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Se il modello italiano di attacco globale alle mafie fa scuola in Europa lo si deve, anche, a Filippo Spiezia, per sette anni numero due di Eurojust. Proviamo a tracciare un bilancio del mandato europeo durante il quale molto si è battuto per ottenere un cambio di paradigma dei Paesi partner. Grazie anche a questo bagaglio di esperienze, Spiezia è diventato procuratore a Firenze, dove eredita i fascicoli sulle stragi e si prepara a incarnare la figura di un magistrato che lavora con estrema competenza al di là dei clamori.

Al termine del mandato di sette anni in Eurojust, si impone un bilancio: quali i principali risultati ottenuti e quali le difficoltà riscontrate nella cooperazione fra le autorità nazionali nell’azione di contrasto alle mafie?

«Il mio mandato ad Eurojust è stato tra i più lunghi tra i vari membri nazionali italiani che si sono succeduti. Di questo vorrei ringraziare pubblicamente l’allora ministro della Giustizia Orlando, per la fiducia accordatami ed i successivi ministri della Giustizia che mi hanno confermato nell’incarico. Si sono, dunque, obiettivamente verificate condizioni favorevoli per poter progettare e poi attuare quanto avevo immaginato all’inizio del mio percorso, a beneficio delle autorità giudiziarie italiane. A conclusione di tale esperienza credo si possa affermare che molti degli obiettivi prefissi sono stati raggiunti. Ci sono stati indubbi progressi nella cooperazione giudiziaria e nel coordinamento investigativo. Ricordo che quando mi insediai, nel 2016, gli scambi informativi erano ridotti al minimo e in materia di terrorismo erano pressoché inesistenti. I fatti del Bataclan erano appena accaduti.

Oggi lo scenario è cambiato e le autorità competenti dei Paesi membri scambiano molte informazioni con Europol ed Eurojust anche in materia anti terrorismo. Abbiamo istituito ad Eurojust il primo registro europeo giudiziario antiterrorismo, anticipando il Legislatore europeo che sta per riconoscere la funzionalità di questo importante strumento. Sul piano del coordinamento giudiziario, siamo in collegamento operativo anche con Paesi terzi con cui la cooperazione sembrava quasi un miraggio. Penso, ad esempio, a Panama, alle Maldive, alle Bahamas.

In altri casi essa esisteva, ma era lunga e defatigante, come nel caso del Brasile. Abbiamo oggi raggiunto ogni sponda del mondo ed abbiamo rapporti quotidiani con i Paesi dell’area balcanica. La cooperazione si è velocizzata e questo è un risultato eccezionale. Criticità permangono con i Paesi africani, della zona subsahariana ma anche con Libia, Tunisia, Marocco. Il buon funzionamento dei rapporti di cooperazione è legato spesso alle condizioni politiche, perché l’instabilità politica rende ardua la cooperazione per gli operatori giudiziari. Inoltre, come ufficio italiano di Eurojust siamo stati pionieri, riuscendo ad inserire esponenti qualificati di forze di polizia all’interno Desk italiano.

Condividendo risorse umane con Europol, abbiamo accresciuto la prospettiva investigativa, integrando la cooperazione giudiziaria con quella di polizia. Abbiamo dato vita ad una prassi virtuosa, anticipatrice di futuri schemi operativi, che viene vista oggi con molto interesse dai nostri partner. Quando arrivai ad Eurojust si svolgevano attività interessanti, ma a mio avviso l’Agenzia era al 30% delle sue possibilità. Oggi abbiamo ottenuto una accentuazione degli aspetti operativi, coinvolgendo in essi l’80 % dell’intero personale disponibile. Il bilancio è raddoppiato e l’Italia sta dando grande impulso alle squadre investigative comuni, uno strumento operativo d’ eccellenza, composto da magistrati e polizia che lavorano in totale condivisione, senza rogatorie e formalismi, ma con uno scambio diretto di informazioni.

Proprio questo strumento ha consentito di ottenere alcuni dei più grandi successi nell’azione di contrasto a fenomeni gravi di criminalità mafiosa, anche grazie alla cooperazione con Paesi terzi. Un ultimo aspetto positivo è quello della modernizzazione dell’infrastruttura digitale a livello europeo, che metterà in collegamento tutte le autorità giudiziarie, un progetto voluto da Eurojust e su cui ho molto insistito nella mia qualità di membro nazionale e di vicepresidente».

