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Pnrr frenato dalla incapacità di spesa, non si è prestata attenzione alla fare realizzativa la Governance unica dà i primi risultati.
In almeno 11 (undici) mie note avevo, sin dal mese di febbraio 2021, cioè sin dall’insediamento del governo Draghi, ricordato che l’assenza di misure legate al concreto avvio realizzativo delle opere del Pnrr (sì, del Pnrr definito sin dal mese di giugno del 2020) stava compromettendo l’intero Pnrr e lo stava compromettendo perché eravamo stati attenti alla fase programmatica e progettuale ma avevamo sottovalutato integralmente quella realizzativa.
Ricordo che molti membri del governo ebbero modo di ribadire che l’Unione europea, per sbloccare le prime tre tranche finanziarie, ci chiedeva solo l’approvazione delle riforme e dei vari impegni programmatici. In realtà questa precisazione la ritenemmo, e la riteniamo, solo ridicola perché la scadenza del 31 dicembre del 2026 rimaneva sempre un vincolo obbligato che non riguardava la disponibilità di elaborati cartacei, ma di opere compiute.
NIENTE DOGMI, SERVONO AGGIORNAMENTI
E giustamente, leggendo attentamente l’intero dossier del Pnrr il ministro Raffaele Fitto ha dichiarato: «Il Pnrr non può essere un dogma; la spesa prevista al 31 dicembre prossimo non credo arrivi neanche ai 22 miliardi, stiamo osservando i dati precisi e temo proprio che i soldi non siano quelli; quindi c’è una criticità che va posta, che è quella della capacità di spesa, e ciò emerge in modo inequivocabile da quanto dichiarato dai governi precedenti che erano passati dagli iniziali 42 miliardi a 33 miliardi dello step successivo. Se anche va tutto bene dal punto di vista degli obiettivi cartacei e normativi, però man mano che passano gli anni si stringono di più i tempi per l’utilizzo delle risorse. È evidente che i progetti vanno riformulati».
Sempre il ministro, giustamente, non nasconde più quello che per l’intera passata legislatura era stato non detto. Mi riferisco a questa ulteriore precisazione: «Le questioni sono due: la prima si riferisce a un dato oggettivo. Ci sono 120 miliardi di opere pubbliche, sui 230 totali, e c’è un aumento medio delle materie prime del 35%, quindi è facile la risposta: va probabilmente implementato e anche armonizzato con i Fondi di sviluppo e coesione che sono stati spesi solo in minima parte tra il 2014 e il 2022».
Ma il ministro Fitto si pone anche una ulteriore interrogativo: «Il Pnrr è stato raccontato, scelto, definito subito dopo la fase acuta della pandemia, prima dello scoppio della guerra. Ebbene: quegli obiettivi e quelle scelte sono ancora attuali? È quindi necessario ragionare su quello che accade nel contesto, vista la rapidità drammatica dei cambiamenti. Abbiamo avuto guerra e shock inflazionistico impensabili. Non sappiamo a quali cigni neri andremo incontro».
TROPPI RITARDI, SERVE UNA PROROGA
Né possiamo sottovalutare quanto dichiarato in proposito dal ministro Musumeci: «Io sono dell’avviso che il Pnrr andrebbe prorogato almeno di un paio d’anni. Con i ritardi che si sono determinati anche a causa della guerra, è davvero difficile poter rispettare il termine della fine di dicembre 2026. Vari i fattori. Le procedure che non sono semplificate. I tanti Comuni che non hanno personale sufficiente o adeguato a poter sostenere la progettazione. E tutto questo non può che imporre la necessità di uno spazio maggiore, con monitoraggio costante. Affinché questa preziosa risorsa possa servire per una dotazione infrastrutturale materiale e immateriale capace di rendere più competitivo il Sud».
Ho voluto riportare integralmente le dichiarazioni dei due ministri perché devo riconoscere un grande senso di responsabilità e di correttezza istituzionale. Infatti i nuovi membri dell’attuale governo non denunciano le enormi responsabilità dei ministri competenti dell’attuazione organica del Pnrr che per due anni e mezzo non hanno, in nessun modo, attivato la spesa di opere del Pnrr ma si sono limitati a trasferire le risorse a opere già approvate e ricadenti nel programma della legge Obiettivo.
