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La Conferenza Stato-Regioni

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SICURAMENTE il Ministro Raffaele Fitto sta sostenendo un confronto non facile con gli Uffici della Unione Europea, un confronto che il Ministro ha voluto allargare su tutti i fronti che caratterizzano le interazioni finanziarie tra il nostro paese e la Unione Europea, mi riferisco al Fondo di Sviluppo e Coesione 2014 – 2020, al Fondo di Sviluppo e Coesione 2021 – 2027 e al Piano Nazionale di Ripresa e di Resilienza. Una scelta questa senza dubbio difficile ma, al tempo stesso, obbligata perché questo quadro programmatico ha un comune denominatore: la incapacità del nostro Paese di attivare la spesa. Una patologia che più volte ho descritto, più volte ho tentato di motivare e che ora fa paura anche e soprattutto alla Unione Europea. Fa paura perché stiamo entrando in una fase critica: rischia la intera realtà comunitaria di vivere un possibile fallimento della più grande operazione economico – finanziaria messa in campo dalla Unione Europea.

Questa paura d’altra parte è leggibile in modo diretto e trasparente da questa dichiarazione della Commissione europea: “Qualsiasi revisione dei Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza non dovrebbero abbassare l’ambizione complessiva. Siamo consapevoli che il Governo italiano voglia rivedere il PNRR ma non abbiamo ancora ricevuto una richiesta formale di modifica”. Emerge chiaramente una paura, ripeto, non di una iniziativa nazionale, cioè del nostro Paese, ma di una volontà, per la prima volta, presa a livello comunitario. Il fatto che un Paese non sia in grado di “spendere”, non sia in grado di utilizzare risorse assegnate in modo convinto dagli altri 26 Paesi della Unione Europea, attiva automaticamente una crisi della intera Unione Europea. D’altra parte tutti i Paesi della Unione Europea tifano perché si riesca a rivedere solo parzialmente il PNRR e rimanga così valida una difendibile dimensione finanziaria.

Ora però che da più parti apprendiamo ciò che sin dall’inizio della esperienza avviata con il PNRR avevamo dettagliatamente denunciato, cioè che con il Governo, quello del Conte 1, avevamo intrapreso un itinerario “folle” che ci avrebbe portato sicuramente al fallimento; ora che oggettivamente, senza innamorarsi di schieramenti contrapposti ma come fatto dal Ministro Fitto, leggendo solo la assurda sommatoria di progetti, l’assurda elencazione di esigenze finanziarie prive di ogni possibile organicità progettuale, ci siamo convinti di essere caduti in una trappola procedurale tipica della pluralità dei soggetti coinvolti, tipica della impossibilità di identificare le reali responsabilità, non possiamo rimanere spettatori di un processo che ci scredita in modo pesante nei confronti della Unione Europea.

Nasce quindi spontaneo ancora una volta un interrogativo: cosa avremmo dovuto fare, quale linea strategica avremmo dovuto sposare sin dall’inizio? In realtà avremmo dovuto seguire quella linea strategica che avevamo sin dall’autunno del 2020 (è sufficiente trovare alcune note in cui dettagliatamente prospettavo una simile proposta) attraverso la quale si rendeva immediatamente operativo un organismo, ripeto un solo organismo, a cui affidare la attuazione di tutte le proposte del PNRR; tale organismo era formato dai seguenti soggetti: Cassa Depositi e Prestiti, Banca Europea degli Investimenti, Ferrovie dello Stato, ENI ed ENEL. Veniva indicato un organismo formato da riferimenti certi, da riferimenti responsabili, da eccellenze manageriali riconosciute. Un simile organismo avrebbe avuto una sola missione: attuare, nel rispetto dei tempi imposti dalla Unione Europea, il PNRR ed il PNC. Sappiamo bene perché una simile proposta non sia stata presa in considerazione e sappiamo anche le motivazioni che hanno evitato che sia il Governo Conte 1, sia il Governo Conte 2, sia il Governo Draghi potessero, quanto meno, attivare un confronto tra questa proposta ed il modello assurdo seguito sin dall’inizio; riporto di seguito alcune motivazioni:

  • la istituzione di un organismo nuovo avrebbe creato non solo problemi procedurali legati ai trasferimenti di personale e alla istituzione di apposite aree con adeguata competenza professionale; una motivazione a mio avviso ridicola se si tiene conto che nel 1950 la Cassa del Mezzogiorno fu istituita e organizzata in solli 70 (settanta giorni)
  • la istituzione di un simile organismo avrebbe mortificato il ruolo e le competenze istituzionali di Dicasteri da sempre delegati sia alla scelta programmatica e gestionale di risorse comunitarie, sia alla approvazione formale delle varie proposte
  • la istituzione di un simile organismo avrebbe tolto il ruolo e le competenze agli Enti locali (Regioni e Comuni) incrinando in tal modo il Titolo V della Costituzione e soprattutto avrebbe creato un precedente per quanto concerne la gestione dei Fondi comunitari legati ai Programmi Operativi Regionali

Prima di rispondere alle tre osservazioni ricordo che il coinvolgimento dell’ENEL e dell’ENI sarebbe stato utilissimo perché poi al PNRR si è aggiunto anche il Repower; si è aggiunto un Piano che contiene al suo interno l’aumento della resilienza, della sicurezza e della sostenibilità del sistema energetico della Unione Europea mediante la riduzione della dipendenza dai combustibili fossili e la diversificazione delle fonti di approvvigionamento energetico. Ma torniamo alle motivazioni che hanno ritenuto non perseguibile la proposta e penso sia inutile soffermarsi sulle prime due motivazioni perché di fronte a 220 miliardi di euro da spendere entro sei anni, di cui 68 a fondo perduto, viene meno ogni egoismo gestionale, ogni corsa verso il controllo e la gestione della spesa. La terza motivazione, invece, trova gli Enti locali ed in modo particolare le Regioni pronte a contrastare ogni forma di centralizzazione delle scelte, ogni forma di centralizzazione della spesa. Questa è, a mio avviso, una criticità insita proprio nel Titolo V della Costituzione che ritiene quasi sacra la funzione ed il ruolo dell’istituto regionale e questo ruolo, soprattutto per le attività legate alla Sanità ed alla Pubblica Istruzione, diventa quasi un’area recintata che lo Stato non può, per nessun motivo, incrinare.

È troppo tardi per tornare indietro? Forse sì; tuttavia volendo cercare la massima conferma di quanto indicato nel PNRR e nel PNC, forse per le opere che si riesce davvero a portare a compimento entro il 31 dicembre del 2026, sarebbe utile costruire l’organismo indicato prima perché in tal modo saremmo almeno in grado da un lato di raggiungere davvero un simile obiettivo e dall’altro dimostreremmo alla Unione Europea di aver condiviso, anche se con un ritardo di tre anni, la indicazione posta dalla stessa Unione Europea sin dall’inizio e cioè una governance unica sia programmatica che gestionale.


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