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QUANDO finisce la due giorni di Granada, Giorgia Meloni si dice soddisfatta del Consiglio europeo informale, perché la questione migranti «è diventata una priorità in ambito Ue». L’ultimo bilaterale, quello con il cancelliere tedesco Scholz, è terminato dopo 45 minuti. Un vertice dopo la discordia delle scorse settimane in cui i due leader hanno discusso dei principali temi europei al centro del Consiglio, con particolare riguardo alla questione migratoria, «esprimendo soddisfazione per l’intesa raggiunta a Bruxelles sul regolamento della crisi migratoria».
I MIGRANTI E IL DOPPIO ASSE DELLA MELONI
Un contesto, quello di Granada, in cui l’inquilina di Palazzo Chigi ha portato avanti la strategia sul fenomeno migratorio seguendo un doppio binario. Da un lato puntando tanto sull’asse con il primo ministro britannico Sunak. I due dialogano da tempo, dal G20 di Nuova Delhi di un mese fa, e desiderano lavorare insieme per rendere più operativi i piani di contenimento. Condividono un progetto che ora potrebbe diventare realtà: mettere in comune informazioni e dati, far collaborare le polizie e, solo se ci sarà l’accordo con i Paesi di origine e di transito dei profughi, realizzare operazioni di intelligence per smantellare le barche dei trafficanti.
E se da una parte c’è questo, dall’altra Meloni porta avanti il lavoro di diplomazia con la Germania. Con il cancelliere tedesco i conti aperti sono diversi. Il compromesso raggiunto sui migranti e sul capitolo Ong è solo una parte del negoziato tra Meloni e Scholz. I tedeschi non hanno fiducia nella Tunisia di Saied. Scholz ritiene che l’involuzione democratica in Tunisia sia un buon motivo per non legittimare l’autocrate. Su queste note si svolge il faccia a faccia tra Meloni e Scholz. La leader di FdI prova ad ammorbidire la contrarietà tedesca. Anche perché tutto questo potrebbe far saltare il Memorandum. Non a caso al termine del Consiglio europeo informale, incalzata da un cronista sulla questione, la mette così: «Il cancelliere tedesco Scholz è consapevole che la strategia italiana sui migranti – ha detto la Meloni – è l’unica che può essere efficace: a me ha detto che bisogna andare avanti con questo lavoro in Tunisia. Tutti ci dicono che il lavoro con Tunisi deve essere replicato con altri Paesi del Nord Africa e non solo».
IL PIANO MATTEI SUI MIGRANTI
Dunque, avanti con il modello Tunisia, da estendere ad altri Paesi africani. Il piano Mattei, dunque. «Sono d’accordo a dare nuove risorse non al capitolo migratorio, ma all’Africa. Quello che dobbiamo fare è costruire una partnership diversa con l’Africa, aiutiamo l’Africa a vivere di ciò che ha. Parliamo di un continente estremamente ricco di materie prime e risorse, che noi possiamo aiutare a valorizzare, anche per interesse nostro. Si tratta di mettere risorse per costruire una partnership strategica, come il Piano Mattei». In questo contesto, dice Meloni, il primo obiettivo «è combattere le reti di trafficanti di migranti».
LA BOMBA ORBAN SUI MIGRANTI
Peccato che si sia ritrovata contro gli alleati sovranisti Ungheria e Polonia. La bomba è stata scagliata dal presidente ungherese Viktor Orbán che afferma che Polonia e Ungheria sono state «stuprate legalmente» dall’Unione: una provocazione, certo, ma che scuote il confronto. Le parole di Orbán riguardano il Patto sulla migrazione che Budapest e Varsavia, secondo il premier magiaro, sarebbero state costrette a digerire. «Se sei legalmente stuprato, costretto ad accettare qualcosa che non ti piace, come pensi di raggiungere un compromesso? È impossibile», dice Orbán escludendo ogni possibilità di accordo «non solo ora ma anche negli anni a venire».
Meloni, insomma, è stretta tra due fuochi. Da una parte porta avanti la nuova intesa con Londra e dall’altra è costretta a subire la contrarietà degli “amici” ungheresi e polacchi. Non a caso, quando il Consiglio europeo informale si conclude risponde così: «La percezione del Patto della migrazione tra Italia, Polonia e Ungheria è «diversa per una questione soprattutto geografica. Abbiamo votato il Patto perché le nuove regole sono migliori delle precedenti, ma io non ho portato questa priorità, è il dibattito di una vecchia percezione, la posizione nostra è diversa da Polonia e Ungheria per una questione geografica. Loro capiscono la posizione italiana, la loro posizione la comprendo perfettamente e non pregiudica il nostro lavoro». Insomma, un risultato a metà quello di Meloni. Anche perché c’è chi, come il premier spagnolo Sanchez, fa sapere che «il programma di Granada era su altri temi, non sui migranti».
MATTARELLA, I MIGRANTI E L’UCRAINA
Sullo sfondo si fanno sentire le parole del capo dello Stato, Sergio Mattarella, che a poche ore dalla strage di Kharkivi e a pochi giorni dal Consiglio dei ministri Ue che s’è tenuto a Kiev, nel pieno del dibattito (in Europa come in America) sulla necessità di continuare ad armare Zelensky, si esprime così: «È motivo di tristezza vedere tante vite stroncate, tanta distruzione, immani risorse finanziarie bruciate in armamenti, ma quanto stiamo facendo tutela la pace mondiale. Naturalmente, l’auspicio è che si creino quanto prima le condizioni per un processo che conduca alla pace in Ucraina: una pace giusta, non effimera».
Un messaggio che non sembra essere rivolto solo all’esterno, ma anche a chi in Italia inizia a esprimere più di una perplessità sul sostegno all’Ucraina. Ci sono mal di pancia all’interno della Lega, ma ora iniziano a esserci anche nel partito di Giorgia Meloni. L’auspicio di Mattarella è naturalmente che tutti questi sforzi creino quanto prima le condizioni per intraprendere un processo di pace. Ma gli aiuti non possono non esserci.
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