Si prodigano invece sia Fitto che Musumeci a cercare, con la massima urgenza, di leggere contestualmente sia il quadro delle opere del Pnrr che quelle del Fondo di sviluppo e coesione. Insisto: la correttezza e le modalità con cui viene affrontata questa emergenza dimostrano da un lato la fine della ridicola corsa verso le folli percentuali di risorse assegnate al Sud e addirittura già diventate concrete (40%, 50%, 60% di ex ministri come Provenzano, Carfagna, De Micheli e Giovannini) e al tempo stesso la inesorabile presa di coscienza di una situazione non solo preoccupante, ma che ci porta verso obbligate decisioni che sono proprio quelle di una rivisitazione sostanziale sia del Pnrr che del Fondo di sviluppo e coesione.
PNRR E GOVERNANCE UNICA, I PUNTI CHIAVE DELL’AGENDA
Nasce quindi l’esigenza di una specifica agenda, di un preciso percorso decisionale che, sicuramente, il ministro Fitto sta cercando di identificare. Ritengo, solo a titolo di esempio, che alcuni punti fermi di tale agenda potrebbero essere:
• Precisare all’Unione europea per quale motivo il passato governo abbia deciso, con l’articolo 30 del decreto legge Aiuti Quater, di utilizzare parte delle risorse del Pnrr per coprire gli aumenti delle opere dovuto all’amento dei prezzi delle materie prime; un utilizzo per tale finalità di circa 18 miliardi di euro. In realtà il passato governo aveva preferito ricorrere a una simile soluzione per evitare uno scostamento del bilancio e quindi un ulteriore incremento del debito pubblico.
• Chiedere all’Unione europea di anticipare il previsto tagliando del Pnrr dal 2024 al primo trimestre 2023 e, in quell’occasione, elencare le opere che sicuramente saremo in grado di portare a compimento entro il 31 dicembre del 2026.
• Esporre all’Unione europea il nuovo quadro programmatico in cui siano presenti le stesse opere ridimensionate o nuove opere che, supportate dalla certezza della conclusione temporale entro il 31 dicembre del 2026, vengono inserite nel Pnrr.
• Fare presente alla unione europea che il governo è convinto della necessità di portare a compimento l’intero impianto programmatico del Pnrr così come definito nel febbraio del 2021 e, pertanto, si impegnerà a istituire un apposito fondo di 3 miliardi all’anno per 15 anni nelle leggi di Stabilità a decorrere dal 2024 in poi, mirato a garantire la realizzazione degli interventi che vengono, in questa fase, tolti dal Pnrr perché non in grado di rispettare le scadenze temporali.
• Assicurare all’Unione europea che si intende affrontare congiuntamente i tre strumenti pianificatori quali il Pnrr, il Piano nazionale complementare (Pnc) e quello supportato dal Fondo di coesione e sviluppo offrendo in tal modo un chiaro impegno a garantire adeguate risorse al Mezzogiorno.
• Informare l’Unione europea che, preso atto che l’articolazione dell’intero Pnrr coinvolge un numero rilevante di dicasteri, almeno per le opere infrastrutturali la governance dovrà essere unica e assicurata dalla stessa presidenza del Consiglio. In quella sede i dicasteri competenti troveranno il riferimento unico capace di dare rilevanza unitaria all’intero impianto programmatico.
Sono solo alcune ipotesi di lavoro che il ministro Fitto, come detto prima, per la sua esperienza consolidata in sede comunitaria, non solo avrà già preso e, sicuramente, definito in modo più organico e più mirato. Io ho solo tentato di vestire questa agenda perché sono convinto che i prossimi giorni (non i prossimi mesi, ma i prossimi giorni) saranno decisivi per far ripartire davvero una macchina che, almeno per il comparto delle infrastrutture, non era riuscita a superare la obbligata soglia della cantierizzazione delle opere.
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