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DOPO la guerra del Kippur e la crisi petrolifera che nei primi anni Settanta del Novecento portò all’introduzione di misure di austerity in Italia e in altri Paesi, lo spettro della nuova crisi energetica generata dalla guerra in Ucraina si aggira per l’Europa costringendola a vivere settimane di passione.
Per il Vecchio Continente, che sta cercando affannosamente da mesi di affrancarsi dal gas russo, tra fughe in avanti e precipitosi dietro-front, le infrastrutture energetiche, soprattutto per il trasporto del prezioso minerale, sono diventate, se possibile, ancora più strategiche. Così, prendono quota i progetti di nuovi gasdotti.
Come Eastmed, che collega l’Europa con le immense risorse di idrocarburi presenti nel Bacino del Levante, o il gasdotto Trans-Sahariano per convogliare il prezioso minerale dalla Nigeria. Non solo, ma stanno accelerando anche i piani per la costruzione di rigassificatori in Paesi che ne sono completamente privi (la Germania) o sottodimensionati alle esigenze (l’Italia), che offrono il grande vantaggio di rendere accessibile il mercato globale del gas naturale liquefatto e liberare così dal vincolo fornitore-cliente cui obbligano i gasdotti.
Ancora: tornano in auge progetti di nuove interconnessioni intraeuropee, come il Midi-Catalonia (MidCat) per raddoppiare i flussi di scambio di gas tra Spagna e Francia o un nuovo connettore per unire la Catalogna alla Toscana e rendere così usufruibile al resto d’Europa la grande capacità di rigassificazione di cui gode la penisola iberica. Con una visione prospettica e una politica pragmatica, si stanno dunque esplorando tutte le strade possibili e immaginabili per affrontare la madre di tutti i problemi: riscaldare gli edifici, alimentare le industrie e tenere in piedi i sistemi elettrici, dei quali oggi le centrali a gas compongono l’ossatura principale da quando hanno preso il posto delle più obsolete e inquinanti centrali a carbone e olio combustibile.
I gasdotti che oggi collegano l’Europa alla Russia trovano la loro origine tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta quando, sulla scia delle crisi del petrolio, i Paesi europei optarono per forniture alternative al greggio del Medio Oriente, come, appunto, il gas. Processo che poi alimentò, e, a sua volta, rafforzò, il processo di distensione tra l’Europa Occidentale e l’allora Unione Sovietica e che sfociò negli accordi di Helsinki (1975).
La vera sfida che attende questo settore non è la diversificazione delle forniture di idrocarburi, ma di costruire il prima possibile un’economia non carbonizzata che permetta di mitigare gli effetti del cambiamento climatico così da contenerne i costi di adattamento e raggiungere gli obiettivi climatici di Parigi (portare il riscaldamento globale entro i 2°C rispetto all’era preindustriale) e quelli, ancora più ambiziosi, ribaditi al G20 del 2020 a Presidenza italiana e durante la COP26 di Glasgow (il riscaldamento entro 1,5°C).
Più complessa la valutazione da fare dal punto di vista geo-strategico-industriale. Innanzitutto, nuovi gasdotti rischiano di andare a replicare medesime dinamiche di dipendenza, con la sola differenza di cambiarne i soggetti. Vediamo infatti già oggi l’Algeria che, neanche il tempo di entrare nel ruolo di “cavaliere bianco” in soccorso di Italia ed Europa, ha già iniziato un braccio di ferro sulle forniture di gas col vicino Marocco che ha visto il coinvolgimento (e la riduzione delle forniture) della Spagna.
Lo stesso si può dire della Turchia che sta giocando un’importante partita strategica nel Bacino del Levante per cercare di divenire il fulcro delle nuove vie del gas verso l’Europa, così da aumentarne ancor più la leva politica con Bruxelles (oltre quella dei migranti). Discorso diverso per i rigassificatori che invece hanno il vantaggio di permettere l’accesso al mercato del Gnl che, come già detto, essendo globale permette di svincolarsi dallo stretto rapporto cui obbliga un gasdotto. Entrambi però rimangono vittime delle leggi del mercato.
Gasdotti e rigassificatori reggeranno alla prova del futuro perché potranno essere riutilizzati per trasportare in Europa idrogeno “verde” (cioè generato per elettrolisi dell’acqua mediante l’uso di elettricità proveniente da fonte rinnovabile, quindi senza emissioni di CO2) che avrebbe così il vantaggio di allungare l’orizzonte temporale di vita utile di queste infrastrutture, garantire all’Europa un nuovo combustibile decarbonizzato e creare enormi possibilità economiche per il finanziamento di piani di sviluppo di nuova capacità rinnovabile nei Paesi potenzialmente fornitori di idrogeno (Nord Africa e Paesi del Golfo).
Usarlo in alternativa al gas come fonte di riscaldamento, però, oltre a richiedere importanti investimenti per la sostituzione delle caldaie e per l’adattamento delle reti di distribuzione gas in reti per la distribuzione di idrogeno, non tiene conto che le attuali pompe di calore alimentate a elettricità hanno un livello di efficienza maggiore di oltre cinque volte rispetto a delle ipotetiche caldaie a idrogeno. Dove invece molto probabilmente l’idrogeno potrà giocare un ruolo importante nei futuri processi di decarbonizzazione è plausibilmente quello industriale e del trasporto aereo e marittimo: settori che assieme oggi constano circa il 30% delle emissioni climalteranti complessive.
Molto più interesse suscitano, a proposito di reti, le interconnessioni elettriche. Hanno un’incidenza sull’ambiente locale estremamente più bassa rispetto a un gasdotto, danno infatti immediatamente accesso a un bene come l’elettricità rinnovabile di cui si può fare già oggi un uso quasi ubiquo (la mobilità, il riscaldamento e molti usi industriali). Le crescenti interconnessioni e la densità della rete elettrica avrebbe poi l’innegabile vantaggio di contribuire sempre più alla sicurezza e tenuta dei sistemi elettrici.
Immaginiamo la rete elettrica come un’enorme infrastruttura che deve sempre vibrare alla medesima frequenza. Più grande è la rete più difficile è perturbarne la sua vibrazione. Significativo è che durante le prime fasi della guerra in Ucraina e l’attacco russo alle centrali nucleari ucraine, la contromossa sia stata di sincronizzare la rete elettrica ucraina a quella europea. Oggi l’Europa è collegata solo con il Marocco attraverso la Spagna: gli altri elettrodotti, Italia-Tunisia-Algeria; Grecia-Cipro-Israele (Eurasia interconnector) o con l’Egitto (Eurafrica interconnector) rimangono ancora dei progetti.
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