Quali sono gli obiettivi strategici che Eurojust dovrà perseguire nei prossimi anni?

«Il tracciato è a mio avviso segnato, si va verso la piena implementazione del collegamento digitale fra le autorità giudiziarie, anche con una piattaforma comune per le squadre investigative comuni. L’ Agenzia tecnica europea (EU-LISA) sta lavorando alla messa a punto del software. Si andrà verso nuovi scenari che deriveranno sempre più dall’applicazione di forme intelligenza artificiale che miglioreranno la capacità predittiva dei fenomeni criminali in ambito europeo. Altro obiettivo sarà quello di portare a termine l’esperienza del Centro permanente di coordinamento per i crimini di aggressione, attualmente ospitato da Eurojust.

Non potendo la Russia essere perseguita dalla Corte penale internazionale per il crimine di aggressione, la Commissione europea ha chiesto a Eurojust di ospitare tale Centro presso cui lavorano i membri della squadra investigativa comune che si è costituita. Si tratta di un esperimento importante per migliorare la qualità e quantità delle indagini legate al conflitto in atto, ma se esso dovesse funzionare il Centro potrebbe diventare un modello da seguire per altri filoni investigativi, aprendo nuovi scenari di cooperazione».

Lei si è occupato del coordinamento transnazionale dell’operazione Eureka, con cui è stato inferito un duro colpo alla ‘ndrangheta globale e alle sue proiezioni economiche. Un risultato che dimostra che è possibile contrastare le mafie a tutto campo e quanto il sistema giudiziario italiano sia partner affidabile a livello mondiale…

«“Eureka”, a mia conoscenza, è l’operazione più importante di coordinamento giudiziario in ambito europeo, e non solo, contro la criminalità organizzata di tipo ‘ndranghetista. Essa conferma che le inchieste più importanti a livello nazionale vengono oggi comunicate al membro italiano di Eurojust, e ciò è frutto di una fiducia guadagnata sul campo, apportando un valore aggiunto alle indagini nazionali. L’indagine Eureka dimostra che è possibile raggiungere alti livelli nel contrasto alle mafie, che hanno da tempo superato una visione localistica per infiltrarsi su scala globale attraverso la dislocazione delle proprie basi logistiche del traffico di droga presso i grandi porti europei e attraverso le attività di reinvestimento e di riciclaggio internazionale.

L’indagine Eureka condotta dalla Procura di Reggio Calabria è stata il frutto di un’operazione lunga e di un lavoro paziente e qualificato degli investigatori, ma i suoi esiti positivi dipendono anche dal cambiamento di paradigma adottato dai nostri partner stranieri, come il Belgio, l’Olanda e la Germania, che hanno ormai progressivamente acquisito una diversa consapevolezza della insidiosità e pericolosità di tali forme di criminalità, certamente presenti nei loro territori. Resta una vischiosità sul piano normativo, permane un problema di adeguamento della normativa europea in materia di reato associativo, da me più volte segnalato alla Commissione.

Tuttavia oggi, finalmente, in una serie di documenti dell’Unione si dà conto di questa emergenza criminale, al pari del terrorismo. Da ciò dovranno scaturire scelte conseguenziali. È necessario continuare a lavorare con un forte spirito di solidarietà internazionale e di condivisione, è necessario investire in formazione ed indagini ad alto tasso tecnologico. O si lavora insieme per un obiettivo comune o si è perdenti».

Il modello italiano nell’attacco globale alla ‘ndrangheta continuerà ad essere tale dopo la stretta sulle intercettazioni e sul contante?

«Atteniamoci ai fatti. Ad oggi abbiamo un intervento normativo, con decreto legge, che recupera la praticabilità delle intercettazioni per condotte criminali non strettamente associative. Si tratta di un provvedimento che il Governo ha adottato come risposta ad una linea giurisprudenziale che limitava il ricorso ad attività di intercettazione ai reati associativi in senso stretto, escludendolo per altre forme di reato comunque espressive del crimine organizzato.

