Un momento di Feuromed 2023
6 minuti per la letturaLa sfida dell’Italia e del suo Mezzogiorno, centrali e protesi sul Mediterraneo, per la crescita europea
La strada è lunga e non basta una vocazione storico-geografica per creare crescita economica, stabilità e inclusione. L’Italia e il suo Mezzogiorno, centrali e protesi sul Mediterraneo come poche altre entità europee, hanno una sfida doppia davanti a loro: ridurre il divario interno, tra Nord e Sud, ed essere la testa di ponte della riduzione del divario – economico, politico e sociale – tra il Nord e il Sud dello stesso mare, tra Unione e Africa.
Il percorso di avvicinamento è ricco di suggestioni e altrettante delusioni. I tentativi di cooperazione e dialogo strutturato tra le due sponde del Mediterraneo risalgono agli anni 60, proseguono negli anni 70 e 90 fino ad approdare a qualcosa di più ambizioso con la Conferenza di Barcellona del 1995. Un’ambizione che si spense poco a poco fino a provocare la frustrazione della Francia, nostro partner e avversario naturale nel Mare Nostrum, che Nicolas Sarkozy nel febbraio 2007, durante la campagna elettorale presidenziale che lo avrebbe poi visto vincitore, sintetizzò auspicando la nascita di un’Unione del Mediterraneo.
Quel 2007 appare preistoria, dopo le numerose crisi che si sono seguite su scala globale, ma il Mediterraneo, mare di ricchezza e potenzialità, ma anche di instabilità, resta al centro dei nostri pensieri, di timori e interessi. Da qui è partita la necessità di una riflessione aggiornata e contestualizzata di come l’Italia e il Sud possano essere la forza propulsiva di una crescita capace di portare benefici reciproci a entrambe le sponde.
Organizzato dal Quotidiano del Sud, diretto da Roberto Napoletano, si è aperto a Napoli il primo festival Euromediterraneo dell’economia (Feuromed) con il chiaro tentativo di dare concretezza, e prospettiva economica, a questa ormai troppo decantata vocazione storico-geografica.
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Ripartendo da una delle poche idee geopolitiche espresse dalla classe dirigente italiana negli ultimi decenni, il cosiddetto Piano Mattei, aggiornato però alle esigenze e alle tendenze dei giorni nostri in modo da fare del nostro Paese il vero hub energetico del Mediterraneo, si potrà creare un circolo virtuoso. Anche perché nelle ultime due devastanti crisi – quella pandemica e quella innescata dall’aggressione russa in Ucraina – l’Europa ha saputo rispondere con una rapidità (e anche solidarietà) sorprendenti, come ha evidenziato in avvio di lavori il commissario europeo all’Economia Paolo Gentiloni.
Secondo l’ex presidente del Consiglio la proiezione italiana e del Mezzogiorno nel Mediterraneo assume una nuova concretezza alla luce di alcuni elementi fondamentali. Il primo è dato dalle risorse del Pnrr, che da qui al 2026 dovrebbero portare al Sud cifre mai viste, circa 86 miliardi. Un patrimonio che, speso bene, in maniera razionale e avveduta, può far crescere il contributo del Sud al Pil italiano dall’attuale 22% al 23,5%.
Il secondo elemento viene dalla risposta geopolitica alla guerra scatenata dalla Russia: «In dieci mesi abbiamo ridotto la dipendenza dal gas russo dal 42% del totale al 7%», ha detto, sottolineando come siano importanti le vie energetiche del Mediterraneo (Tap, Transmed, Greenstream e la prossima interconnessione tra Italia e Tunisia con l’intervento di Terna) e come il Mezzogiorno sia già responsabile di oltre il 50% della produzione di rinnovabili in Italia.
Basterebbe, insomma, togliere la vocazione dalle teche dei musei e trasformarla in una modernità funzionale alle imprese, del Sud ma anche del Nord, perché, come ha ricordato Napoletano, essere l’hub energetico del Mediterraneo vuol dire dare linfa alle imprese di Bergamo, a loro volta pienamente e direttamente coinvolte nella grande catena delle forniture tedesche.
Il terzo elemento citato da Gentiloni non è meno importante e riguarda la strutturazione di una politica industriale europea, «un tema – ha detto – che anche a Bruxelles comincia finalmente ad avere diritto di cittadinanza». C’è la necessità, per avere una globalizzazione più sicura, di accorciare certe filiere, ed è chiaro che le imprese del Mezzogiorno potranno giocare un ruolo chiave in questa riconfigurazione delle catene di approvvigionamento.
E se vogliamo sempre parlare in termini geopolitici, è necessaria a questo punto una verticalizzazione delle relazioni internazionali – Nord/Sud per intenderci – poiché quella orizzontale, ha aggiunto il commissario Ue, dopo l’aggressione russa non è più immaginabile per come è stata strutturata negli ultimi decenni.
Al centro di questa nuova verticalità cooperativa tra Nord e Sud, d’Europa e d’Italia, il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, intervenendo al Feuromed ha sottolineato «l’importanza del capitale umano» la base sulla quale far compiere il salto di qualità alla relazioni tra le due sponde del Mediterraneo nell’ambito «di una globalizzazione che come paradiso post-storico, per citare Robert Kagan, ha mostrato molte crepe finendo per degradare il Cives a un semplice codice a barre».
Mediterraneo significa anche sicurezza, e non solo quella militare, che associamo all’idea di tumulti, terrorismo, sistemi di difesa. È la sicurezza alimentare che la guerra in Ucraina e il blocco dei porti del Mar Nero alle partenze delle navi cariche di grano, è venuta violentemente alla ribalta. Su questo aspetto, come su quello della transizione climatica e digitale, si è soffermato l’intervento di Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao: «In poco tempo la sicurezza alimentare è così diventata uno dei grandi temi della diplomazia internazionale», ha detto. L’ex ministro dell’Agricoltura ha aggiunto che ormai non si può più andare in Africa con la mentalità di alcuni anni fa e bisogna pertanto creare le basi di un nuovo partenariato.
Secondo Martina sono almeno tre i dossier importanti con i quali sviluppare questo nuovo partenariato: il primo è la gestione dell’acqua («chi gestisce l’acqua in quell’area ha il potere e presto sarà più importante di chi gestisce il petrolio»); la gestione dei suoli; e la riorganizzazione della catena del freddo.
La centralità dell’Italia è in quest’area, ma non bisogna dimenticare che il concetto di Mediterraneo è un concetto molto ampio e l’ hub energetico europeo delle rinnovabili funzionerà nella misura in cui riuscirà a essere utile e strategico anche per il Nord Europa, Germania compresa.
Quando Sarkozy presidente volle dare seguito all’idea dell’Unione mediterranea sbozzata a Tolone, nel 2008 molti partner europei criticarono l’iniziativa perché non furono preventivamente interpellati. Se ne risentì anche Berlino, all’inizio poco informata perché il Mediterraneo non bagna le sue terre: molti diplomatici francesi dimenticarono che in Germania vive la più importante comunità turcofona d’Europa, due milioni e mezzo di persone.
Fu un errore marchiano, da non ripetere, perché la Germania naturalmente tende a Est, oggi, con il prossimo allargamento ai Balcani occidentali, come ieri, subito dopo il 1989. A tenerla legata al resto d’Europa non bastano più la storica amicizia della Francia e la passione tedesca per le vacanze al Sud. Ci vuole un Mediterraneo più ricco, stabile e sicuro.
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