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Il porto di Bari

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PARTE dai porti (ammodernati) la sfida dell’export agroalimentare. Si aprono infatti i cantieri per un cambio di passo nella logistica e soprattutto nelle infrastrutture portuali strategiche per sostenere la corsa dell’export agroalimentare che sta registrando brillanti performance, ma che potrebbe fare di più. Il gap infrastrutturale ha infatti penalizzato le produzioni tricolore a tutto vantaggio dei competitor, a partire dalla Spagna che vende sui mercati esteri, per esempio, più ortofrutta dell’Italia. Mentre il nostro Paese avrebbe tutte le carte in regola per diventare il pontile d’Europa.

Anche su questo fronte però il Governo Draghi aveva aperto una strada. Nel Pnrr, infatti, sono stati inseriti finanziamenti finalizzati a rafforzare la logistica dedicata all’agroalimentare pari a 800 milioni. E proprio qualche giorno fa il ministro delle Politiche agricole, Stefano Patuanelli, ha firmato il decreto per lo sviluppo della logistica agroalimentare che destina a interventi sulla rete portuale 150 milioni dal 2022 al 2026 nell’ambito della misura del Pnrr “Sviluppo logistica per i settori agroalimentare, pesca e acquacoltura, silvicoltura, floricoltura e vivaismo”.

Il decreto sui porti – spiega una nota del ministero – si aggiunge a quelli del 13 giugno scorso (Contratti per la logistica agroalimentare, con beneficiari le imprese del settore) e del 5 agosto (Ammodernamento dei mercati all’ingrosso con finalità di promozione della logistica agroalimentare). Con le nuove risorse si punta dunque a ristrutturare aree e spazi connessi alle attività logistiche, a rendere più efficienti le capacità commerciali per il trasporto alimentare, anche al fine di ridurre i costi ambientali e le emissioni nel trasporto di materie prime, semilavorati e merci tra centri produttivi, centri logistici e mercati, a utilizzare tecnologie innovative, ma anche a rafforzare i controlli e ridurre gli sprechi alimentari. Una riserva del 40% delle risorse è destinata alla realizzazione di progetti nelle regioni del Mezzogiorno.

Si tratta di un’azione importante prevista dal Pnrr che ha centrato un obiettivo delicato e cioè rendere più agevole e competitivo il commercio di prodotti agricoli, in particolare del Sud. D’altra parte oggi l’export resta l’unica ancora di salvataggio per il settore che sta pagando un conto salatissimo per la guerra, la siccità e l’inflazione. L’agricoltura, infatti, secondo quanto emerge dagli ultimi dati Istat, è l’unica attività produttiva che ha segnato un calo del Pil.

A fronte di un incremento generale dell’economia nel secondo trimestre dell’anno dell’1,1% sul trimestre precedente e del 4,7% rispetto allo stesso periodo del 2021, l’agricoltura ha perso l’1,1% sul primo trimestre e lo 0,7% sull’anno precedente. Il risultato – è l’allarme lanciato da Coldiretti – è che oltre 1/3 delle aziende agricole (34%) si trova costretta in questo momento a lavorare in una condizione di reddito negativo mentre più di 1 azienda agricola su 10 (13%) è in una situazione così critica da portare alla cessazione dell’attività secondo quanto emerge dal recente rapporto del Crea. In agricoltura infatti gli aumenti dei costi vanno dal +170% dei concimi al +90% dei mangimi al +129% per il gasolio fino al +300% delle bollette per pompare l’acqua per l’irrigazione dei raccolti. Il rincaro dell’energia si abbatte poi su tutti i costi di produzione dalla plastica agli imballaggi fino a carta e vetro.

A salvare i prodotti agroalimentari restano dunque i mercati esteri dove il made in Italy continua a mietere successi. L’export dovrebbe infatti chiudere l’anno a quota 60 miliardi. Il trend è decisamente positivo, ma a frenare le potenzialità, che potrebbero portare più in alto il livello, c’è il gap infrastrutturale che, come ha spiegato in un report il Centro Studi Divulga, pesa per circa 13 miliardi sull’azienda Italia. Il Paese è indietro nei trasporti su ferro, ma le maggiori défaillance si rilevano nel sistema portuale. E così se è vero che l’export agroalimentare cammina spedito sui mercati esteri, la Spagna vende però quattro volte di più dell’Italia. Per quanto riguarda le sole strutture portuali il nostro Paese si colloca al 18° posto, a sorpassarlo anche la piccola Malta. Non è che non ci siano porti, anzi sono tanti, ma solo Trieste è nella top ten dell’Europa.

I porti infatti non sono attrezzati ad accogliere le grandi navi in grado di trasportare fino a 18mila container che – spiega l’analisi di Divulga – se caricati sui camion formerebbero un serpentone di circa 440 chilometri, la distanza tra Rotterdam e Parigi. Si pensi invece che salto di qualità potrebbe compiere il Mezzogiorno che di porti ne ha tantissimi, ma non utilizzati al meglio. D’altra parte tra il 2013 e il 2017 all’ammodernamento delle infrastrutture portuali è stato destinato uno striminzito 2% degli investimenti in logistica, ben poca cosa contro il 14% dei paesi avanzati. La Commissione europea, dal canto suo, ha valutato che il trasporto marittimo potrebbe registrare entro il 2030 un balzo del 50%.

Dal mare dunque spuntano nuove speranze di rilancio per un settore martoriato in questo ultimo anno. Nonostante continuino ad arrivare notizie di rialzi al consumo di prodotti come la pasta, la frutta e il latte (Granarolo e Lactalis i due maggiori player hanno annunciato un possibile aumento a due euro della bottiglia) gli agricoltori non riescono a spuntare neppure pochi centesimi in più. Dunque l’unica strada è puntare sulle spedizioni fuori confine. Per aumentare l’export – ha spiegato il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini che da anni sta facendo pressing su questo fronte – è importante investire sulla logistica, ma in modo diverso.

Bisogna partire dal trasporto marittimo per competere con Paesi come la Spagna. Servono infrastrutture, ma bisogna poi fare rete e sistema. La Coldiretti aveva presentato al Governo la richiesta di un piano strategico per il trasporto merci in grado di garantire l’interconnessione di ferrovie, porti e aeroporti. Un intervento ritenuto fondamentale per migliorare i collegamenti tra Nord e Sud dell’Italia, ma anche con il resto del mondo perché solo così si potrà sostenere il cibo made in Italy che ha registrato risultati eccellenti. E con il Pnrr sono stati messi in campo interventi che vanno nella direzione di colmare ritardi e inefficienze della logistica su cui l’agroalimentare gioca una partita vitale.


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