Tuttavia, conseguenze indirette sul controllo di legalità potrebbero derivare da altre scelte che l’esecutivo che si accinge a compiere, penso all’abolizione del reato di abuso d’ufficio, che dovrebbe restare, a mio avviso, quale presidio importante a garanzia della legalità e trasparenza della pubblica amministrazione. Quanto al contante, l’evoluzione delle attività criminali, sempre più orientata verso le criptovalute, la moneta digitale, le banche virtuali, riduce la rilevanza del problema, ma non bisogna abbassare la guardia, perché una percentuale consistente di attività di riciclaggio avviene ancora attraverso le forme tradizionali».

Il procuratore Gratteri e il professor Nicaso nel loro ultimo libro parlano di una ‘ndrangheta dallo sguardo presbite e di legislatori quantomeno miopi. Miopia di fronte alle mafie, alla ‘ndrangheta in particolare, che ormai centellinano la violenza, quindi destano meno allarme sociale, ma riescono a occultare i propri capitali nelle piazze finanziarie off-shore e a infiltrarsi nel tessuto socio-economico di Paesi sforniti di norme antiriciclaggio stringenti come quelle italiane. Era uno dei temi del forum del Quotidiano a cui partecipò anche lei. Condivide questa analisi?

«Fanno bene il procuratore Gratteri e il professore Nicaso a lanciare questo allarme, per tener desta l’attenzione. Sarebbe ingeneroso, tuttavia, affermare che di fronte a questa crescita operativa delle mafie tutto sia rimasto come prima. Vorrei ricordare che in alcuni Paesi europei ci sono state anche modifiche normative importanti. In Germania, per esempio, con l’introduzione nel 2017 della confisca per sproporzione e dei patrimoni ingiustificati e con alcune modifiche al reato associativo, ma non tutti i Paesi camminano con lo stesso passo, specie del Nord Europa.

Permane un quadro eterogeneo delle normative nazionali, a fronte di alcune direttive europee che andrebbero aggiornate e che hanno lasciato ampi margini di discrezionalità agli ordinamenti nazionali. Ma è proprio in questo scenario che si inserisce il valore aggiunto di Eurojust, che è stata capace di avviare tutta una serie di circuiti operativi virtuosi e buone prassi. La tesi di Giovanni Falcone è ancora attuale, le mafie sono sempre un passo avanti rispetto ai sistemi legali, bisogna però evitare di stare molto indietro, di arrancare. Se è innegabile che progressi sono stati compiuti, è assolutamente auspicabile, anzi necessario che si faccia di più e si completi il disegno. In ogni caso mi sento di dire che, ritornando in Italia, quando come procuratore dovrò rivolgermi ai miei partner europei troverò un panorama complessivo più affidabile».

Il procuratore di Palermo Maurizio De Lucia nel corso della sua audizione in Commissione antimafia ha sottolineato i ritardi dell’Italia negli investimenti sull’investigazione tecnologica rispetto ad altri Paesi europei che, per esempio, sono riusciti a “bucare” le piattaforme criptate…

«Ciò è stato possibile grazie all’azione investigativa congiunta di Francia, Belgio, Olanda. La decriptazione massiva di milioni di comunicazioni a favore delle autorità giudiziarie europee e quindi di Eurojust ha offerto uno spaccato di conoscenze senza precedenti sulla metodologia delle organizzazioni criminali, un risultato importantissimo. C’è un ritardo del sistema Italia sull’investigazione ad alto tasso tecnologico ma lo stiamo colmando, sulle nuove piattaforme criptate la nostra polizia giudiziaria sta ottenendo risultati similari. Credo tuttavia che al necessario know how si possa pervenire solo con una condivisione di esperienze e conoscenze a livello mondiale.

Il paradigma a cui dobbiamo adeguarci è che i risultati migliori saranno sempre frutto di un grande lavoro collettivo. Se ci riflettiamo, tutto è partito dal Covid che ha portato a un’accelerazione senza precedenti della digitalizzazione. Ciò non poteva non lambire il mondo criminale. Questo ha avuto come effetto non solo la commissione di molte più frodi online. In realtà, il mondo criminale in poco tempo ha cambiato la propria pelle ed i metodi operativi: ormai utilizza in via ordinaria l’anonimità delle comunicazioni nei sistemi digitali ed attinge ai mercati illegali del dark web, in cui si vendono armi, droga, immagini pedopornografiche, criptovalute e molto altro. Un mondo in continua evoluzione.

