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IL 2022 è stato un anno nero per l’agricoltura messa in ginocchio da siccità e guerra. E’ quanto emerge dal report dell’Istat che ha segnalato però, ancora una volta, come un motore del settore che non ha perso colpi neppure nel periodo più critico siano state le attività connesse. Un ombrello largo che raccoglie una vasta gamma di attività cosiddette “multifunzionali” che anche lo scorso anno hanno proseguito la crescita (+8,6%), dopo il trend brillante del 2021 quando avevano rappresentato il fattore principale di avvio della ripresa post-pandemica. Le attività multifunzionali (agriturismo, produzione di energie rinnovabili, trasformazione dei prodotti agricoli, vendita diretta e attività a tutela delle risorse naturali e paesaggistiche, servizi sociali ecc), componente fondamentale dell’economia agricola, insieme a quelle dei servizi di supporto, esprimono, secondo l’Istat, un valore in costante crescita negli ultimi anni (13,8 miliardi nel 2022, +1,5 miliardi rispetto al 2021).
Di fronte agli scenari tendenziali degli ultimi anni (con le avversità climatiche e l’esplosione dei costi degli input) la diversificazione – si legge nel documento dell’Istituto di Statistica – rappresenta uno strumento essenziale per compensare le perdite subìte dal valore della produzione agricola. E se trasformazione, agriturismo e vendita diretta, costituiscono le principali leve dello sviluppo, si affermano però anche altre attività a partire da quelle sociali. Tanto più importanti oggi per un Paese che vede crescere drammaticamente il numero delle persone fragili. A partire dai poveri. Con l’inflazione alimentare più alta da quasi 40 anni sono saliti a oltre 3 milioni i cittadini che hanno chiesto aiuto per mangiare: lo ha scritto la Coldiretti nello studio “Poveri, il lato nascosto dell’Italia” presentato in occasione del mercato contadino di Campagna Amica a San Pietro dedicato alla solidarietà nell’ambito del “World Meeting of Human Fraternity”, ispirato all’Enciclica Fratelli tutti di Papa Francesco. E la povertà viaggia in tandem con il disagio sociale.
L’agricoltura sociale è dunque una svolta per il settore che è diventato così anche protagonista di un nuovo modello di welfare con progetti imprenditoriali dedicati ai soggetti più deboli. Un’attività che proprio per la delicata funzione svolta è stata normata nel 2015 con una normativa ad hoc. Con la legge 141 del 2015 (era ministro dell’Agricoltura, Maurizio Martina) nell’anno dell’Expo è stata regolata l’attività che, oltre a offrire opportunità economiche alle aziende agricole, costituisce uno strumento di valore sociale per l’impegno finalizzato alla riabilitazione e inclusione delle persone più fragili. Un modo per rafforzare la multifunzionalità in campo agricolo e supportare il welfare. L’agricoltura sociale spazia dall’inserimento lavorativo di persone svantaggiate (carcerati, disabili, immigrati, minori in età lavorativa inseriti in progetti di riabilitazione sociale, persone affette da dipendenze o da disabilità ,soggetti in terapia riabilitativa, donne vittime di violenza, rifugiati richiedenti asilo, studenti in alternanza scuola lavoro) alle prestazioni e attività sociali e di servizio per le comunità locali attraverso l’uso di risorse materiali e immateriali dell’agricoltura, fino ai servizi terapeutici con l’ausilio di animali e la coltivazione delle piante; ma anche educazione ambientale e alimentare, salvaguardia della biodiversità animale, fattorie didattiche e agriasilo.
