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Giorgia Meloni

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Mentre la destra europea si spacca in tre, la premier italiana Giorgia Meloni sta a guardare quasi ostaggio dei suoi alleati


Era solo tre settimane fa. Giorgia Meloni riceveva gli ospiti del “suo” G7 a Borgo Egnazia, in Puglia, e aveva il phisique du role e il body language della “vincitrice”, di quella che da li a poco avrebbe dato le carte in Europa forte del suo successo personale nelle elezioni “italiane” per il rinnovo del parlamento europeo. Ieri mattina, tre settimane dopo appunto, la premier è sempre sorridente e con le onde nei capelli ma nella foto di famiglia della Nato è un puntino grigio nella seconda fila sulla destra. Appena sopra Orban. Il cerimoniale distribuisce i posti nel set. La politica assegna i ruoli. E quello della premier italiana è non solo molto ridimensionato ma ostaggio dei suoi compagni e dei suoi alleati. In Europa e in Italia.

Matteo Salvini sta tirando la corda verso ogni limite consentito. “Più armi si distribuiscono e più la pace si allontana” ha avvisato il leader leghista mentre Meloni e Tajani a Washington mettono il sigillo anche dell’Italia all’invio degli F16 , all’ingresso nella Nato e al “sostegno economico per le difesa dell’Ucraina”. In due anni e mezzo tra Europa, Nato, Stati Uniti e G7 sono stati trasferiti a Kiev risorse per circa 200 miliardi.
Ieri l’Italia si è impegnata per altri due miliardi. Non solo: se oggi la spesa militare nazionale rispetto al Pil è tra l’1,5% e l’1,6% , la premier al vertice Nato ha ribadito l’impegno di arrivare al 2% entro il 2028. “Faremo la nostra parte – ha assicurato – compatibilmente al nostro quarto di finanza pubblica”. Mancano circa otto miliardi per arrivare al 2% ribadito anche in queste ore. E’ un impegno che il leader della Lega ostacola. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani, sollecitato sul punto, ha precisato: “Italia è saldamente nell’Alleanza atlantica, nessun dubbio, e siamo alleati con gli Stati Uniti che ci hanno salvato dal nazi-fascismo e dal comunismo”.

Ma Salvini insiste. Confluendo nel nuovo gruppo della destra europea dei “Patrioti per l’Europa”, fa sue e approva le mosse delle presidenza di turno ungherese che dal primo luglio ha visto Orban andare a Kiev per chiedere a Zelensky “di trovare il modo di trattare sulla pace”. E poi da Putin e anche da Xi prestando nei fatti il fianco al loro obiettivo principale: spaccare l’Europa, indebolire l’Alleanza, aprire un varco nelle “fallite” (secondo Putin) democrazie occidentali. Missioni, quelle di Orban, mai approvate dal Consiglio europeo e però fatte nel ruolo di Presidente di turno del Consiglio europeo. Il Consiglio sta valutando di congelare la presidenza ungherese, servono 20 paesi membri.

Se si arrivasse a questo punto, cosa farà Giorgia? Il problema sembra non sfiorarla e non ha dubbi nel ribadire il posizionamento euroatlantico del suo governo. Di cui Matteo Salvini è il vicepremier e una lama nel fianco di Giorgia Meloni. La quale non può certo ignorare – e infatti non lo fa – che i Conservatori sono passati da terzo a quarto ma presto anche quinto gruppo politico europeo (a Renew Europe mancano tre- quattro seggi per superare di nuovo i Conservatori e la campagna acquisti è in corso) per colpa degli “amici” Orban, Salvini e Le Pen. Che hanno sfilato ai Conservatori la componente di Vox guidata dall’amico Abascal.

Tutto questo va letto insieme alle dinamiche di politica nazionale. Ed europea.
Salvini in versione Papeete esulta sui social per il carcere alle mamme con prole (nel ddl sicurezza). Rivendica pene più severe contro chi danneggia infrastrutture oltre che opere d’arte e monumenti, norma ad hoc per tutelare la costruzione del Ponte sullo Stretto. La scorsa settimana aveva esaltato l’approvazione del reato universale che vieta la maternità surrogata (che in Italia è giù vietata e gli altri paesi non seguono certo la giurisdizione italiana). Ieri Salvini ha detto che è merito suo se il Parlamento ha ampliato il fondo di assistenza legale per le forze dell’ordine e militari “per fatti inerenti al servizio”.

Ogni cosa è merito di Salvini. Come se avesse iniziato già la campagna elettorale per le politiche del 2027… O sapesse che così facendo una crisi di governo è più che possibile. E se Meloni facesse come Macron? L’idea di una crisi di governo “per fare chiarezza e misurare le forze” è un pensiero che osservatori e analisti lasciano intendere da circa una settimana. Palazzo Chigi smentisce. Non potrebbe fare diversamente.
A Washington, ieri mattina, Meloni ha chiesto a Tajani di andare davanti alle telecamere a smentire ogni dichiarazione a rischio di suonare contraria su Nato e Ucraina. “Non si sta così in una coalizione e ora la campagna elettorale è finita” sibilano fonti di governo. Tutto questo, come si diceva, pesa moltissimo sulla trattative per la nuova governance europea.

A Strasburgo è nato un gruppo di destra ancora più a destra, si chiama “L’Europa delle nazioni sovrane” e ha dentro i tedeschi di Afd, l’Spd ceco, i polacchi di Confederatja, gli spagnoli di “Se acabo la fiesta”, Sara Kuafo, la compagna di Eric Zemmour. E’ una bella notizia che non siano entrati nei Patrioti di Orban. Ma il risultato è che la destra unita e compatta che doveva conquistare e cambiare l’Europa si è spaccata in tre.
La capigruppo dei gruppi politici europei ha fatto sapere a Orban che “ahimè non ci sarà spazio per il suo discorso sull’agenda della Presidenza ungherese nella plenaria della prossima settimana (18 luglio, ndr)”. L’eurocamera non potrà così sentire come e perché Orban potrà realizzare il sui Make Europe Great Again”, il suo motto scimmiottato da Trump.

Ursula von der Leyen, insieme al Consiglio, sta valutando il “cordone sanitario” rispetto ai Patrioti. Vuol, dire escluderli dagli incarichi e dalle Commissioni. Del resto, come si fa ad affidare una Commissione a chi vuole distruggere l’Europa?
I pasticci per Meloni aumentano. Ancora una volta è stato Tajani a dichiarare che “il cordone sanitario” sarebbe una scelta “non democratica”. Se succede, si spacca la maggioranza. Più di quello che è già. Ieri Von der Leyen ha proseguito i colloqui con i gruppi in cerca dei voti. La presidente uscente è a un passo dal via libera ai Verdi. “Ci sono molte convergenze” è stato il commento. Una decisione sarà presa giovedì. Nell’incontro con i liberali di Renew europe è stato ribadito che “non ci sarà cooperazione strutturale con i Conservatori”. L’incontro con Meloni e Ecr è rinviato a martedì. Due giorni dopo coi sarà il voto. Stai a vedere che da vincitori e padroni d’Europa finisce che non prendiamo neppure quel commissario di peso che ci dovrà aiutare a scrivere la legge di bilancio.


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