaggi minori che hanno puntualmente ripetuto, chi con più verve chi con meno presenza scenica, le varie retoriche di parte. Cosa potrà trarre Mattarella da questa rappresentazione?
Diciamo subito che il Presidente ha molti altri canali per conoscere lo stato reale della situazione e che interrogherà i partiti nelle consultazioni a partire da quelle conoscenze più che dai verbali di quanto è accaduto nell’Aula del Senato. Tuttavia qualche elemento è pure emerso e ha il peso di ciò che è stato proclamato in una sede istituzionale. Il combinarsi del discorso di Conte e di alcuni interventi di autorevoli esponenti Cinque Stelle in altre sedi mette in chiaro che quel 33% circa della rappresentanza parlamentare punta a restare al governo procedendo con la vita della legislatura e sceglie come candidato difficilmente negoziabile l’attuale premier, perché non ha altri cavalli su cui scommettere.
SALVINI E IL PD
Per converso Salvini punta a prepararsi il terreno per una scadenza elettorale che prevede arriverà certamente, anche se probabilmente non nei tempi che si aspettava. Di conseguenza si è rassegnato a uscire dal governo per un giro, ma rimane convinto che l’appello demagogico alle paure popolari lo riporterà in auge non appena si potrà tornare alle urne. L’incognita rimane la posizione che potrà prendere il PD.
Una coalizione con M5S è problematica, non tanto per ragioni ideologiche, ma per la difficoltà di capire cosa vogliano realmente i Cinque Stelle: sono disponibili solo a un governo in cui sia evidente la loro forza contrattuale in termini di uomini e di leggi-bandierina, o sono così timorosi di dover affrontare elezioni anticipate da accettare un approccio realistico alla formazione di un governo che, politico o istituzionale che sia, deve essere innanzitutto un governo di garanzia e di buon senso rispetto ai problemi che il paese ha davanti?
A prescindere da quel che è stato detto in Senato, crediamo sarà a partire da questi temi che Mattarella condurrà le consultazioni che debbono fornirgli la risposta al dilemma se e come continuare con questa legislatura o se rassegnarsi allo scioglimento anticipato delle Camere.
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