Una realtà variegata dove – ha spiegato un’analisi della Coldiretti – è significativa la percentuale di realtà (45%) che attuano l’inserimento socio lavorativo, ma anche di supporto alla quotidianità e all’inclusione sociale (25%) spesso indirizzata agli studenti fino alla riabilitazione e servizi terapeutici (20%) e all’ educazione ambientale (10%). Il sociale , secondo lo studio, è una delle più importanti espressioni della diversificazione in agricoltura, perchè porta visibilità e riconoscibilità sul territorio, creando condizioni favorevoli per la permanenza delle famiglie nelle comunità rurali. L’azienda che fa agricoltura sociale gode di un sostegno pubblico speciale per l’utilizzo dei propri prodotti agricoli, la promozione e molto altro ancora e infine contribuisce a creare un futuro migliore per i territori grazie a una gestione più sostenibile delle fragilità umane.
A crederci ben prima che la normativa delineasse requisisti e perimetri dell’attività è stata Francesca Gironi, attuale responsabile delle donne Coldiretti-Marche. Una laurea in legge e un’occupazione nel settore della comunicazione d’impresa, poi la scelta di vita: l’agricoltura. Nella sua azienda Le Noci a Jesi, dove alleva cavalli da corsa (hanno partecipato quest’anno anche al concorso ippico a Roma), l’attività sociale è partita quasi per caso, per aiutare un bambino difficile che rifiutava qualsiasi contatto con assistenti sociali e medici. Una prova: inserirlo in un ambiente agricolo a contatto con i cavalli presenti nella sua azienda. La natura e i cavalli hanno fatto il miracolo e da allora – racconta Francesca – sono stati avviati i contatti con i medici delle Asl. E’ iniziato un percorso di inclusione per aiutare persone in difficoltà offrendo con l’attività nei campi e la cura degli animali opportunità di lavoro e dunque la speranza di riprendere una vita attiva. “Lo abbiamo fatto con i carcerati e con i disabili e alla nostra azienda – ricorda l’imprenditrice – si sono interessate le istituzioni regionali”. E dunque non è un caso che nelle Marche sia stata varata la prima legge regionale in materia di agricoltura sociale. Un modello per la normativa nazionale.
Dal reinserimento di detenuti per i quali sia scattata la “messa alla prova giudiziaria “in collaborazione con il tribunale di Ancona, ai servizi socio assistenziali in azienda per utenti con deficit cognitivi e loro famiglie che, grazie alla relazione con gli animali e al contatto con la natura sono aiutati ad uscire dall’isolamento, l’agricoltura sociale è diventata per Francesca un lavoro e una missione. Così come per Rita Tamborrino, altra imprenditrice Coldiretti, che a San Vito dei Normanni in provincia di Brindisi produce olio extravergine dai secolari ulivi vanto della tenuta che è della sua famiglia da ben tre generazioni. Un’azienda a vocazione biologica con metodi di gestione del campo e di raccolta ecologici ed ecosostenibili. Anche per Rita un dottorato di ricerca in diritto ed economia dell’ambiente sono stati propedeutici per dare un’impronta decisamente green all’azienda. Una sostenibilità che è anche sociale, perché durante il periodo di raccolta delle olive Rita affianca al personale aziendale tanti giovani provenienti dai Centri di Accoglienza. Si tratta di ragazzi fuggiti da terre desolate, colpite da carestie e guerre. La gran parte arriva dall’Africa, ma anche dall’Asia Meridionale (come Pakistan e Bangladesh). Spesso sono giovani provati da violenze fisiche e psichiche, alcuni con chiari segni di torture. L’obiettivo è di aiutarli a recuperare serenità e dignità e con molti di quelli che lasciano la Puglia alla volta di altri paesi europei l’imprenditrice agricola mantiene i contatti perché “l’accoglienza è un valore che si mantiene nel tempo”. Ancora in Puglia alle donne delle carceri femminili di Lecce e Taranto, Luciana delle Donne ha aperto il mondo della moda creando il marchio “made in Carcere”.
L’idea è di creare capi realizzati con i fili di mare, ricavati dal filamento con cui la cozza è attaccata alla roccia. Nasce così una fibra simile alla seta, materia prima per borse, foulard, braccialetti e altro ancora. Dal mare e dalla terra dunque spuntano attività produttive, ma con forte valenza sociale a conferma delle tante e inedite opportunità che oggi l’agricoltura italiana offre.
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