Le più recenti applicazioni consentono di creare Iban bancari virtuali per mascherare la titolarità dei conti e cancellare le tracce digitali delle transazioni. Gli investimenti sono anche sulle posizioni debitorie non performanti, che vengono acquistate attraverso trust fiduciari per reimmettere nei circuiti legali la ricchezza illecitamente accumulata. I processi sono tanti, il comune denominatore è che le fasi del lavaggio di denaro, dell’integrazione nel circuito economico e del reinvestimento oggi sono più ravvicinate. I proventi illeciti vengono immediatamente riutilizzati nel circuito economico grazie a broker che operano a livello mondiale e non si manifestano mai in maniera aperta. Tra gli altri, i network cinesi sono tra i più grandi collettori di denaro contante frutto dell’evasione e del nero che viene consegnato alla criminalità organizzata. Questa è la dimensione con cui Eurojust e la Procura nazionale antimafia si confrontano da qualche anno, ma la sfida richiede uno sforzo ancora maggiore».

Dopo il conflitto russo-ucraino, le cosche avranno più armi? Le mafie stanno già sfruttando la crisi?

«Non c’è una evidenza diretta in tal senso, ma sappiamo che la parte del continente europeo interessata dal conflitto è divenuta particolarmente vulnerabile per quanto concerne il traffico di esseri umani, le cui organizzazioni sanno sfruttare le debolezze statuali oltre che il bisogno migratorio. Quella zona sarà sempre più centrale nella futura proiezione geopolitica europea. Una previsione fondata su dati esperienziali ci porta ad affermare che quando ripartirà la ricostruzione in Ucraina le mafie saranno presenti, pronte ad allungare i loro artigli e trarre benefici e profitto. Un aspetto sul quale già oggi si sta lavorando a livello europeo per assicurare trasparenza nelle future procedure di ricostruzione. Il teatro di guerra sta peraltro diventando luogo di sperimentazione di nuove armi, per esempio con l’utilizzo non strettamente militare dei droni. A quest’uso da tempo già guarda la criminalità».

Un commento sullo storico arresto di Messina Denaro dopo 30 anni di latitanza, durante i quali potrebbe essersi nascosto anche in Toscana.

«Si è trattato di un risultato di importanza fondamentale nell’azione di contrasto a Cosa Nostra ottenuto dalla Procura di Palermo e dai carabinieri, oltre che dalle altre forze di polizia. Un lavoro eccellente perseguito con costanza, nel tempo. Anche Eurojust ha trattato alcune rogatorie e Messina Denaro era tra gli obiettivi operativi nostri e di Europol. Quanto alla Toscana, essa è regione di grande attrazione per la criminalità organizzata, per la sua ricchezza e bellezza. Il rafforzamento della prevenzione patrimoniale e del contrasto ad essa sarà uno degli obiettivi strategici dell’ufficio che avrò l’onore e la responsabilità di coordinare».

Tra i fascicoli che eredita c’è peraltro quello sulle stragi mafiose…

«La Procura di Firenze è impegnata in indagini delicatissime sui presunti mandanti esterni a “cosa nostra” e su tutti coloro che hanno comunque contribuito alla strage di via dei Georgofili. Su questo non ci sarà cedimento o arretramento. Al contrario, intendo rafforzare questo impegno. Lo dobbiamo ai familiari delle vittime delle stragi, alla comunità nazionale e internazionale e ai magistrati che hanno scritto vere e proprie pietre miliari nell’accertamento di quei gravissimi fatti. Dovremo completare questo lavoro con massima attenzione anche ai profili di garanzia e di riserbo, che devono sempre contrassegnare l’attività inquirente. Credo che una delle strade per recuperare la fiducia della gente verso l’istituzione giudiziaria sia anche quella di vedere al lavoro magistrati non solo capaci e professionalmente attrezzati, ma anche imparziali e riservati».

Come si stanno evolvendo le mafie? I figli dei boss che vanno a studiare nelle migliori università europee per acquisire competenze da mettere al servizio delle organizzazioni criminali può essere una metafora del domani?

«Le organizzazioni criminali si avvalgono oggi di persone che hanno alte competenze nella tecnologia digitale e in materia finanziaria. Questo è il dato certo. Per il resto, saranno le indagini a disvelare se si tratta dei figli dei boss».


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