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Giacomo Ferlazzo, l’uomo a capo della protesta di Lampedusa

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La richiesta fatta da Giacomo Ferlazzo, l’uomo di Lampedusa che, con le dovute proporzioni, come a Tianmen, quando un giovane si contrappose ai carri armati che furono costretti a fermarsi, ha bloccato il corteo della presidente Giorgia Meloni che insieme a Ursula von der Leyen si stava spostando dall’aeroporto per raggiungere prima l’hotspot e poi il triste famoso molo Favaloro, é stata grandiosa. Dopo un primo tentativo, di allontanarlo dalla sede stradale, della scorta, saggiamente, la Presidente del Consiglio è scesa dall’auto blindata per capire cosa volessero questi suoi concittadini lampedusani.

Dopo una serie di richieste concernenti il tema di avere assicurazioni per evitare che Lampedusa diventi un carcere a cielo aperto, visto che si era sparsa la voce che si voleva organizzare nella base Loran, base militare americana dismessa, un campo profughi che allargasse la capienza dell’hotspot ormai rivelatosi insufficiente per le esigenze sempre più quantitativamente importanti che si sono recentemente manifestate, ne fece una originale.

Prima di lasciare passare il corteo, invitato anche dal ministro Piantedosi che cercava in tutti modi di liberare la Presidente dicendo che le problematiche che si ponevano erano di sua competenza, Sferlazzo ha fatto una richiesta molto precisa alla Meloni: quella di essere lasciati in pace perlomeno nel periodo della festa della Madonna, che si svolgerà il 22 prossimo. Una richiesta così ingenua, che vedremo se potrà essere soddisfatta, considerato che il flusso degli arrivi, con il tempo buono e il mare calmo, ormai è diventato continuo.

Ma questa ingenuità, autentica forse può insegnare molto sia al nostro Paese che a tutta l’Europa. Perché in tutti questi giorni in cui l’Isola è stata invasa da un numero incredibile, pari a sei sette mila persone, in genere maschi giovani, la reazione della cittadinanza non è stata quella di chiudersi nelle case ed evitare il contatto con questa folla straniera, ma invece quella di aprire le porte per cercare di dare una mano a questa povera gente, assetata e affamata, che una organizzazione di cosiddetta accoglienza insufficiente non riusciva a soddisfare.

Ripetendo l’esperienza della collina del disonore del 2011, che vide un numero ancora più numeroso di tunisini bloccati da Roberto Maroni sull’Isola, per una prova di muscoli, poi rientrata. E quando i cronisti nei giorni successivi a quelli della visita, hanno chiesto agli abitanti un giudizio su quello che era accaduto, la lamentala non è stata contro la cosiddetta invasione, non hanno inveito contro costoro dicendo che se ne devono stare a casa loro, quanto piuttosto nei confronti dello Stato italiano e dell’Europa che non sono ancora riusciti ad organizzare un sistema di accoglienza che non porti tanti extracomunitari su un isolotto di soli 20 km². In realtà l’esigenza di Lampedusa è quella del Paese e dell’Unione sono diverse. La prima vuole soltanto che il flusso emigratorio salti l’Isola con una struttura di navi appoggio che recuperino i migranti prima che arrivino a terra, bypassando l’approdo sull’Isola che, come ripetono in tanti, vuole vivere di agricoltura, pesca e turismo.

Costruendo un suo progetto di sviluppo che l’ha vista protagonista anche rispetto ad isole più grandi come Pantelleria che non sono riuscite a competere in termini di presenze e di arrivi. Invece Il problema dell’Europa e dell’Italia riguarda il contenimento degli arrivi. E, come é stato detto ripetutamente, più che la distribuzione negli altri Paesi europei. In tale logica gli interessi non convergono perché l’Isola ha tutte le caratteristiche che sono state richiamate per un centro di accoglienza, nel quale far rimanere per 18 mesi i migranti che non hanno diritto ad entrare per poi farli rimpatriare. Quello che gli isolani hanno individuato come un carcere a cielo aperto.

Considerato che ormai da trent’anni l’Isola, più volte proposta per il premio Nobel per la pace per il suo comportamento umano, ha svolto un ruolo importantissimo nel far mantenere l’immagine di un Paese accogliente forse è il tempo che venga lasciata fuori dai nuovi sviluppi che il fenomeno avrà nei prossimi anni. Certo alcuni a Pontida hanno affermato che vorrebbero che venisse regalata alla Tunisia o alla Libia, illudendosi che in questo modo, tagliando una propaggine, si risolva semplicemente un problema complesso. Ma queste stupide boutade lasciamole a qualche idiota che tutti possono avere al loro interno invece che a soluzioni che coniughino quella umanità,che non dobbiamo mai perdere, con le esigenze di un’Europa che deve poter decidere chi può e chi non può arrivare, non lasciando, come è avvenuto fino ad adesso, la decisione ai mercanti di carne che aprono o chiudono il rubinetto a seconda delle esigenze manifeste di denaro o quelle nascoste politiche.

Gli episodi che sta vivendo in questi ultimi giorni l’Isola pelagica rappresenteranno una cesura tra prima e dopo. Nulla sarà più come prima perché tutti si sono resi conto, cosa che anche la sinistra aveva capito con il ministro Minniti, che vi sono due esigenze contrapposte: quella individuale che riconosce a ciascuno di noi il diritto di poter avere una possibilità di futuro a cui spesso si richiama Papa Francesco, e quella degli Stati che non possono non gestire il fenomeno, perché se non lo fanno corrono rischi sociali non indifferenti. Avendo sempre presente che una società invecchiata come quella europea ha estremamente bisogno dei giovani mediterranei africani, e che un popolo di oltre 500 milioni di abitanti, come quello dell’Unione, se imposta una politica di accoglienza adeguata può gestire tranquillamente numeri che nella loro dimensione sono estremamente contenuti.

Anche se non bisogna dimenticare che il tema non riguarda soltanto coloro che arrivano ma anche il numero comulato di coloro che una volta arrivati, non solo come é giusto, diventano cittadini con le loro famiglie, ma attraggono dai loro Paesi di origine le famiglie di provenienza. Una certezza rimane che tutto questo è un problema complesso che non può essere affrontato e trattato con strumenti semplicistici. Tale certezza deve averla l’Europa ed è bene che la abbia anche l’Italia.


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