Papa Francesco
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DIRE gelo è niente: forse non sarà ancora il punto di non ritorno, come pure alcuni paventano nelle Secrete stanze, ma di sicuro tra Papa Francesco e la Chiesa degli Stati Uniti è il grado zero dei rapporti dall’inizio del pontificato. Dopo la rimozione d’imperio, un mese fa, del vescovo Joseph Strickland dalla diocesi texana di Tyler, Bergoglio alza il tiro contro i conservatori d’Oltreoceano e punta a uno cardinali più in vista degli States: l’ultra tradizionalista, pro life e no vax Raymond Leo Burke. La sua avversione dichiarata al pontefice gli procurerà a breve «provvedimenti di natura economica e pene canoniche». Tradotto: via l’appartamento a Roma, via la pensione. A questa decisione assai drastica e senza precedenti nella Chiesa (che un po’ richiama quella nei confronti di monsignor Georg Gaenswein, segretario personale di papa Ratzinger ed ex Prefetto della Casa pontificia, rispedito nella sua diocesi in Germania di Friburgo senza mansioni e senza stipendio) si è giunti dopo una serie di consultazioni tra il Papa e i responsabili di vari Dicasteri pontifici.
IL RISCHIO BOOMERANG PER IL PAPA
Nessuna decisione è ancora operativa, seppur ormai imminente come dimostrano le anticipazioni ad arte di “La Bussola Quotidiana”, sito vicinissimo al porporato in disgrazia. I suoi accoliti volevano lanciare il sasso per primi e così è stato, anche per creare subito un movimento d’opinione intorno a Burke. Certo, per il 75enne cardinale rinunciare a un’abitazione di oltre quattrocento metri quadri e a circa cinquemila euro al mese è un danno considerevole, anche se potrà sempre riparare nel maestoso Santuario di nostra Signora di Guadalupe, patrona di tutti gli Stati Uniti, da lui fondato circa un decennio fa nel Wisconsin. Non c’è dubbio, in ogni caso, che da parte di Francesco si tratti di una offensiva in piena regola contro quella fronda conservatrice della Chiesa statunitense accusata dal Papa di «trasporre la dottrina in ideologia» e, ancora, di «indietrismo» rispetto alle innovazioni di Roma. E il messaggio è inequivocabile: il “caso Burke” , proprio perchè clamoroso, deve servire di monito a tutti gli oltranzisti conservatori coast to coast.
Più difficile è valutare se l’iniziativa dirompente di Papa Bergoglio non contenga però in sé anche il suo effetto boomerang, vale a dire compattare ulteriormente la galassia della Chiesa conservatrice americana che taglia come una faglia la geografia degli schieramenti da Nord a Sud degli States. Negli Stati Uniti, infatti, la Chiesa appare quanto mai polarizzata tra area liberal e ala tradizionalista. A suo modo, Raymond Burke mostra di essere capofila di una filiera di oltranzisti molto attivi e disseminati ovunque. Il suo carisma e la sua popolarità, per quanto appannati dall’età, sono ancora molto forti e tali da poter animare un’ennesima crociata anti Bergoglio, soprattutto sfruttando gli effetti mediatici di questo fragoroso altolà di Francesco.
LE INCONCILIABILI DIVERGENZE DOTTRINALI TRA IL PAPA E PARTE DELLA CHIESA IN USA
L’intera traiettoria dei rapporti tra Francesco e Burke segue d’altra parte una traiettoria costantemente discendente e sempre a un passo dalla rottura. Appena nove mesi dopo la sua elezione al soglio, nel dicembre 2013 il Papa lo rimuove da membro della Congregazione dei vescovi preferendogli il cardinale Donald Wuerl. Sua eminenza non troppo gradisce e per converso comincia a frequentare Steve Bannon, l’ideologo di Donald Trump, acceso pro life, di cui diviene in breve un estimatore. Da fervente no vax, il cardinale dovette poi attirarsi le ironie di Francesco quando osservò che «anche nel collegio cardinalizio ci sono alcuni negazionisti e uno di questi, poveretto, è ricoverato con il virus».
Ma il punto chiave riguarda ovviamente la sfera dottrinale. Il cardinale americano ha sempre rimproverato a Papa Francesco di allontanarsi dai cardini dottrinari della Chiesa. Fu Burke il capofila, insieme a quattro cardinali conservatori (Brandmueller, Sandoval, Sarah e Zen), a stilare i Dubia, i quesiti a Bergoglio sull’esortazione apostolica del Papa, Amoris laetitia, per le parti in cui si prospettavano aperture verso la comunione ai divorziati risposati. Francesco rispose ai Dubia appena qualche giorno prima del Sinodo dei vescovi in Vaticano con un accorto mix di possibilismo e intransigenza, proprio per rassicurare i conservatori. Una mossa molto scaltra per disinnescare tensioni, ma a Burke non bastò. In un convegno promosso a Roma da “La Bussola Quotidiana” proprio il giorno prima dell’assise vescovile, il cardinale additò la «Babele sinodale» accusando anche di «errori filosofici, canonici e teologici» la conduzione del pontificato e il nuovo Prefetto della Dottrina della fede, il riformista e fedelissimo di Bergoglio Victor “Tucho” Fernandez.
Il quale al Dubium postogli da Burke sulle coppie omosessuali rispose in termini del tutto innovativi, invitando a «discernere» caso per caso. Di qui le accuse sempre più roventi mosse al pontificato di Francesco, che addirittura avrebbe detto apertamente del cardinale Usa ribelle che «lui mi è nemico». Anche in questo caso non si tratta solo del piano personale: gli attacchi frontali di Burke colpiscono infatti quel Depositum fidei, deposito di fede, patrimonio dottrinario inviolabile di cui il Papa è custode e garante. E in questo senso le insubordinazioni di Burke appaiono ledere quella parte del Diritto canonico in cui si afferma che è fatto «obbligo al cardinale di cooperare con il pontefice romano». Rimosso il “piatto cardinalizio” dei privilegi, non resterebbe che la rinuncia al cardinalato, ma sarebbe una misura assolutamente inedita in tutta la galleria dei pontefici contemporanei.
Dove porta, allora, questa nuova levata di scudi contro i conservatori americani intrapresa da Francesco? È solo l’anticamera per ulteriori offensive o aprirà spiragli di un dialogo finora mai sperimentato con quella parte della Chiesa Usa restia a tutte le innovazioni di Papa Bergoglio?
DEFICIT DI COMUNICAZIONE
L’idiosincrasia e l’insofferenza mostrate da questo Papa verso le chiusure dottrinali e pastorali del clero statunitense non bastano a celare, in realtà, un deficit storico di comprensione e comunicazione reciproca. Anche i numeri, d’altronde, assai poco sono dalla parte del Papa di Roma: alcuni sondaggi molto accreditati danno infatti in ascesa la galassia tradizionalista americana, con l’aggravante che sono proprio i più giovani rappresentanti del clero a dichiararsi conservatori. L’attaccamento ai principi dottrinali rigidi e immutabili appare in qualche modo la risposta più rassicurante agli abissi di solitudini e contraddizioni stridenti della società americana. Che a Roma dovrebbero essere maggiormente approfonditi e compresi. Ci sono risposte ineludibili che devono essere date. Diversamente, Oltreoceano il riformismo della Chiesa di Papa Francesco continuerà a navigare a vele ammainate.
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